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Conobbi, quanto il ciel gli occhi m'aperse, Quanto studio ed amor m'alzaron l'ali, Cose nove e leggiadre, ma mortali, Che'n un soggetto ogni stella cosperse.

L'altre tante sì strane e sì diverse Forme altere, celesti ed immortali, Perchè non furo all'intelletto eguali, La mia debile vista non sofferse.

Onde quant' io di lei parlai, nè scrissi Ch' or per lodi anzi a Dio preghi mi rende, Fu breve stilla d'infiniti abissi:

Chè stile oltra l'ingegno non si stende; E per aver uom gli occhi nel Sol fissi, Tanto si vede men, quanto più splende.

Vago augelletto, che cantando vai, Ovver piangendo il tuo tempo passato Vedendoti la notte e'l verno a lato, El dì dopo le spalle e i mesi gai;

Se come i tuoi gravosi affanni sai, Così sapessi il mio simile stato, Verresti in grembo a questo sconsolato A partir seco i dolorosi guai

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I' non so se le parti sarian pari;

Che quella, cui tu piangi, è forse in vita; Di che a me Morte e'l Ciel son tanto avari:

Ma la stagione e l'ora men gradita, Col membrar de' dolci anni e degli amari A parlar teco con pietà m' invita .

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Comp. Lir. IV

9

Spirto felice! che si dolcemente Volgei quegli occhi più chiari che'l Sole; E formavi i sospiri, e le parole

Vive, ch'ancor mi suonan ne la mente;

Già ti vid' io d' onesto foco ardente Mover i piè fra l'erbe e le vïole, Non come donna, ma com' angel suole, Di quella ch' or m'è più che mai presente;

La qual tu poi, tornando al tuo Fattore Lasciasti in terra, e quel soave velo Che per alto destin ti venne in sorte.

Nel tuo partir partì del mondo Amore, E cortesia e 'Sol cadde del cielo,

E dolce incominciò farsi la morte.

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Quanto più m'avvicino al giorno estremo Che l'umana miseria suol far breve, Più veggio il tempo andar veloce e leve, E il mio di lui sperar fallace e scemo.

I' dico a' miei pensier: non molto andremo D'amor pariando omai; che 'l duro e greve Terreno incarco, come fresca neve, Si va struggendo, onde noi pace avremo :

Perchè con lui cadrà quella speranza Che ne fe' vaneggiar sì lungamente,

E'l riso, e'l pianto,

e la

paura, e l'ira;

Si vedrem chiaro poi, come sovente Per le cose dubbiose altri s'avanza,

E come spesso indarno si sospira.

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L'ultimo, lasso, de' miei giorni allegri, Che pochi ho visto in questo viver breve, Giunt' era, e fatto 'l cor tepida neve, Forse presago de' di tristi e negri.

Qual ha già i nervi, ei polsi, e pensier egri, Cui domestica febbre assalir deve,

Tal mi sentia, non sapend'io che leve
Venisse il fin de' miei ben non integri.

Gli occhi belli, ora in ciel chiari e felici Del lume onde salute e vita piove, Lasciando i miei qui miseri e mendici,

Dicean, con lor faville oneste e nove,
Rimanetevi in pace: O cari amici,
Qui mai più nò, ma rivedrenno altrove.

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