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Gloriosa possente antica Madre,

Che nel tuo grembo alberghi uomini e dei,
Di palme un tempo ornata e di trofei,
Or di più sante spoglie e più leggiadre!

Se salvo io esco dall' infeste squadre
D' affanni, di dolor, di pensier miei,
Per aver pace,
O Roma! in te vorrei
Finir queste mie notti oscure ed adre.

Sicchè fuor di prigion la carne stanca,
Dopo sì perigliosa e lunga guerra,
Si posi in una tomba schietta e bianca.

O del mondo Regina, invitta terra ! Poi ch' al giusto desir la grazia manca, Pietosa in libertà gli occhj mi serra.

PIETRO BEMBO.

Son questi que' begli occhj in cui mirando, Senza difesa far, perdei me stesso ?

È

questo quel bel ciglio a cui sì spesso Invan del mio languir mercè dimando?

Son queste quelle chiome, che legando Vanno il mio cor sì ch'ei ne muore espresso? O volto, che mi stai nell' alma impresso Perch' io viva di me mai sempre in bando!

Parmi veder nella tua fronte Amore Tener sup maggior seggio, e d' una parte Volar speme, piacer, tema e dolore;

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Dall' altra, quasi stelle in ciel cosparte, Quinci e quindi apparir senno, valore, Bellezza, leggiadria, natura, ed arte.

Sogno, che dolcemente m'hai furato

A morte e del mio mal posto in obblio,

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Da qual porta del ciel cortese e pio

Scendesti a rallegrar un dolorato ?

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Qual angel ha lassù di me spirato, Che sì movesti al gran bisogno mio? Scampo allo stato faticoso e rio

Altro che 'n te non ho, lasso trovato.

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Beato se'! ch' altrui beato fai,

Se non ch' usi troppo ale al dipartire,
E 'n poc' ora mi toi quel che mi dai.

Almen ritorna, e già che'l cammin sai,
Fammi talor di quel piacer sentire,
Che senza te non spero sentir mai.

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Quella che co' begli occhj par che invoglie Amor di vili affetti e pensier casso,

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E fa me spesso quasi freddo sasso
Mentre lo spirto in care voci scioglie;

Del cui ciglio in governo le mie voglie
Ad una ad una e la mia vita lasso;
La via di gir al ciel con fermo passo
M'insegna, e'n tutto al volgo mi ritoglie.

Legga le dotte ed onorate carte,

Chi ciò brama; e per farsi al poggiar ale,
Con lungo studio apprenda ogni bell' arte;

Ch'io spero alzarmi ov' uom per sè non sale,
Scorto da i dolci amati lumi, e parte

Dal suono all'armonia celeste eguale

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Lieta e chiusa contrada! ov' io m'involo Al vulgo, e meco vivo, e meco albergo Chi mi t'invidia or che, i Gemelli a tergo Lasciando, scalda Febo il nostro polo ?

Rade volte in te sento ira, nè duolo, Nè gli occhi al ciel sì spesso e le voglie ergo, Nè tante carte altrove aduno e vergo, Per levarmi talor, s'io posso, a volo.

Quanto sia dolce un solitario stato Tu m'insegnasti, é quanto aver la mente Di cure scarca e di sospetti sgombra.

O cara selva, o fiumicello amato! Cangiar potess' io't mare, e il lito' ardente Con le vostre fredd' acque e la verd' ombra!

Comp. Lir. IV

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