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ED

E

SONET TO XXX.

IV.

Dor quell'alta sempiterna Idea,
Dal cui modello l'Universo uscìo;
Mira, e 'l santo disseta arso desio
Nel fonte dell' Amor, che amando crea.
mentre aperto, e non qual già solea

La Fe mirarlo, a lei si svela Iddio,

Vede a quanto gran Ben gli occhi le aprio
Morte a lei sì cortese, a noi sì rẹa:
Vede, che'l pianto, onde i suoi falli asperse,
Fecela in Ciel d' eterno riso erede,
E' vivo fonte di pietà le aperse.

Onde nel Ver via più s' interna, e vede,
Che sue sante quadrella al Ciel converse
Giammai non vibra in fallo arco di Fede:

SONET TO XXXI

ས.

VIdila in sogno più gentil, che pria,

E in un atto amoroso, e in un sembiante Sì leggiadro, e sì dolce a me davante, Che un cuor di selce intenerito avria. Voigi, mi disse, il guardo a questa mia Non più vita mortal, qual era innante; E se il Ciel non m'invidi, ah perchè a tante Stille amare per gli occhi apri la via? Piangi, piangi te stesso. Ahi non t'è noto, Che a far la vita mia di vita priva Scoccò la Morte ogni suo strale a voto? Plangi te stesso, e la tua Fede avviva; Che non ha la tua Fe senso, nè moto; E ben morto se' tu, quant' io son viva..

SONETTO XXXII.

V I.

OH di te stesso; e dal tuo fin primiero,

E da principi tuoi troppo diverso,

Che in folta nebbia di gran duolo immerso Chiudi l'egre pupille ai rai del Vero! Tolto ha di mano a tua Ragion l'impero Affetto imbelle di vil pianto asperso, Che in aure vane di sopir dispero, Quanto ha più di pietà, tanto è più fiero : E come ancor non odi, e c me puoi Non udir dentro te lo spirto mio, Che ognor parla, e risponde ai pensier tuoi? Più, che tu in te medesmo, in te son' io; E se fuori di te trovar mi vuoi,

In Dio t' affisa, e sol mi cerca in Dio:

SONET TO XXXIII.

VII.

Così parlommi, e per le afflitte vene

Spirto mi corse di conforto al core;
Ma l'Alma ingombra del suo primo errore
Pur segue aborti a partorir di pene.

Ahi come a filo debile s' atticne.

La vita e come de' nostr' anni il fiore
L'inquieta vertigine dell' ore

Calpesta, e frange! Oh mia tradita spene!
Due spirti Amor con ingegnoso innesto
Giunti avea sì, che potean dirsi un solo,
E questo in quello, e vivea quello in questo:
Sparve l'uno e spiegò ver l'Etra il volo,
Lasciando all' altro solitario, è mesto
Per suo retaggio il desiderio, e'l duolo:
B

SONETTO XXXIV.

VIII,

R chi fia, che i men noti, e più sospetti
Scogli mi mostri, onde la vita è piena,
E la turbata Sorte, e ia serena

Col proprio esempio a ben' usar m'alletti ?
Chi fia, che gli egri miei confusi affetti
Purghi, e rischiari, e dia lor polso, e lena,
E degli interni moti alla gran piena
Argine opponga di consigli eletti ?
Chi fia, che meco i suoi pensier divida,
E dei casi consorte o buoni, o rei

Al mio riso, al mio pianto, e pianga, e rida ? Fammi, o Tempo, ragion, se giusto sei, E fa ch'io perda, pria, che 'l duol m' uccida, La Memoria del Ben, se il Ben perdei.

OH

SONETTO XXXV.

IX.

H quante volte con pietoso affetto
T'amo, diss' ella, e t' amerò qual figlio!
Ond'io bagnai per tenerezza il ciglio,
E nel Tempio del Cuor sacrai suo detto.
Da indi, o fosse di natura effetto,

O pur d'alta virtù forza, o consiglio,
L'amai qual Madre, e del terreno esiglio
Temprai l'amaro col suo dolce aspetto,
Vincol di sangue, e lealtà di mente,
E tacer saggio, e ragionar cortese,
E bontà cauta, e libertà prudente,
E oneste voglie in santo zelo accese

Fur quell' esca, ov' io corsi, e a cui repente
L'inestinguibil mio foco s' accese.

SONET ΤΟ XXXVI.
X.

Foco, eui spegner de' miei pianti l'acque

Non potran mai, nè de' sospiri il vento, Perchè in Terra non fu suo nascimento, Ne terrena materia unqua gli piacque. Prima, che nascess' io, sull' Erra ei nacque, E vive, ed arde, ne giammai fia spento; Che alle faville sue porge alimento Quella, che a noi morendo, al Ciel rinacque, Anzi or la sù vie più s'accen le; e nuova Sovra le Sfere a lui virtù s'aggiunge, Ov' ei se stesso, e 'l suo principio trova; E mentre al primo ardor si ricongiunge, Rinforza sì, che con mirabil prova Più, che pria da vicin, m' arde or da lunge

Signo

SONETTO XXXVII.

XI.

Ignor, che al Mondo, e alla Natura imperi E allenti, e strigni degli affetti il feno: O più soffar m'insegna, o sentir meno Di Morte i colpi sì spietati, e fieri. Were lagrime ho sparso. e de' mie veri Sospiri è già tutto quest' aer pieno;

Nè pur quest' occhi ancor son sazi appieno, Ne fan pace ancor meco i miei pensieri. Dunque, Signor, pria, che del pianger l'uso In natura si cangi, o cuor più fortė Dammi, o'l ferro del duol più rendi ottuso; e stato cangiar non può mia Sorte, Fa, che l' carcer di vita, ov 'io son chiuso, Con chiave di pietate apra la Morte.

Signor,

SONET TO XXXVIII.

XII.

Ignor, mia sorte, e tuo mirabil dono Fu amar costei, che te ad amar mi trasse: Costei, che in me sua gran bontà ritrasse: Per farmi a te simil più, ch' io non sono. Onde in pensar, quanto sei giusto, e buono, Convien, che gli occhi riverenti abbasse, E ch'altro duol più saggio il cuor mi passe, Chiedendo a te del primo duol perdono. Ch' io so ben, che a mio pro, di lei son privo Perch' io la segua, e miri a fronte a fronte, Quanto è'l suo bello in te più bello, e vivo. Più allor mie voglie a ben' amar fian pronte, Che se in quella t'amai, qual fonte in rivo, Amerò quella in te, qual rivo in fonte. In Morte della March. D. Girolama Orsini Capponi sua Suocera

V

SONET TO XXXIX.

Edovi affetti che Costei vedete

Far bello il Ciel de' vostri danni, e miei, Deh se in lei foste afferti, e fuor di lei Altro, che di voi stessi ombre non siete, E se dolor del comun danno avere; Quanto si estinse di virtù in costei Mirate, e quanto voi, quant' io perdei, Nè piangere mai più, s' or non piangete. Seco a un tempo periro, e nacquer seco Senno, Valor, Magnificenza; ed ora, Cieco è 'l Monlo, e voi ciechi, ed io son cieco. Son cieco, e veggio per mia pena ognora, Lei, che sempre m'è lungi, e sempre è meco. Ah fosse cieco il mio pensiero ancora!

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