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metrica dell'antica poesia, e più volte non conoscevano né pur la lingua antica. È uno sgomento a pensare quanto leggera e vana nella sua pesantezza sia la maggior parte della critica letteraria italiana di questo secolo! E non solo di questo. Fin nel cinquecento era già oscurata o smarrita la tradizione della veramente nazional poesia del secolo decimoquarto. Quelle rime della Vita Nuova che incominciano O voi che per la via d'Amor passate e le altre alla Morte villana (1) Dante e nel racconto e nell' esposizione le qualifica più volte per sonetti. Ma il Bembo (2) e l' Ubaldini (3) vogliono ch'e' sien canzoni e che Dante usasse qui il vocabolo " sonetto,, nel senso generico che allora aveva. Ciò ripeterono il Redi (4) e il Galvani (5), sebbene il primo venisse poi a dire che ne' suoi testi a penna quelle due poesie di Dante e un' altra della stessa verseggiatura pur co'l nome di lui che incomincia Quando il consiglio erano intitolate del nome di "sonetti rinterzati, „ e il secondo inchinasse a riconoscer per tale anche O voi che per la via. Il Salvini in una postilla alla presente poesia (6) nota per singolare che Dante "chiami sonetto questa canzonetta; „ e rimanda alle Annotazioni del Redi, e avverte poi egli che "gl' inglesi tutte le canzoni chiamano songs, cioè suoni „. Il

(1) V. N. vi e viii.

(2) Della volg. ling., lib. II.

(4) An

(3) Indice al tratt. Del reggim. e dei cost. delle donne di F. DA BARBERINO [Roma, De Romanis, 1815] pag. 96 dell' indice. notaz. al Bacco in Toscana, Firenze, Matini, 1685, pag. 103 € segg. (5) Osservaz, sulla poesia de' Trov. IX. (6) Vita Nuova per cura di A. TORRI, Livorno, 1843, pag. 119.

Quadrio (1) vuole ridurre alla specie delle ballate questa poesia e gli altri sonetti rinterzati, e ciò per "ubbia sua sistematica di riconoscere e ritrovare nella lirica italiana la strofe e l'antistrofe, l'epodo e l'antepodo de' Greci, sebbene piú innanzi (2) avesse trattato lungamente de' sonetti rinterzati. Il Fraticelli, il Torri, il Giuliani, nelle loro note alla Vita Nuova, seguendo il Salvini e il Quadrio, affermano recisamente che Dante chiama sonetto quel che è ballata. L'Affò (3), gli editori milanesi della Vita Nuova (4), i traduttore tedesco Förster (5), il Witte nelle annotazioni alla versione tedesca delle rime di Dante (6), tornano alla verità e riconoscono in questa e nelle altre consimili poesie veri sonetti doppi o rinterzati, come gli antichi amavano farne e come gli han descritti ed espostene le regole Antonio da Tempo eidino da Sommacampagna (7). Se non che doppi o rinterzati non è lo stesso: i sonetti doppi e i rinterzati questo avean di comune che alla loro intealatura organica di endecasillabi erano frammisti degli eptasillabi, due per ogni quadernario, tra il primo e il secondo, tra il terzo e il quarto verso, con la varia abitudine di rime propria de' sonetti.

(1) Storia e rag. d' ogni poes. lib. 11, dist. 1, cap. IV, parte iv. 2 Lib. I, dist. 1, cap. 1, parte XI. (3) Dizionar. precett. della pues, volg. (4) Vita nuova ridotta a lezione migliore: Milano, Fogliani, 1827. (5) Das neue Leben von Dante Alighieri: Leipzig, F. A. Brockhaus, 1841. (6) Leipzig, Brockhaus, 1842. (7) DA TEMPO, Trattato delle Rime volgari, Bologna, Romagnoli, 1869: 1. DA SOMMACAMPAGNA, Trattato dei ritmi volgari, Bologna, Romagnoli, 1870.

