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Capitano, e a' giovani cavalieri, che aveano bisogno di riposo, parve avere assai fatto di vincere, sanza perseguitarli. Più insegne ebbono di loro nimici, e molti prigioni; e molti n'uccisono, che ne fu danno per tutta Toscana. Fu la detta rotta a dì 11 di giugno 1289 il di di San Barnaba, in uno luogo, che si chiama Campaldino presso a Poppi 18. „

Spero che i miei lettori non mi sapranno mal grado, trattandosi del primo o maggior fatto d'arme, ove siasi mai trovato Dante, d'aver loro recata la descrizione così viva del Compagni. Il Villani narra in modo concorde questa battaglia, e la dice la più ordinatamente combattuta, che sia stata a quei tempi in Italia. E su messer Vieri de' Cerchi, e messer Corso Donati, che in Dino si vedono aver portato il vanto della giornata, aggiugne altri ticolari importanti per il seguito di nostra storia, di che questi due sono, dopo Dante, le persone principali. Era costume di quelle osti, dove il valor personale potea tanto più che non ora, fare ingaggiar la battaglia da alcuni

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(18) Dino Comp. Rer. It. pp. 473, 474

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guerrieri, che dicevansi feditori, ed erano scelti da' Capitani d'ogni sesto della Città. Centocinquanta se ne fecero. Ed essendo messer Vieri de' Cerchi de' Capitani, et malato di sua gamba, non lasciò però, che non fosse de' feditori. Et convenendoli eleggere per lo suo sesto, nullo volle di ciò gravare, più che volesse di sua volontà; ma elesse se e 'l figliuolo e' nepoti. La qual cosa li fu messa in grande pregio; et per suo bono esemplo, et per vergogna molti altri nobili cittadini si missono tra' feditori 19. Messer Corso Donati poi che era allora pode stà di Pistoia, avea sotto di sè, oltre i Pistoiesi anche i Lucchesi, ed altri forestieri in riserva e con a comandamento di star fermo e non fedire sotto pena della testa.» Ma « quando vidé cominciata la battaglia, disse come valente cavaliere: Se noi perdiamo, io voglio morire nella battaglia co'miei cittadini; et se noi vinciamo, chi mi vuole, vegna a noi a Pistoia per la condannazione; et francamente si mosse con sua schiera, et fedio i nimici per costa, et fu

(19) Vill. p. 327

Vol. I

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grave cagione della loro rotta 20. Certo ad ogni buon estimatore parrà qui il fatto di messer Vieri militarmente e civilmente più virtuoso, che non quello di messer Corso. Ma notinsi i due, come primo segno d'una emulazione, bella allora ed utile, in breve viziosa e perniciosissima alla patria, e per colpa principalmente della medesima tracotanza di messer Corso.

Qual parte poi prendesse Dante in questa battaglia è accennato da Leonardo Aretino; il quale, narrato quel conversare e vivere di Dante negli esercizi giovanili, continua dicendo: « Intantochè in quella battaglia memorabile che fu a Campaldino, lui giovane e bene stimato si trovò nell' armi, combattendo vigorosamente a cavallo nella prima schiera, dove portò gravissimo pericolo. Perocchè la prima battaglia fu delle schiere equestri; nella quale i cavalieri che erano dalla parte delli Aretini, con tanta tempesta vinsero e superchiarono la schiera de' cavalieri Fiorentini, che, sbarattati e rotti, bisognò fuggire alla schiera pedestre. Questa rotta fu quella, che

(20) Vill. ibi

fè perdere la battaglia alli Aretini, perchè i loro cavalieri vincitori perseguitando quelli che fuggivano, per grande distanza lasciarono addietro la loro pedestre schiera; sicchè da quindi innanzi in niun luogo interi combatterono, ma i cavalieri soli e di per sè senza sussidio di pedoni, e i pedoni poi di per sè senza sussidio de' cavalieri. Ma dalla parte de' Fiorentini addivenne il contrario; chè per essere fuggiti i loro cavalieri alla schiera pedestre, si ferono tutti un corpo, e agevolmente vinsero prima i cavalieri, e poi i pedoni. Questa battaglia racconta Dante in una sua epistola, e dice esservi stato a combattere, e disegna la forma della battaglia 21 ». E più giù reca le parole stesse di Dante in questa o in altra epistola, dove, parlando del suo priorato dell'anno 1300, dice: «< Dieci anni erano già passati dalla battaglia di Campaldino, nella quale la parte ghibellina fu quasi al tutto morta e disfatta, dove mi trovai non fanciullo nell' armi, e dove ebbi temenza molta, e nella fine grandissima alli vari casi di quella battaglia

legrezza per

(21) Leon. Aret. p. 50

22

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(22) Ivi p. 53

Dove è a notare, che se la epistola certamente latina di Dante è qui ben tradotta, chiaro è, che non fu questo il primo fatto d'arme in che si trovasse. Ad ogni modo vedesi, che Dante fu della schiera di messer Vieri de'Cerchi, cioè di quei feditori che questi non volle disegnare, ma s'offerirono eglino volontari. E dopo tal atto tanto più bella parrà quella confessione così semplice della temenza molta che ebbe al principio, e della allegrezza in fine della giornata. Gran differenza per vero dire (e fu già osservato) tra Orazio e Dante poeti. Benche, ingiurioso è ogni paragone tra quel poeta cortigiano e racconciator di sua vita epicurea appresso al vincitore, e il poeta cittadino 24 Ben tetragono ai colpi di ventura

PARAD. XVII

ed alle prepotenze della patria ingrata. Una reminiscenza di questa battaglia trovasi nel Purgatorio. Vedemmo ucciso il capitano degli Aretini Buonconte di Montefeltro. Caduto trafitto in Arno il corpo di lui non si trovò più; e come ciò avvenisse, lo fa Dante immaginosamente narrare da Buonconte stesso. Dante

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