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7

La molta gente e le diverse piaghe
Avean le luci mie sì inebriate,
Che dello stare a piangere eran vaghe;
Ma Virgilio mi disse: Che pur guate? 4
Perchè la vista tua pur si soffolge
Laggiù tra l'ombre triste smozzicate?
Tu non hai fatto sì all'altre bolge:
Pensa, se tu annoverar le credi,
Che miglia ventidue la valle volge,
E già la luna è sotto i nostri piedi: 10
Lo tempo è poco omai, che n'è concesso,
Ed altro è da veder, che tu non vedi.'
'Se tu avessi,' rispuos'io appresso, 13

'Atteso alla cagion per ch' io guardava,
Forse m'avresti ancor lo star dimesso.'
Parte sen gìa, ed io retro gli andava, 16
Lo duca, già facendo la risposta,
E soggiungendo: 'Dentro a quella cava,

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55

E di Maremma e di Sardigna i mali Fossero in una fossa tutti insembre; 49 Tal era quivi; e tal puzzo n'usciva, Qual suol venir delle marcite membre. Noi discendemmo in su l'ultima riva 52 Del lungo scoglio, pur da man sinistra, Ed allor fu la mia vista più viva Giù ver lo fondo, là 've la ministra Dell'alto Sire, infallibil Giustizia, Punisce i falsador che qui registra. Non credo che a veder maggior tristizia 58 Fosse in Egina il popol tutto infermo, Quando fu l'aere sì pien di malizia, Che gli animali, infino al picciol vermo, 61 Cascaron tutti, e poi le genti antiche, Secondo che i poeti hanno per fermo, Si ristorar di seme di formiche; Ch'era a veder per quella oscura valle Languir gli spirti per diverse biche. Qual sovra il ventre, qual sovra le spal[le 67 L'un dell' altro giacea, e qual carpone Si trasmutava per lo tristo calle.

64

82

Pesso passo andavam sanza sermone, 70
Guardando ed ascoltando gli ammalati,
Che non potean levar le lor persone.
Io vidi due sedere a sè poggiati, 73
Come a scaldar si poggia tegghia a teg-
[ghia,
Dal capo al piè di schianze macolati;
E non vidi giammai menare stregghia 76
Da ragazzo aspettato dal signorso,
Nè da colui che mal volentier vegghia;
Come ciascun menava spesso il morso 79
Dell'unghie sopra sè per la gran rabbia
Del pizzicor, che non ha più soccorso;
E sì traevan giù l'unghie la scabbia,
Come coltel di scardova le scaglie,
O d'altro pesce che più larghe l'abbia.
'O tu che colle dita ti dismaglie,' 85
Cominciò il duca mio all'un di loro,
E che fai d'esse talvolta tanaglie,
Dinne s'alcun Latino è tra costoro 88
Che son quinc'entro, se l'unghia ti basti
Eternalmente a cotesto lavoro.'
Latin sem noi, che tu vedi sì guasti 91
Qui ambedue; ' rispuose l'un piangendo:
'Ma tu chi se', che di noi dimandasti?'
E il duca disse: 'Io son un che discen-
[do 94
Con questo vivo giù di balzo in balzo,
E di mostrar lo inferno a lui intendo.'
Allor si ruppe lo comun rincalzo;

97

E tremando ciascuno a me si volse Con altri che l'udiron di rimbalzo. Lo buon maestro a me tutto s'accolse, 100 Dicendo: 'Di' a lor ciò che tu vuoli.' Ed io incominciai, poscia ch'ei volse : 'Se la vostra memoria non s'imboli 103 Nel primo mondo dall'umane menti, Ma s'ella viva sotto molti soli, Ditemi chi voi siete e di che genti: 106 La vostra sconcia e fastidiosa pena Di palesarvi a me non vi spaventi.' 'Io fui d'Arezzo, ed Albero da Siena,' 109 Rispuose l'un, 'mi fe' mettere al fuoco; Ma quel per ch'io mori', qui non mi mena. Ver è ch' io dissi a lui, parlando a gio[co: 112

