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doglio, tra il popolo plaudente, con la fortunata assenza del papa e dell' imperatore, fu come la sacra del Rinascimento in mezzo all'Europa del medio evo: su la quale, a grande augumento della civiltà, egli esercitò nel tempo suo quella medesima dittatura, anzi legislazione dell' ingegno e dell' arte, che esercitarono poi su 'l secolo decimosesto Erasmo di Rotterdam e su 'l decimottavo il Voltaire.

Come artista, egli, uscito di un popolo che faceva constituzioni e commerci, non comprese il mondo fantastico e avventuriere del medio evo, e sentí che era finito co' poemi francesi; sentí che anche il mondo soprannaturale cristiano erasi chiuso con Dante, e non avea certo l'intuizione universale di lui: del mondo antico non sentí che le forme, e non le migliori. Ma sentí in sé l'uomo; e mentre gl' infiniti lirici del medio evo, francesi, tedeschi, italiani, dei quali è mal vezzo di critici superficiali e ripetitori l'accusarlo imitatore, lui originalissimo e che deve agli antecessori suoi solo qualche frase di cattivo gusto, mentre quei lirici cantarono o il senso ben limitato o l'idea molto indeterminata, egli scoprí in sé e rivelò l'uomo; l'uomo del medio evo, a cui la natura ha cominciato a rifavellare da' libri de' poeti antichi, l'uomo del medio evo in contrasto tra la materia e la forma, tra il senso e lo spirito, tra il cristiano e il pagano. E questo contrasto ei lo prese ad analizzare e a svolgere sottilmente, finamente, profondamente, per ogni verso, con tutta leggerezza di tócco, con tutta delicatezza di ombreggiamento, con tutta misura, senza lasciarsi

vincer la mano alla passione inestetica. Riprese l'opera giovanile di Dante, movendo anch' egli dall'antecedente lirica cavalleresca: ma Dante risalí o si smarri nel misticismo, il Petrarca ritornò al naturalismo ideale, e anche per questa parte apre l'età del Rinascimento.

VII.

Dante e il Petrarca avean mosso ambedue dal medio evo e dal principio cavalleresco: Dante poi erasi fermato al principio ecclesiastico e alle sue forme, la visione e l' allegoria. Contro l'uno e l'altro di questi princípi insorge ora il piú fervido ammiratore di Dante, l'amico più affettuoso del Petrarca, Giovanni Boccaccio, cittadin fiorentino. Il Boccaccio era nipote a un Chellino venuto a città dal contado di Val d'Elsa, da Certaldo che allora aveva nome soltanto dalle cipolle che produce in copia; apparteneva dunque a quella cittadinanza che Dante spregiava di cuore, "la cittadinanza ch'è or mista, Di Campi, di Certaldo e di Figghine ; e la nobil donna, de' cui fastidi il certaldese si vendicò nel Corbaccio, poteva bene mandargli a dire “Torni a sarchiar le cipolle e lasci star le gentildonne „. Piú: egli era nato a Parigi dagli amori non consecrati di suo padre mercante con una donna francese. Plebeo, bastardo, e con sangue parigino dentro le vene, il gran distruttore dell' amore cavalleresco e dell' ideale monastico è il più sicuro rappresentante di quel popolo grasso del secolo decimoquarto, che

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fini di ricoprire con la sua alluvione il popolo vecchio e l'Italia del secolo decimoterzo. Egli è il vero borghese italiano del trecento; se non quanto, non ostante la pompa delle sue allusioni, delle sue erudizioni, del suo stile, non ostante l'ammirazione e devozione sua all' aristocrazia dell' ingegno, egli piega inconsciamente verso i Ciompi; però che anch' egli intende a distruggere ciò ch' era stato venerato fin allora.

