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già antico e in parte oscurato: e, come dalla leggenda mistica del santo Graal, simbolo dell' eucaristia, il ciclo della Tavola Rotonda era disceso alle eleganti lascivie del Lancillotto del Lago, cosi l'amore severo e religioso al quale il cavaliere e la dama pur maritata legavansi con la benedizione del sacerdote, l'amore pel quale piú d'un cavaliere portava, quasi ordine sacro, la tonsura, l'amore di Gerardo di Rossiglione, non era più che un affare di moda, quando non ricoprisse qualcosa di peggio; né altro che un congegnamento di frasi, nelle quali tutti trovavansi d'accordo, era omai la poesia. A ogni modo cotesta poesia, già sola manifestazione di civiltà, s'era infusa co' suoi spiriti in tutta la letteratura d'Europa non che d'Italia; quel motivo e quelle forme perduravano e dovevano perdurare ancor a lungo nella lirica nostra; né erano, a dir vero, tanto gelide per vecchiezza che un cuore ardente di poeta non potesse riscaldarle toccando. Ond'è che Dante poneva nella Vita Nuova: lo primo che cominciò a dire siccome poeta volgare si mosse però che volle far intendere le sue parole a donna alla quale era malagevole ad intendere i versi latini. E questo è contro a coloro che rimano sopra altra materia che amorosa: con ciò sia cosa che cotal modo di parlare fosse dal principio trovato per dire d'amore, (1). "Tutti i miei pensier parlan d'amore,, (2), ecco la materia della lirica di Dante e de' coetanei: "Amor che nella mente mi ragiona,, (3),

(1) I'. N. xxv. (2) Ivi xm. (3) Conv. III 1.

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eccone la ispirazione: "Amor e cor gentil sono una cosa, (1), ecco la morale: "Amor che movi tua virtú dal cielo „ (2), ecco la ragione ultima. Dante e i poeti come lui non si affannano di andar pure a ritroso dell' età loro, si bene le si movono alla fronte e la indirizzano per nuove vie.

Ma, perché fosse l'Allighieri giudice equo ed estimatore cortese dei volgari altrui, non amava però meno di perfettissimo amore (son le proprie parole di lui) (3) il suo volgare italico, che fu congiugnitore delli suoi generanti, che fu introducitore di lui nella via della scienza (4). All'affetto onde ne parla nel Convito, sentite l'artista che si compiace dell'istrumento della sua gloria: è l'uomo di guerra che ama la sua spada, e ne guarda la lama e ne tenta il filo e ne scruta la brunitura e i lavori dell' elsa, e ne fa scintillare al sole il tersissimo acciaio: è il cavaliere che palpa il suo destrier di battaglia e gli volge come ad amico la parola: è lo scultore che sorride al marmo entro il quale già vede la sua figura. Onde nel suo libro dottrinale di grammatica e di poetica affermò poi: l'idioma italico essere per due privilegi superiore: il primo è, che quelli che più dolcemente e più sottilmente hanno scritto poemi sono stati i suoi domestici e famigliari; cioè Cino da Pistoia e lo amico suo (esso Dante): il secondo è, che pare che più s'accostino alla grammatica la quale è comune; cioè alla lingua latina (5). Sentiva

(1) V. N. xx. (4) Ivi I XIII.

(2) Rime, canz. XII. (3) Conv. I XII. (5) V. E. I x.

dunque il poeta la novissima onnipotenza di questa gloriosa e benedetta lingua d'Italia; sentiva in sé la forza di magnificarla su tutte le altre, di far con lei quel che non era stato mai fatto con alcuna. Il tempo a ciò è venuto: dal caos degli elementi informi e discordi sorge amore e sorvola: e il poeta grida" a perpetuale infamia delli malvagi uomini d'Italia che commendano lo volgare altrui e lo proprio dispregiano,; grida " gli abominevoli cattivi d'Italia che hanno a vile questo prezioso volgare, lo quale, se è vile in alcuna cosa, non è se non in quanto egli suona nella bocca meretrice di questi adulteri (1). E dal Convivio e dalla Vulgare Eloquenza raccogliesi com'egli tenesse non essere stato ancora il linguaggio italico usato ad opera d'arte con quella bontà ch'era da lui. Vediamo dunque sotto brevità a che condizione fosse la lirica in Italia quando Dante la si raccolse nelle braccia.

