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Giovan Villani contemporanei di Dante, ma quegli più vecchio, questi più giovane di lui; i quali amendue avremo occasioni di conoscere ampiamente. Avevano pur allora incominciato a novellare alcuni antichi, ma non era nato ancora il sommo dei novellatori; e forse già vivevano fra Jacopo Passavanti, ed altri scrittori di libretti di divozione, e vite de' Santi. Ma di tutti questi non mentovati da Dante mai, nè entrati nelle azioni di lui, basti aver fatta memoria, a compiere il novero degli scrittori che gli fecer corona in patria.

Bensì i nomi di Cimabue e di Giotto pur testè introdotti, mi ammoniscono a far cenno dell' arti, che furono un altro grande e simultaneo progresso, un'altra parte di quella civiltà fiorentina. È noto, come sorte le arti antichissimamente nell' Italia, a un tempo, se non prima, che in Grecia, non progredite poi, ed anzi spentevisi ai primi tempi romani, ci fossero riportate dai vinti Greci, e quindi da essi più, che dai Romani coltivate fino al tempo della barbarie; come poi, durante questa, dormissero, e non fossero se non di rado, e goffamente trattate dagli artefici Bizantini; e come

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finalmente nel secolo XII, in tempi già vicini al nostro assunto, elle rinascessero in Pisa tentissima e ricchissima fra le città d'Italia, nell'edificazioni del Campo santo, del Duomo, della Torre, e del Battistero, e per opera poi di Nicola Pisano scultore. Rinacque allora l'arte, non più a morire in fasce come l'antica italica o a viver d'imitazioni e di opere straniere come la romana ; ma tutta nuova ed originale italiana, e più specialmente toscana, a correre un periodo splendidissimo, e non cessato in Italia, e a diffondersi quindi in tutto il mondo moderno cristiano. Del resto tal progresso dell'arti seguì le medesime vie al medesimo tempo, che quell'altro delle lettere; essendo esse dalla vicina Pisa venute a mezzo il secolo XIII in Firenze. Dove, trascurando i più oscuri, primo appunto si conta Cimabue; e, scolaro, seguace, e superator di quello, Giotto, l'altro nomato da Dante e contemporaneo di lui. Quanto grandi fossero i passi fatti fare all'arte dal primo, quali dal secondo, non è assunto nostro il ragionarne; ma vedesi in tutto, che ne furono meravigliati i contemporanei. Nè Dante si contentò di testimoniarne, e rallegrar

sene, ma fu coltivatore, o se si voglia, dilettante d'arti; e primo fra gli scrittori, fu amico del primo artista di sua età. Bella fratellanza, e non insolita, tra' sommi; i quali lasciano a lor minori le invidiuzze, e le dispute di superiorità tra l'arti diverse d' ognuno. Di Giotto nato nel 1276 e morto nel 1336, e così sopravvivuto a Dante, dice Benvenuto da Imola, che ebbe famigliarità con esso; e narra che nella sua gioventù dipingendo una cappella a Padova, vi capitò Dante, e fu dal pittore condotto a casa. 23 Il Vasari poi riferisce, che le storie dell' Apocalisse dipinte da Giotto in S.ta Chiara di Napoli « furono per quanto si dice, invenzioni di Dante; come per avventura furono anche quelle tanto lodate d'Ascesi...... E sebbene Dante in questo tempo era morto, potevano aver avuto, come spesso avviene fra gli amici, ragionamenti. » Che Dante poi di sua mano disegnasse egli stesso, ci è ricordato in un luogo della Vita Nova che recheremo poi; ❝e che egregiamente disegnasse " ce lo afferma Leonardo Aretino, il secondo dei Bio

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(23) Benven..Imol. Com. Purg. XI, in Murat. Ant. Ital. I, p. 1185.

grafi di lui, che potè forse vedere de' suoi disegni, 24

Ed ora si scorge quali fossero i progressi d'ogni maniera, lingua, poesia, prosa, ed arti, già fattisi al sorgere di Dante; e qual luogo già distinto ei vi tenesse fin d'allora intanto che v'ottenesse il primo. Ma vedesi, che ei non fu, come dicesi da taluni, quasi astro solitario in notte nuvolosa, o rigogliosa pianta in deserto; chè queste sono immagini fantastiche e fuor di natura e verità. Nè so terminare questo specchio della civiltà e dello splendore di Firenze nei primi anni di Dante, senza pur aggiungervi una narrazione del Villani, che mi sembra compiere il ritratto della vita colà vivuta. Negli anni di Cristo 1283 del mese di giugno >> (così ai diciotto anni compiuti di Dante ) «per la festa di s. Giovanni, essendo la città di Firenze in buono et pacifico stato, et in grande, tranquillo e utile per li mercatanti et artefici, et massimamente per li Ġuelfi, che signoreggiavano la terra, sì si feçe nella contrada di santa Felicita oltr' Arno, onde furono capo i

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(24) Leonardo Aretino in Dante, Ediz. Minerv. p. 59.

Rossi con loro vicinanza, una nobile e ricca compagnia, vestiti tutti di robe bianche, con uno signore detto dello Amore. Per la qual brigata non s' intendea se non in giuochi et in solazzi, et balli di donne, et di cavalieri popolani, et altra gente assai honorevoli, andando per la città con trombe et molti stromenti stando in gioia et allegrezza, a gran conviti di cene et desinari. La quale corte durò presso a due mesi, e fu la più nobile e nominata, che mai si facesse in Firenze et in Toscana. Alla quale corte vennero di diverse parti e paesi molti gentili uomini di corte e giucolari, e tutti furono ricevuti e provveduti honorevolmente. Et nota, che ne' detti tempi la città di Firenze co' suoi cittadini fu nel più stato, che mai fosse, et durò infino li anni di Christo 1289 allhora che si cominciò la divisione tra 'l popolo e grandi, e appresso, tra' Bianchi e Neri. Et havea ne’detti tempi in Firenze da CCC cavalieri di corredo, e molte brigate di cavalieri e di donzelli, che sera e mattina riccamente metteano tavola, con molti huomini di corte, donando per le Pasque molte robe vaie; onde di Lombardia, e di tutta

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