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A Maria Selvaggia Borghini.
SONET TO XXXX.

DAi chiari orrori di quel puro inchiostro,

Che vi rende immortal più, ch'altra mai,
Escon, Donna, sì forti, e vaghi rai

A dar luce all' Etruria, e al Secol nostro;
Che allo splendor di sì mirabil Mostro
Quand' io l'ardite mie pupille alzai,
Mi rivolsi al riverbero, e mirai

Vostr' alto ingegno col gran lume vostro. Ardo quindi da lunge, ardo, e non vedo; Ma un foco m' arde da virtute accenso, Nobil foco d' amor, se al Core io credo, Ardo, e non veggio; e pur non meno intenso Provo l'ardor, nè a chi vi vede io cedo: Ama quei quel, ch'e' vede; io quel, ch'i penso. Al Cav. Luca degli Albizzi.

Poichè

SONET TO XXXXI.

Oichè a gara in far voi di voi maggiore Stupiron l' Arti di poter cotanto,

E come in cosa di comun lor vanto, Tenner consiglio col natio valore, Coglieste voi d'ogni Doterina il fiore.

Nel quarto lustro, e i tanto gravi, e tanto, Severi Studi a raddolcir col Canto

V' inebriaste del Castalio umore.

Onde se a voi del gran Cammin sì poco
Resta; e già del saper presso alle mete.
Per voi manca nel corso al corso il loco,,
Altri Mondi a Natura omai chiedete,

Da che il visibil Mondo a poco a poco,
Scorso già tutto, e conquistato avete..

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All Abate Brandaligio Venerosi

Per la sua Canzone fatta in lode dell' Autore,

SONETTO

XXXXII.

Muse,
Use, o voi, che rompeste al doppio scoglio

Delle cure, e degli anni, e morte or siete:
Che più, che più si tarda? in piè sorgete,
Sorgete in piè; ch'io sì comando, e voglio,
Se han forza i Carmi, e se qual esser soglio
Io son, ben tosto aure vitali avrete

Dalla mia Cetra. E chi sarà, che 'l viete?
Vinta è la Morte, allorchè 'l Canto io scioglio.
Brandaligio sì disse; indi a quel raro
Suo poetico spirto aprìo l'uscita,

E in lor l'infuse sì possente, e chiaro,
Che, mal grado di Morte, appena udita
L'imperiosa voce, in piè s' alzaro
Mie morte Muse, e ritornaro in vita,
A un Amico Poeta.

SONET TO XXXXIII.

Tu, che all' Etra co' tuoi vanni alteri
M' alzi, e fin' oltre a i più remoti tempi
Porti 'l mio nome, onde d'illustri esempi
Empier la Terra, e farmi esempio io speri.
Con qual arte parer fai tu si veri

1 finti pregi, e 'l mio diferto adempi?
E'l crudo telo, che di me fa scempi,
Togli di mano al Tempo, e al Tempo imperi 2
Ma quanto forte della Fama il volo

Sia, non sa chi non sa, quanto sia forte
Più della Fama il tuo Giudicio solo.
Onde se a tanto m'innalzò mia Sorte,
A illustrarmi ciò basta, e a far, che solo
Perdoni a me per tua cagion la Morte.

NEL RIAPRIMENTO

DELL ACCADEMIA.

DELLA CRUSCA.

AL SERENISSIM O.

GRAN DUCA DI TOSCAMA.

SONETTO XXXXIV.

I.

Lto Signor, che dall' esilio indegno
I bei studi richiami, e l'opre, el Arte,
E dai voce allo stil, vita alle carte,
Spirto alla fama Etrusca, ali, all' ingegno:
Se a dir di te presuntuoso io vegno

Con roca Cetra, e in rime inferme, e sparte;
(Sia tuo dono, o mia colpa) è sempre parte
Di gran lode il ferir sì eccelso, segno
Tu del Tosco Ippocrene a me la chiusa.
Sorgente apristi; e'l tuo parlar fu il seme
Ch' empiè d'alto vigor mia steril Musa:
Parlar, che al cieco, e sregolato insieme
Viver diè norma, e luce, e alla confusa.
Disperata Virtù coforto, e speme.

N

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SONETTO. XXXXV.
I I.

Orte d' ozio, e d' error già stese avea L' ali nere sul Tosco almo Paese,

E nelle meni a vil riposo inte e Spento ogni raggio di valor paren, Quando non so, se di Stagion si rea Nobile sdegno, o se pietà ti prese; E. là il tao detto imperioso scese, Ove sopita ogni Virtù giacea.

Rotto ailor l'alto sonno, in ch' io mi vissi, Alzai le ciglia sónnachiose, e mesco

Trassi un ospir pria, che le luci aprissi. E di bell' Alba all' apparir già desto Guardai d'intorno, ed or m' accorgo, io dissi, Che di mia vita il primo giorno è questo.

SONETT O. XXXXVI,

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DA indi in qua nella svegliata mente

Un pensier nuovo in dolce stil ragiona Un pensier nuovo, che riscalda, e sprona I freddi spirti, e l'opre infe me, e lente, Egià con brame a vera gloria intente

M involo a quella, che a null' Uom perdona; E la passata età nel cuor mi tuona,

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Che i giorni miei se ne portò repente. L'amica riva, on le a Virtù si varca, Già scuopro, e là, dove approdar m' increbbe, Mentre or sospingo la pentita barca, Puolmi quanto doler mi puote, e debbe, Che d' anni, e d' ozio, e d' ignoranza capca Per tant acque solcar vele non ebbe. I'

A

SONET TO XXXXVII.
IV.

Cque infide già corsi; or la tenace
Qui di Virtute al lido Ancora io getto;
Ne più m' inganna l' infedele aspetto
D'un Mar, che ha guerre vere, e finta pace;
Nè di vane speranze aura fallace

Più mi lusinga; e nel cangiato petto
Aura si desta di più saggio affetto',
Che obbediente alla Ragion soggiace.
Onde volgomi 'ndietro a quel crudele
Mar periglioso, ov' io me quasi assorto
Vidi, e cotante alzai strida, e querele;
E dico a' miei pensier: Chi qua vi ha scorto?
Calate omai le combattute vele,

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E qui sciogliete i Voti. E' questo il Porto

JG C

SONETV

ONETT O. XXXXVIII.

Qui senza nube riposati, e lieti

Ridono i giorni; e lor sembianze belle
Spiegano a gara in queste parti, e in quelle
I tre primi dell' Arno alti pianeti
Spira qui Febo, e par, che tutte acqueti
L'interne atroci mie gravi procelle;
E d' Eloquenza il fonte acque novelle
Par, che qui versi, e che 'l più ber più asseti.
Dotti ardimenti, ed eruditi affanni

Da far ben mille volte al Tempo scorno:
Stil, che trapassa oltre il volar degli anni:
Arte, ingegno, e valor fan qui soggiorno;
El far sempre alla Morte illustri ingann
Rende di se tutto quest' aere adorno.

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