Sayfadaki görseller
PDF
ePub

e da

un punto con la costituzione del 1282, questa scuola fiorentina, che incominciata dal Cavalcanti Dante si fa a poco a poco scuola toscana di parte bianca, bisogna che divenga, mercé la sventura e l'esilio, letteratura italiana e nazionale. Come ella ha di molto avanzato tutte le scuole che la precederono, cosí i termini di lei devono esser trapassati a volo da un uomo :

Cosí ha tolto l'uno all' altro Guido
La gloria della lingua; e forse è nato
Chi l'uno e l'altro caccerà di nido (1).

[ocr errors]

II.

Ma nemo fit repente summus, et alta aedificia paullatim aedificantur, diceva Gregorio settimo (2), che di alti edifizi doveva conoscersi un poco. Quando l'Allighieri cominciò a rimare, viveva ancora in Toscana una tal quale poesia di transizione. L'abbiamo già notato: ora dichiariamo meglio la cosa. Alcuni v'erano, Dante da Maiano per esempio, i quali, come se nulla fosse mutato, seguitavano l'opera dei provenzali e de' siciliani. Altri, e alla lor fronte. Guittone, sentendo che cotesta maniera di poesia era finita o su 'l finire, crederono poter rinnovarla con allargarne le facoltà, con modificarne le forme. A costoro Dante procedé forse troppo severo: perocché un senso vago dell' italianità essi lo ebbero,

(1) Purg. XI 97. (2) Epist. II XLIII.

avvertirono che a costringere la poesia entro un solo argomento si risicava non tanto di mortificarla quanto anche di snaturarla e rivolgerla dall' officio suo; ond'è ch' e' tolsero più d'una volta argomenti religiosi e morali alle lor canzoni, e Guittone e Pannuccio pisano segnatamente indirizzarono primi alle città d'Italia e a' lor grandi parole nobili e ispi rate veramente dall' amor della patria e del bene. Ciò non toglie che e' non esagerassero il già esagerato linguaggio di moda, ch' e' non iscambiassero per novità i concetti sforzati le frasi oscure e contorte, ch'e' non fossero e nella sostanza e negli esterni adornamenti fastosamente meschini. Plebei, secondo ne li taccia Dante, intieramente non furono. Vero è che accettavano liberamente forme e cadenze da vari dialetti, e vi andavan mescolando provenzalismi e francesismi in buon dato. Ma il prin cipale e più fastidioso lor vizio sta anzi nella ricercatezza e nella pretensione: essi abondano d'iperbati e di modi latini. Si vede che già con le idee della ristorazione romana il latinismo filtrava nelle vene della nuova letteratura; ma non essendo ella ancora tanto robusta quanto bastasse ad assorbirlo e assimilarselo, ne seguitò come un'indigestione, che dimagrava e chiazzava di lividore e di pustole il bel viso della giovane figliuola di Roma. Aggiungasi a ciò la smania del difficile, propria d' ogni letteratura di transizione che non può conseguire la grandezza vera dell'arte; smania che suggeriva a quei rimatori l'accozzo de' metri men consenzienti e certe lungaggini di stanze con la monotona e trista

ripetizione dei medesimi suoni; che li spingeva a intrudere la rima al mezzo fin due o tre volte nel corpo d'un verso e con lontanissime combinazioni, a scomporre il logico ordine del sonetto e triplicarlo e quadruplicarlo con versi minori; aggiungasi insomma i soliti mezzucci, che vengono ad essere soli argomenti di singolarità in certi periodi dell' arte, ed avremo l'idea della scuola di transizione del secolo decimoterzo, mezzo provenzale e mezzo latina, mezzo cavalleresca e mezzo civile, mezzo monastica e mezzo sensuale, mezzo aristocratica e mezzo plebea. Al di sotto della quale altri rimatori v'erano, come Rustico di Filippo in Firenze, Cecco Angiolieri in Siena, Cene della Chitarra in Arezzo e Folgore da San Gimignano, che scorrazzavano pel campo della poesia a quel modo che avrebbero corso una gualdana costoro o versificavano avvertimenti di morale e di cortesia, o cantavan d' amore alla buona, o si berteggiavano tra loro, o trattavano già la satira familiare e politica: erano in somma gli avi o gli atavi del Pucci, del Burchiello, del Pistoja, del Berni; un po' troppo semplici alle volte, ma candidi; un po' grossolani, ma vivi; un po' villani, ma forti; meglio a ogni modo che le caricature della scuola di transizione.