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124

127

Ed io dissi al poeta: Or fu giammai 121
Gente si vana come la Sanese?
Certo non la Francesca si d'assai!'
Onde l'altro lebbroso che m'intese,
Rispuose al detto mio: 'Tra' mene Stric-
Che seppe far le temperate spese ; [ca
E Niccolò, che la costuma ricca
Del garofano prima discoperse
Nell'orto dove tal seme s'appicca;
E tra' ne la brigata in che disperse 130
Caccia d'Ascian la vigna e la gran fron-
E l'Abbagliato suo senno proferse. [da,
Ma perchè sappie chi sì ti seconda 133
Contra i Sanesi, aguzza ver me l' oc-

[chio, Si che la faccia mia ben ti risponda; Si vedrai ch' io son l'ombra di Capoc[chio, 136

Che falsai li metalli con alchimia;

E ti dee ricordar, se ben t'adocchio, Com'io fui di natura buona scimia.' 139

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13

Gridò: Tendiam le reti, sì ch' io pigli 7
La leonessa e i leoncini al varco';
E poi distese i dispietati artigli,
Prendendo l'un ch'avea nome Learco, 10
E rotollo e percosselo ad un sasso;
E quella s' annegò con l'altro carco.
E quando la fortuna volse in basso
L'altezza de' Troian che tutto ardiva,
Sì che insieme col regno il re fu casso,
Ecuba trista, misera e cattiva,
Poscia che vide Polissena morta,
E del suo Polidoro in su la riva
Del mar si fu la dolorosa accorta,
Forsennata latrò sì come cane;
Tanto il dolor le fe' la mente torta.
Ma nè di Tebe furie, nè Troiane

16

19

22

Si vider mai in alcun tanto crude, Non punger bestie, non che membra [umane, Quant'io vidi due ombre smorte e nude, 25 Che mordendo correvan di quel modo, Che il porco, quando del porcil si schiudo.

L' una giunse a Capocchio, ed in sul nodo Del collo l'assannò sì, che, tirando, 29 Grattar gli fece il ventre al fondo sodo. E l'Aretin, che rimase tremando, 31 Mi disse: Quel folletto è Gianni Schic[chi, E va rabbioso altrui così conciando.' 'Oh,' ,' diss' io lui, se l'altro non ti fic[chi 35

Li denti addosso, non ti sia fatica A dir chi è, pria che di qui si spicchi!' Ed egli a me: Quell'è l'anima antica 37 Di Mirra scellerata, che divenne

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Dentro c'è l'una già, se l'arrabbiate 79
Ombre che vanno intorno, dicon vero;
Ma che mi val, c'ho le membra legate?
S'io fossi pur di tanto ancor leggiero, 82
Ch'io potessi in cent'anni andare un'on-
Io sarei messo già per lo sentero, [cia,
Cercando lui tra questa gente sconcia, 85
Con tutto ch'ella volge undici miglia,
E men d'un mezzo di traverso non ci ha.
Io son per lor tra sì fatta famiglia;
Ei m'indussero a batter li fiorini
Che avevan tre carati di mondiglia.'
Ed io a lui: Chi son li due tapini

88

91

Che fumman come man bagnate il verno, Giacendo stretti a' tuoi destri confini?' 'Qui li trovai, e poi volta non dierno,' 94 Rispuose,quand' io piovvi in questo

[greppo,

100

E non credo che dieno in sempiterno. L'una è la falsa che accusò Giuseppo; 97 L'altro è il falso Sinon greco da Troia: Per febbre acuta gittan tanto leppo.' E l'un di lor, che si recò a noia Forse d'esser nomato sì oscuro, Col pugno gli percosse l'epa croia. Quella sonò, come fosse un tamburo: 103 E mastro Adamo gli percosse il volto Col braccio suo che non parve men duro, Dicendo a lui: 'Ancor che mi sia tolto 106

