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RAZIE, il pensiero è gentilissimo. È di farmi rivivere nei miei giovani anni, dei quali certo la miglior parte è quella che passai stando co' i giovani. In mezzo ai giovani io, anche trattandoli qualche volta rudemente, mi trovo bene sempre, e appunto dallo stare con loro, dal conversare con loro, credo di mantenere in me quel certo lume di giovinezza che non vuol tramontare.

Io vi ripeto che della parte della mia vita spesa con voi certo non ho da pentirmi, non ho da farmi rimprovero, se non qualche volta di troppa passione, ma non mai di cosa che fosse contro la purità della vostra mente e del vostro cuore. Da me non troppe cose certo avrete imparato, ma io ho voluto ispirar me e inalzar voi sempre a questo concetto: di anteporre sempre nella vita, spogliando i vecchi abiti

CARDUCCI.

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di una società guasta, l'essere al parere, il dovere al piacere; di mirare alto nell' arte, dico, anzi alla semplicità che all' artifizio, anzi alla grazia che alla maniera, anzi alla forza che alla pompa, anzi alla verità ed alla giustizia che alla gloria. Questo vi ho sempre ispirato e di questo non sento mancarmi la ferma conscienza.

Quanto a quello che è più speciale officio dida: tico, io, accettando dalla scienza e dalla dottrina moderna tutto ciò che queste due grandi forze m danno, ho pur cercato di levarmi all' idealità, di conservare in voi, di alimentare in voi e dissotter rare in voi le grandi tradizioni nazionali, delle quali un maestro di lettere italiane deve essere difensore e custode. Quell' unità, quella libertà che i nostr padri e fratelli gloriosi conquistarono con tanto sangue generoso sparso su la terra della penisola sacra, dobbiamo conservare, difendere, propugnare noi maestri nella regione dello spirito.

L'umanità è grande cosa; e certamente è bello che vi sia un consesso sorellevole delle letterature europee; ma per arrivare a quell' alto consesso, per essere degni di quell'abbraccio non bisogna deporre il sentimento nazionale, non bisogna portare livrea di servi né maschera di cortigiani.

Noi dobbiamo riprendere la tradizione dei nostri maestri, Virgilio, Dante, Petrarca, i quali trovarono l'arte moderna e il mondo nuovo: noi dobbiamo continuando ampliare questa tradizione, senza farci schiavi e scimmie di nessuno.

25 gennaio 1896.

II.

RISPOSTA AL SINDACO DI BOLOGNA E AD ALTRI.

Signor Sindaco di Bologna;

Signor Sindaco di Pietrasanta;

Illustri e carissimi rappresentanti la Università
e la Facoltà;

Cittadini,

Reverente vi ringrazio. L'accesa benevolenza vi ha fatto concepire ed esprimere di me tali cose, che meglio raffigurano le nobili idealità delle vostre menti di quello che il vero della povera mia persona. Troppo io mi sento inferiore all' alto concetto vostro, o signori; ma quale io mi sia, e volesse pur Dio non dissimigliante troppo alla imagine da voi colorata!, tutto io sono per benefizio di questa Città e di questo Studio.

Alla Città vostra, o Bolognesi, io venni con 'Italia e con l'unità: venni povero giovine, oscuro e trepidante: ma la Città con serena accoglienza mi abbracciò, lo Studio sotto la grande ombra della sua gloria mi protesse e nutrí.

Nello Studio trovai prima padri e poi fratelli, più che colleghi, unanimi; i quali mi avviarono con i consigli, mi ammaestrarono con gli esempi, e con la dotta collaborazione agevolarono il mio insegnamento e lo fecero migliore. Trovai nella città amici savi e animosi, che ora mi spronarono ed or mi contennero trovai anzi tutto quello che il vostro

scudo generosamente promette e la città ringiovanita lealmente mantiene, Libertas. Si, libertà di solitudine a' miei studi, libertà d'indirizzo e di vole a' miei pensieri: libertà, ripeto, per le idee: indipendenza, aggiungo, dalle circostanze piccole, arguste, angolose; senza di che non è dato concepire officio sano di scrittore.

E con ciò e per ciò mi fu agevole fermarmi costante alla gentile stanza e onorata di questa Bologna: dove, lasciatemelo dire, signor Sindaco di Pietrasanta, della riviera tra il bel mare e il bel monte ond' ebbi il sangue e non ignobili tradizioni, onde la sventura mi strappò bambino e del cui memore amore io mi tengo contento ed onorato dove, in questa Bologna, dico, trovai la patria seconda. E, tanto più mi fu agevole, quanto io credo che alla patria si possa degnamente servire e per il bene e la grandezza di lei adoprarsi da qualsiasi luogo, in qualsiasi posizione e grado, adempiendo onestamente e virilmente l'officio proprio verso d lei, a cui il cittadino dee tutto e niente ha da pretenderne.

Oltre di che, dove altrove avrei io trovato a proteggermi della sua gloria lo studio d'Irnerio e dell' Aldrovandi, del Zanotti e del Galvani? dove altrove avrei ritrovato, a confortarmi e a compensarmi, il vostro gran cuore, o Bolognesi ? Del quale troppe buone e larghe dimostrazioni mi avete dato: suprema, quest' ultima: suprema, non per l'umile persona a cui è fatta, ma per l'alta e intima sua significazione.

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In questa ora solenne per me io ricordo il passato e presento l'avvenire. Ricordo e me ne viene quasi un rimorso de' presenti onori, e ne chiedo perdono a quelle sante ombre ricordo i grandi maestri della patria passare ignoti e non curati, invecchiare in tristezza povera, spegnersi nella desolazione del miserevole esilio : il senno divino di Giovan Battista Vico, la sapienza umana di Giovan Domenico Romagnosi, la luce poetica di Ugo Foscolo. Erano i tempi d'Italia serva. Ora e uditemi, o giovani, e vedete vedete quali premii la patria e la libertà propongono agli intelletti volonterosi del bene.

Segno questo che il rinnovamento italiano anche nelle discipline e nelle arti ideali e morali è già maturo nei fati. Preparate le vie al Signore che viene al genio d'Italia, grande, libero, giusto, umano: al genio di cui sento approssimarsi il batter delle ali. In quei giorni augurati, nella gloria santa e pura d'Italia fiorisca sempre più viva la gloria di Bologna, di questa madre alma degli studi, di questa fautrice benigna degli studiosi: colga ella i fiori e i frutti del tempo felice, e, finirò co 'l verso del poeta,

E trovi uom degno poi che si l'onora.

9 febbraio 1896.

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