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Cosi pensava e scriveva quest' alpinista del secolo decimoquarto, che alcuni si figurano come un canonico grasso vagheggiatore di femmine, e non fu mai prete. Fu de' migliori geografi del tempo; e anche si può credere che delineasse egli la prima carta d'Italia. Nella conformazione della penisola (formosum corpus Italia), che egli descrisse a parte a parte nelle opere latine, con quello stesso amore che "le belle bembra, della sua donna, vide anche "lo stivale „; segno e testimonianza per lui del supremo impero; quasi l'Italia fosse dal sito stesso "destinata a pigliare o a calcare il mondo „. Come in quelle opere latine abondi il sentimento della natura mostrò a questi ultimi anni Bonaventura Zumbini in uno de' suoi studi petrarcheschi; e molte altre qualità e virtú, che possono anche parer nuove, vi abondano. Dopo le fatiche del Rossetti, del Fracassetti e dell' Hortis, chi renderà leggibili quelle opere, in una scelta, all' Italia non dotta? Chi con un libro composto un po' meglio di quel del Levati, lodevole almeno per l'intenzione (Viaggi del Petrarca), farà meglio conoscere al popolo italiano uno degli ingegni che piú onorano la nazione, farà meglio amare uno de' piú nobili cuori che mai abbiano battuto per la patria e per l'ideale? E perché Italia e Francia, le quali alle loro belle stagioni gareggiarono e gareggiano nel culto del poeta, non potrebbero, auspice quel valoroso e gentile Pier di Nolhac che promette farsi vie più sempre benemerito del Petrarca, sancire novellamente un patto di fratellanza e celebrare il non

lontano sesto centenario della nascita di messer Francesco procurando a studi e spese comuni un' intiera e critica edizione a punto delle opere latine?

1 giugno 1882

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UESTI vostri plausi, o signori, mi ripungono a pentirmi della promessa di parlare. Anche stamane ho ricevuto un terzo telegramma di sollecitazione a comporre versi su la morte del Generale. Io non so di aver finora dato prove di cuore cosí misero e duro, che altri mi possa tenere per pronto a mettere insieme delle sillabe quando un tanto dolore colpisce la patria e me, quando io ho qui sempre dinanzi agli occhi della mente e quasi a quelli del corpo il cadavere dell' uomo che ho piú adorato tra i vivi. Ma in Italia (e gli adulatori dicono che è bene, quasi un segno delle disposizioni di questo popolo all' arte), ma in Italia, come le donne nelle disgrazie del vicinato giuocano tre numeri al lotto, cosí nei casi della nazione non man

cano mai tribuni e verseggiatori che giuochino tre frasi o tre rime al terno della popolarità o della celebrità. Io non sono di quelli (Applausi). No, non applaudite, vi prego, quando anche il vostro plauso sonasse non altro che assentimento alle cose forse non vili che sono per dirvi e venerazione all'eroe che piangiamo. Non applaudite, vi prego. Non disturbate i sacri silenzi della morte. Pensate che il Generale giace immoto, cereo, disfatto, là tra i funebri lumi nella stanza di Caprera. Piangiamo, e lamentiamo i fati della patria.

II.

La rivelazione di gloria che appari alla nostra fanciullezza, la epopea della nostra gioventú, la visione ideale degli anni virili, sono disparite e chiuse per sempre. La parte migliore del viver nostro è finita. Quella bionda testa con la chioma di leone e il fulgore d'arcangelo, che passò, risve gliando le vittorie romane e gittando lo sgomento e lo stupore negli stranieri, lungo i laghi lombardi e sotto le mura aureliane, quella testa giace immobile e fredda su 'l capezzale di morte. Quella inclita destra che resse il timone della nave Piemonte pe 'l mare siciliano alla conquista dei nuovi destini d'Italia, quella destra invitta che a Milazzo abbatte da presso i nemici co'l valor securo d'un paladino, è in dissoluzione. Sono chiusi e spenti in eterno gli occhi del liberatore che dai monti di Gibilrossa fissarono Palermo, gli occhi del dittatore che sul

Volturno fermarono la vittoria e constituiron l'Italia. La voce, quella fiera e soave voce che a Varese e a Santa Maria gridò Avanti, avanti sempre, figliuoli! Avanti, co' calci de' fucili! e dalle rocce del Trentino espugnate rispose Obbedisco

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quella voce è muta nei secoli. Non batte più quel nobile cuore che non disperò in Aspromonte né si franse a Mentana. Giuseppe Garibaldi giace sotto il fato supremo. E il sole intanto risplende su l'Alpi italiane che non sono piú nostre, su'l mare che non è più il “ mare nostro. "}

La sua potenza si è dipartita da noi; e a noi non resta che la sua gloria e il sublime compiaci. mento di averlo avuto coetaneo. Egli fu una di quelle anime complesse e riccamente dotate della. più alta umanità, quali sa darle la gente nostra nelle sue produzioni fatali. La correzione e purità in lui de' lineamenti eroici persuade di assomigliarlo a quei magnanimi greci che liberarono le patrie loro dalle tirannie straniere e domestiche, a Milziade, a Trasibulo, a Timoleone, a Epaminonda, a Pelopida; ma la scarsezza dei fatti dalla parte loro o la non rispondenza degli effetti vietano intiero il paragone. Degno ei senza dubbio di essere comparato ai migliori romani, se in lui il senso umano non fosse più profondo e gentile che non potesse per alcune parti e per molte ragioni essere in quelli, se egli non avesse di più quell' istinto di cavalleresche avventure che è proprio delle razze nuove e miste. E per quel suo impeto di eroico avventuriere e per la ferma devozione agli ideali verrebbe voglia di

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