Lo muover, per le membra che son gravi, Ho io il braccio a tal mestiere sciolto.' Ond'ei rispuose: 'Quando tu andavi 109 Al fuoco, non l'avei tu così presto: Ma sì e più l'avei, quando coniavi.' E l'idropico: 'Tu di' ver di questo; 112 Ma tu non fosti sì ver testimonio, La 're del ver fosti a Troia richesto." 'S' io dissi falso, e tu falsasti il conio;' 115 Disse Sinone, e son qui per un fallo, E tu per più ch'alcun altro demonio! 'Ricorditi, spergiuro, del cavallo,' 118 Rispuose quel ch'avea enfiata l'epa, E sieti reo che tutto il mondo sallo! A te sia rea la sete onde ti crepa,' 121 Disse il Greco, la lingua, e

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ין

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acqua [marcia Che il ventre innanzi gli occhi sì t'as[siepa!' Allora il monetier: Così si squarcia 124 La bocca tua per tuo mal come suole; Chè, s'i' ho sete ed umor mi rinfarcia, Tu hai l'arsura e il capo che ti duole; 127 E per leccar lo specchio di Narcisso, Non vorresti a invitar molto parole."

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Or pur [mira!

Che per poco è, che teco non mi risso.' Quand' io 'l senti' a me parlar con ira, 133 Volsimi verso lui con tal vergogna, Ch'ancor per la memoria mi si gira; E quale è quei che suo dannaggio so[gna, 136

Che sognando desidera sognare; Sì che quel ch'è, come non fosse, agogna; Tal mi fec' io, non possendo parlare, 139 Che disiava scusarmi, e scusava Me tuttavia, e nol mi credea fare. 'Maggior difetto men vergogna lava,' 142 Disse il maestro, che il tuo non è stato ; Però d'ogni tristizia ti disgrava.

E fa ragion ch' io ti sia sempre allato, 145 Se più avvien che fortuna t'accoglia Ove sien genti in simigliante piato; Chè voler ciò udire è bassa voglia.' 148

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9

D'Achille e del suo padre esser cagione Prima di trista e poi di buona mancia. Noi demmo il dosso al misero vallone 7 Su per la ripa che il cinge d'intorno, Attraversando sanza alcun sermone. Quivi era men che notte e men che giorno, Sì che il viso m' andava innanzi poco; Ma io senti' sonare un alto corno, Tanto che avrebbe ogni tuon fatto fioco, Che, contra sè la sua via seguitando, 14 Dirizzò gli occhi miei tutti ad un loco. Dopo la dolorosa rotta, quando

Carlo Magno perdè la santa gesta,
Non sono sì terribilmente Orlando.

Poco portai in là volta la testa,

16

19

Che mi parve veder molte alte torri; Ond'io: Maestro, di', che terra è que[sta?'

Ed egli a me: 'Però che tu trascorri 22 Per le tenebre troppo dalla lungi, Avvien che poi nel maginar abborri. Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi, 25 Quanto il senso s' inganna di lontano; Però alquanto più te stesso pungi.'

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E disse: Pria che noi siam più avanti, Acciò che il fatto men ti paia strano, Sappie che non son torri, ma giganti, 31 E son nel pozzo intorno dalla ripa Dall' umbilico in giuso tutti quanti.' Come, quando la nebbia si dissipa, Lo sguardo a poco a poco raffigura Ciò che cela il vapor che l'aere stipa, Così forando l'aura grossa e scura, 37 Più e più appressando ver la sponda, Fuggìemi errore e crescemmi paura. Però che, come su la cerchia tonda Montereggion di torri si corona, Così la proda, che il pozzo circonda, Torreggiavan di mezza la persona Gli orribili giganti, cui minaccia Giove del cielo ancora, quando tuona. Ed io scorgeva già d' alcun la faccia, 46 Le spalle e il petto e del ventre gran

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Non si pente, chi guarda sottilmente, Più giusta e più discreta la ne tiene; Chè, dove l'argomento della mente S'aggiunge al mal volere ed alla possa, Nessun riparo vi può far la gente. La faccia sua mi parea lunga e grossa, Come la pina di San Pietro a Roma, Ed a sua proporzione eran l'altr' ossa; Si che la ripa, ch' era perizoma 61

58

Dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto Di sopra, che di giugnere alla chioma Tre Frison s'averian dato mal vanto; 64 Però ch'io ne vedea trenta gran palmi Dal luogo in giù, dov'uomo affibia il [manto.

