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S'io avessi pensato che sì care
Fossin le voci de' sospir mie' in rima,
Fatte l'avrei dal sospirar mio prima
Il numero più spesse, in stil più rare.

Morta colei che mi facea parlare,
E che si stava de' pensier mie' in cima,
Non posso, e non ho più sì dolce lima,
Rime aspre e fosche far soavi e chiare.

E certo ogni mio studio in quel temp' era
Pur di sfogare il doloroso core
In qualche modo, non d'acquistar fama .

Pianger cercai, non già del pianto onore; Or vorrei ben piacer, ma quella altera Tacito stanco dopo sè mi chiama .

Soleasi nel mio cor star bella e viva, Com' alta donna in loco umìle e basso; Or son fatt' io per l' ultimo suo passo Non pur mortal, ma morto; ed ella è diva!

L'alma d'ogni suo ben spogliata e priva, Amor della sua luce ignudo e casso Devrian de la pietà romper un sasso; Ma non è, chi lor duol riconti o scriva :

Che piangon dentro, ove ogni orecchia è sorda, Se non la mia, cui tanta doglia ingombra, Ch' altro, che sospirar, nulla m'avanza.

Veramente siam noi polvere ed ombra; Veramente la voglia è cieca e ingorda ; Veramente fallace è la speranza .

Quella, , per cui con Sorga ha cangiat'Arno, Con franca povertà serve ricchezze

Volse in amaro sue sante dolcezze,

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Ond' io già vissi, or me ne struggo e scarno.

Da poi più volte ho riprovato indarno Al secol, che verrà, l'alte bellezze Pinger cantando, acciò che l'ame e prezze; Nè col mio stile il suo bel viso incarno.

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Le lode mai non d' altra, e proprie suc Che 'n lei fur, come stelle in cielo, sparte, Pur ardisco ombreggiar or una, or due;

Ma poi ch'i' giungo alla divina parte, Ch'un chiaro e breve Sole al mondo fue, Ivi manca l'ardir, l'ingegno, e l'arte.

L'alto e novo miracol ch'a' di nostri Apparve al mondo, e star seco non volse, Che sol pe mostrò 'l ciel, poi sel ritolse Per adornarne i suoi stellanti chiostri,

Vuol ch'i' dipinga a chi nol vide, e'l mostri, Amor, che 'n prima la mia lingua sciolse, Poi mille volte indarno all' opra volse Ingegno, tempo, penne, carte, e inchiostri.

Non son al sommo ancor giunte le rime ; In me 'l conosco; e proval ben chiunque, È'nfin a qui, che d'amor parli o scriya.

Chi sa pensare il ver, tacito estime, Ch' ogni stil vince; e poi sospire: adunque Beati gli occhi che la vider viva.

Valle, che de'lamenti miei se' piena, Fiume, che spesso del mio pianger cresci, Fere silvestre, vaghi augelli e pesci Che l'una e l'altra verde riva affrena "

Aria de' miei sospir calda e serena, Dolce sentier, che sì amaro riesci, Colle, che mi piacesti, or mi rincresci, Oy' ancor per usanza Amor mi mena!

Ben riconosco in voi l'usate forme, Non, lasso in me; che da sì lieta vita Son fatto albergo d'infinita doglia .

Quinci vedea'l mio bene, e per quest'orme Torno a veder, onde al ciel nuda è gita Lasciando in terra la sua bella spoglia.

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