"

La lirica dei rimatori siciliani di corte e dei lor coetanei toscani e lombardi andò troppo stretta alla imitazione provenzale; e, poiché il sentimento e l'in civilimento cavalleresco che informò quella poesia era già morto o su 'l morire, nulla essa aggiunse alle idee dell'arte e poco alle forme. Quando il movimento della vita italiana e il primato civile, dopo la battaglia di Benevento, passò all' Italia del centro, quasi ogni città e terra di Toscana, e parec chie di Romagna, ebbero poeti; ma l'arte non si levò súbito a nuove altezze. Ella dal 65 all'82 corse,

(1) Conv. I XI.

come oggi si dice, un periodo di transizione, mezzo cortigiana e mezzo borghese, mezzo scolastica e mezzo volgare; si dibattè tra il vecchio e il nuovo e tra principii non ancora distinti e definiti, timida, incerta, sforzata: era

un color bruno,

Che non è nero ancora e il bianco more.

Le forme ciò non ostante si determinarono sempre piú e al fine fermaronsi: i siciliani par che avessero trovato essi il sonetto e avevano imitato dai provenzali la canzone: i bolognesi, o. almeno Guido Guinizzelli, e i toscani perfezionarono l'uno e trasmutarono l'altra con ordine di piú libera e grave armonia: i toscani, o certo quei dell' Italia di mezzo, misero nell' uso letterario il metro meglio popolare della ballata.

E canzone, ballata, sonetto sono le tre forme metriche delle rime di Dante, anzi le sole ch' ei riconosce nella Vulgare Eloquenza legittime e regolari, ponendo in disparte e in altissimo luogo la canzone (1). Tal che, come né il motivo, ei non mutò né anche le forme organiche della lirica: fu sua gloria, come d'ogni poeta grande, cominciare onde tutti cominciavano, e con gl'instrumenti ch'erano a mano di tutti conseguire tale effetto da rinnovar l'arte e affermarla. Ma aveva anche, e severamente, notato i difetti de' suoi predecessori. Il principio suo d'assegnare a una corte la norma fissa d'una lingua

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comune, principio che del resto era d'accordo co' suoi intendimenti imperiali e con la natura dell' animo e dell' ingegno suo avversi al popolo, lo condusse a concedere alla Sicilia il vanto di dar nome al volgare italiano; e anche lodò in generale gli eccellenti italiani che componevano al tempo di Federico se condo (1). Ma non potrebbesi ragionevolmente sospet tare ch' egli avesse il pensiero a' rimatori di quella scuola, quando assegnò che "la ragione per che alquanti grossi ebbero fama di saper dire è che quasi furono i primi che dissero in lingua di sí (2)?,, Certamente, quando, acquistata la consapevolezza delle sue forze e della innovazione da sé operata nella poesia italiana con le canzoni filosofiche, si fece a compor teoriche su l'arte, egli procedé severissimo ai rimatori del secolo decimoterzo; ne disprezzo, diciamolo pure, la maggior parte. Respinse nel novero de' mediocri paesani Ciullo d'Alcamo, il piú originale de' siciliani (3); al notaio da Lentino negò la spirazione d'amore (4). Piú ancora acerbo fu coi toscani della seconda metà del secolo; e dei detti di Bonagiunta da Lucca, di Gallo pisano, di Mino Mocato senese, di Brunetto fiorentino affermò che "non cortigiani ma propri delle loro cittadi essere si troveranno (5). Guittone d'Arezzo" non si diede mai al volgare cortigiano; e "cessino i seguaci dell' ignoranza che estolleno Guittone ed alcuni altri, i quali sogliono costantemente nei vocaboli e nelle costru

(1) V. E. I XII. (2) V. N. xxv. (3) V. E. I XIII. XXIV, 57. (5) V. E. I XIII.

(4) Purg.

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