67

'Rafel mai amech izabi almi, '
Cominciò a gridar la fiera bocca,
Cui non si convenien più dolci salmi;
E il duca mio ver lui: 'Anima scioc-
[ca, 70
Tienti col corno, e con quel ti disfoga,
Quand' ira o altra passion ti tocca!
Cercati al collo, e troverai la soga 73
Che il tien legato, o anima confusa,
E vedi lui che il gran petto ti doga.'
Poi disse a me: Egli stessi s' accusa; 76
Questi è Nembrotto, per lo cui mal coto
Pur un linguaggio nel mondo non s'usa.

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106

Ed io a lui: 'S' esser puote, io vorrei, 97
Che dello smisurato Briareo
Esperienza avesser gli occhi miei.'
Ond' ei rispuose: Tu vedrai Anteo 100
Presso di qui, che parla ed è disciolto,
Che ne porrà nel fondo d'ogni reo.
Quel che tu vuoi veder, più là è molto, 103
Ed è legato e fatto come questo,
Salvo che più feroce par nel volto.'
Non fu tremoto già tanto rubesto,
Che scotesse una torre così forte,
Come Fialte a scuotersi fu presto.
Allor temett' io più che mai la morte, 109
E non v'era mestier più che la dotta,
S'io non avessi viste le ritorte.
Noi procedemmo più avanti allotta,
E venimmo ad Anteo, che ben cin-
[qu' alle,
Sanza la testa, uscia fuor della grotta.
O tu, che nella fortunata valle, 115
Che fece Scipion di gloria reda,
Quand'Annibal co' suoi diede le spalle,
Recasti già mille leon per preda,

112

118

E che, se fossi stato all' alta guerra De' tuoi fratelli, ancor par ch' e' si creda Che avrebber vinto i figli della terra; 121 Mettine giù, e non ten vegna schifo, Dove Cocito la freddura serra. Non ci far ire a Tizio nè a Tifo: 124 Questi può dar di quel che qui si bra[ma;

Però ti china, e non torcer lo grifo.

Ancor ti può nel mondo render fama; 127 Ch'ei vive e lunga vita ancor aspetta, Se innanzi tempo grazia a sè nol chia

[ma.'

Così disse il maestro; e quegli in fretta 130 Le man distese, e prese il duca mio, Ond' Ercule sentì già grande stretta. Virgilio, quando prender si sentìo, 133 Disse a me: Fatti in qua, sì ch' io ti

[prenda; ' Poi fece sì, che un fascio er' egli ed io. Qual pare a riguardar la Carisenda 136 Sotto il chinato, quando un nuvol vada Sovr'essa sì, che ella incontro penda; Tal parve Anteo a me, che stava a bada Di vederlo chinare, e fu tal ora, Ch'io avrei voluto ir per altra strada; Ma lievemente al fondo, che divora 142 Lucifero con Giuda, ci sposò; Nè, sì chinato, li fece dimora, E come albero in nave si levò.

CANTO XXXII.

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Ma quelle donne aiutino il mio verso, 10
Ch' aiutaro Anfion a chiuder Tebe,
Sì che dal fatto il dir non sia diverso.
O sovra tutte mal creata plebe,
13

Che stai nel luogo onde parlar è duro,
Me' foste state qui pecore o zebe!
Come noi fummo giù nel pozzo scuro 16
Sotto i piè del gigante, assai più bassi,
Ed io mirava ancora all' alto muro,
Dicere udimmi: Guarda come passi! 19
Va sì che tu non calchi con le piante
Le teste de' fratei miseri lassi ! '
Per ch' io mi volsi, e vidimi davante 22
E sotto i piedi un lago, che per gelo
Avea di vetro e non d' acqua sembiante.
Non fece al corso suo sì grosso velo
Di verno la Danoia in Osterlic,
No Tanai là sotto il freddo cielo,

25

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