La differenza tra le due specie metriche incominciava da' ternari: che se in questi, dopo il secondo e il quinto verso inframmettevasi un eptasillabo, in modo che le due sirime (terzetti) resultassero di quadernari come le fronti (quartetti) di senari, o se anche interponevasi un altro eptasillabo dopo il primo e dopo il secondo sí che le sirime resultassero di cinque versi come adoperò Guittone, il sonetto era e dicevasi doppio: ma, se a ciascun ternario interponevansi tre versi, due eptasillabi e un endecasillabo, in modo che la sirima da ternaria divenisse senaria come la fronte, allora il sonetto era e dicevasi rinterzato: e di questa ultima guisa è il sonetto apologo della cornacchia, i due della Vita Nuova sono doppi. Né il sonetto doppio o rinterzato è, come opinava l'Affò, d'invenzione di Dante. Il primo a farne, e nel bel numero di vent' uno, tengo fosse Guittone: è una forma di artifiziata difficoltà che armonizzava alla maniera poetica di lui. Ne fecero anche i rimatori di quella scuola, Pucciandone Martelli e Geronimo Terramagnino da Pisa e un incerto. Il Redi e il Crescimbeni (1) ne menzionano pur di Pier della Vigna, di Pannuccio dal Bagno, di Nocco di Cenni, di Frediano da Pisa, di Maserello da Todi, di Guido Guinizzelli, di Lapo Salterello, di Niccolò Soldanieri e di Francesco di messer Simone Peruzzi. Quello di Pannuccio dal Bagno che il Redi pubblicò e il Quadrio e il Crescimbeni riportarono come sonetto doppio, non è veramente

(1) Dell' ist. della volg. poes., lib. 1, pag. 82 e segg.

tale e né pur sonetto, da poi che vi manca l'intelaiatura organica dei quattordici versi endecasillabi: di Pier della Vigna e di Guido Guinizzelli niuno ha veduto i sonetti o doppi o rinterzati che il Crescimbeni attribuisce loro, e dubito possa esservene. Cotesta è una forma della scuola di Guittone: Dante giovinetto la riprese e perfezionò tre coetanei di Dante, Guido Orlandi, Dino Compagni e Lapo Salterello la usarono una o due volte; il Cavalcanti la disdegnò nel trecento la rinnovarono sol una volta Cino, Matteo Frescobaldi e ser Ventura Monaci: di Niccolò Soldanieri e di Francesco Peruzzi citati dal Redi, non so.

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E né pure sono inchinevole a recare in dubbio certi sonetti che appaiono essersi scambiati, non so fermare se avanti la morte di Beatrice o dopo, se nella gioventú prima o circa i trent'anni, Dante e Forese Donati. E' mi paiono un saggio assai rilevante di quella satira tra individuale e di famiglia e di parte che rende cosí intiera la sembianza di quello scorcio di secolo ringhioso e gentile, che tanto bene si conveniva a quegli uomini oggi banchettanti insieme e domani uscenti ad azzuffarsi in una cavalcata o prorompenti a bandirsi per barattieri dopo un colpo di stato: satira che anche 1 Cavalcanti amò fare, nella quale fu eccellente Rustico di Filippo, e che poi vedesi sviluppata a tragica perfezione nella Commedia. Quando l'Allighieri scriveva contro Forese i versi che ora ripor terò, faceva egli la burla, e anche tra i popolani aristocratici del 1295 usava scanagliarsi per vezzo

come poi tra i nobili cortigiani del Magnifico usavano Luigi Pulci e il Franco? O il poeta era in un momento d'ira contro il marito di Nella e contro tutti i Donati, la casata dei facimale come il popolo li chiamava? Altri vegga: a ogni modo, da questi versi, per chi abbia il gusto e l'orecchio all'antica poesia e al fare di Dante, apparrà, spero, la granfia del leone.

Bicci novel, figliuol di non so cui
S'i' non ne dimandassi monna Téssa,
Giú per la gola tanta roba ha messa
Che a forza or gli convien torre d'altrui.

E già la gente si guarda da lui,

Chi ha borsa allato, là dov' e' s'appressa,
Dicendo Questi c'ha la faccia fessa
È piuvico ladron negli atti sui.

E tal giace per lui nel letto tristo

Per téma non sia preso a lo 'mbolare
Che gli apparten quanto Giuseppe a Cristo.

Di Bicci e de' fratei posso contare,
Che, per lo sangue lor del mal acquisto,

Sanno a lor donne buon cognati stare.

Questo sonetto primo lo pubblicò il Fiacchi (1) insieme con altro Chi udisse tossir come di Dante e indirizzati a Forese, e pubblicò le risposte di questi.

(1) In Scelta di rime ant. ined., Firenze, Borgo Ognissanti, 1812 [estr. dal vol. XIV della Collezione d'opuscoli scientifici e letterari ecc.].

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