:

Ora l'Allighieri, che doveva poi cosí superbamente fastidire Guittone e i seguaci di lui e disprez zare con gravità di critico dottrinale i rimatori plebei, l'Allighieri in principio tenne un po' degli uni e non isdegnò d'accostarsi agli altri. Ed è naturale: niun ingegno, per grande che sia, può declinare la

forza influente delle circostanze, massime nella giovinezza. Chi considerasse Dante come un poeta primitivo, nel significato un po' incerto e vaporoso che si dà a quell' aggiunto; chi lo chiamasse più deterinatamente il creatore della nostra poesia e venisse rpetendo la ricantata imagine della lingua italiana uscita tutt' armata dal capo di lui come Pallade da quel di Giove; quegli mostrerebbe di non intendere né Dante né l'età di lui né la maniera di svol gersi d'una letteratura. Né una lingua né un sistema di poesia si trova o si crea da un uomo, e imaginatelo quanto volete grande e potente: come l'accozzo degli atomi nel sistema di Epicuro, una infinità di elementi a pena percettibili, e combinazioni variatissime, ed esperimenti e mutazioni e innovazioni succedentisi per lo più senza nome e senza storia, compongono la prima età d' una letteratura; ma le forme ci sono già tutte, quando viene l'uomo fatale che, sebbene non le abbia create egli, perché nulla si crea, pur le fa immortali nella sua gloria. L'esametro e l'epos esistevano prima di Omero: prima di Dante esisteva anche di più, perocché il medio evo, tempo di civiltà (dico cosí perché non ricordo altro vocabolo più speciale e confacentesi a questo caso) fermentata dalla corruzione, abonda di produzioni spirituali od artistiche complicatissime e nella esuberanza della forma grottesche e mo

struose.

O non tiene egli, per venire agli esempi, della maniera di que' rimatori che trattavano l'amore alla buona e la poesia con una tal quale natural facilità

il vaghissimo sonetto a Guido Cavalcanti, ove son nominati ed egli e Lapo e monna Vanna e monna Bice cosí famigliarmente e contro alla legge cavalleresca, che poi s'impose per alcun tempo il poeta, di tacere il nome della donna sua? Vero è che Dante ha pur sempre rialzato e rinsanguato la maniera de' suoi predecessori e coetanei un po' piana e pedestre, un po' smorta: co 'l fervore del cuor suo meditabondo egli ha dato al realismo un colorito quasi magico e alla famigliarità un afflato lirico, ha dato al verso semplicissimo un' ala come di colomba, in quelle due quartine, cosí lontane dall' alta intonatura e dal fare sostenuto di lui, cosí uniche nella poesia italiana, in quelle due quartine le quali favellano e cantano e sognano e volano tutt'a un tempo:

Guido, vorrei che tu e Lapo ed io

Fossimo presi per incantamento,

E messi in un vascel ch' ad ogni vento
Per mare andasse a voler vostro e mio;
Sicché fortuna od altro tempo rio

Non ci potesse dare impedimento,
Anzi, vivendo sempre in un talento,
Di stare insieme crescesse il disio.

Divina ebrietà, nella quale il giovane sfugge alla vita per meglio sentire la vita! divino sogno di Dante quello di sperdersi con l'amore e la felicità su l'oceano immenso, sempre avanti, sempre avanti, e per il sereno e per la tempesta, fuori dalle vicende della natura e della società umana, nell'oblio del

« ÖncekiDevam »