Come uomo e cittadino, è repubblicano piú francamente del Petrarca: piú francamente e finamente di lui deride l'imperatore e l'impero: anche rimprovera l'amico del frequentare ch'ei fa i tiranni lombardi: non fioretta panegirici ai re, e poco usa a corte, se non da giovane e per amoreggiarne le figliuole: al suo comune e ai cittadini dice aspre verità, ma quello serve e con questi si trova a suo agio; non gli odia come Dante, non gli sfugge come il Petrarca, ne studia il ridicolo. Una sola grandezza v'è, della quale egli si fa volentieri cortigiano, che egli ama di amor più tenero che non le donne: la grandezza dell' ingegno. L'ideale suo è tutto soggettivo: l'arte. E per ciò, riproduttore largo e indifferente, diresti ch' e' cercasse di fondare come il Goethe una letteratura eclettica: certo, fece anche egli le sue prove in tutt'i generi, nella visione allegorica di Dante, nella lirica amorosa del Petrarca, nella epopea antica, nella epopea cavalleresca, nel romanzo d'avventura, nel racconto mitologico, nella leggenda, nella satira, nell' orazione, nell' ecloga e nell' idillio, nella geografia, nella mitologia, nella

filologia e nella erudizione: e riesce solo quando scende al reale, quando rappresenta il sensuale, il sensuale, dico, nel migliore e peggior significato: del reale è veramente pittore, anzi scultore miracoloso.

Ma, se pone l'arte in cima d'ogni idea, non per ciò egli è scrittore ozioso, non per ciò egli sbizzarisce soltanto. Il Decameron non fu scritto, come una ignorante e parzial critica afferma, per trarre l'Italia al bordello: il Decameron fu opera d'opposizione contro il principio cavalleresco ed ecclesiastico. Ricordiamo che le cento novelle s'incoronano con la Griselda, stupenda rappresentazione della donna del dovere, glorioso trionfo della donna moglie e madre, come cavalieri e frati non volevano che la donna fosse. Contro cavalieri e frati, e contro i borghesi in parte, il ridicolo, il grottesco, il triviale e il sublime, sí, anche il sublime, sono in cotesta grande commedia umana del plebeo certaldese adoperati come niuno gli adoperò dopo Aristofane e avanti il Molière. Il Decameron, la commedia umana di Giovanni Boccaccio, è la sola opera comparabile per universalità alla Commedia divina di Dante. Due grandi artisti, con intendimenti diversi, da opposti lati, sorpresero e abbracciarono tutt' insieme con un olimpico sguardo due mondi antipodi, e gl'improntarono vivi e spiranti in tale una materia e forma, che è marmo per lo splendore e la durata, cristallo per la trasparenza.

VIII.

Cosí in Dante nel Petrarca nel Boccaccio si raccoglie la somma della letteratura del secolo decimoquarto, del periodo del comune; nel quale il principio nazionale con i suoi due elementi romano ed italico s'equilibrò da prima e poi prevalse agli altri princípi: s'equilibrò nell'opera di Dante al principio ecclesiastico, trasformò in quella del Petrarca il principio cavalleresco, e all' uno e all' altro. prevalse in quella del Boccaccio. Cosi Dante, il Petrarca, il Boccaccio, accogliendo in sé il secolo decimoquarto, quel secolo, cioè, nel quale il movimento democratico de' comuni attinse l'ultima velocità e pienezza, diedero ancora alla letteratura nazionale la materia e gl' instrumenti e le forme che meglio fiorirono nell' età migliori e che durano ancora: Dante, la lingua lo stile e gli animi a tutta la poesia; il Petrarca, i metri e le forme alla lirica; il Boccaccio, l'ottava e il periodo alla epopea e alla prosa del Rinascimento. E come il Rinascimento muove da essi, cosí nelle opere loro è in germe il fiore lussureggiante dell' arte del cinquecento: v'è quel carattere speciale che fu proprio della nostra letteratura e pe 'l quale ella è quasi mezzo tra l'arte antica e l'arte del medio evo, tra la Grecia e la Germania; quel, come uno scrittor tedesco lo chiama, non pure presentimento, nato da affinità, del bello classico, ma vera affinità elettiva con quello spirito intelligente e discreta proporzione in tutte cose che

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