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che il principe di Fiorenza aveva voluto metter difficoltà sopra quella panca, nella quale loro non ne volevano conoscer alcuna. L'autorità di questi signori è limitata, non potendo far morire alcuno se non per casi di giustizia, nè possono mettere angherie, nè imposizioni straordinarie ai loro vassalli, e le loro appellazioni vanno ai consigli reali.

La maestà del re desidera occasione d'abbassarli, conoscendo far la grandezza sua tanto maggiore quanto sminuisce quella dei signori del regno, i quali senza alcuna comparazione non sono al presente potenti di seguito nè di autorità come solevano essere ai tempi passati, che molte volte si sollevarono dando travagli d'importanza ai re; il che avvenne, fra gli altri, alla felice memoria dell'imperator Carlo (1). E molti giudicano una delle principali cause che il re dimora volentieri in Spagna esser questa, perciocchè con la presenza sua tiene quei signori molto bassi, sì che vanno sempre più perdendo della loro grandezza. I primogeniti ereditano il maggiorasco, qual è la giurisdizione del dominio e le entrate che lasciano i padri, e gli altri fratelli cercano acquistar facoltà per altro modo e con altra fortuna, servendo il re nella guerra o nella casa, ovvero con ottener beni di chiesa, o con qualche altra strada che possano migliore. Se il padre non lascia figliuoli maschi ma solamente femmine, la prima entra nel detto maggiorasco ed eredita il tutto; se non lascia nè l'uno nè l'altra, il più prossimo parente entra nelle medesime ragioni. La maggior parte di questi signori hanno molte delle loro entrate impegnate per causa delle grandissime spese che fanno, massime quando sono in corte; e generalmente parlando, quanto più sono comodi ed onorati, tanto più dispensano il tempo e le facoltà malamente, giocando molto alle carte e ai dadi, tanto che molti in breve spazio di tempo si ritrovano aver giocata la loro facoltà. L'imperator Carlo institui molti ordini e fece molte proibizioni per levar questo grande e importante disordine, e il medesimo ha tentato di fare il presente re; ma tanto è inclinata e immersa quella nazione in questo

4) Veggasi addietro a pag. 26.

RELAZIONI VENETE.

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vizio, che non vi può Sua Maestà rimediare; in modo che ora il giuoco si ritrova in quella maggior consuetudine che sia mai stato per altro tempo. Mettono anco gran cura quei signori in vestir onoratamente, in corteggiare e servir dame, in comparir sopra bellissimi cavalli, in tener molti servitori e vestirli di livree; le quali cose tutte fanno con grandissima spesa, consumando tutto il tempo e il loro potere vanamente in simili azioni.

Del carattere e della devozione degli spagnuoli in generale:

Così come gli spagnuoli che sono usciti dal regno dimostrano ingegno atto e pronto a tutte le cose, così quelli che non sono stati fuori della provincia non si può dire quanto siano impazienti della fatica, come non curino saper le cose, come i loro ragionamenti siano impertinenti, e finalmente come siano dati all'ozio, alla vanità e alla lussuria. Nel negoziare e conversare poi sono tali, che alcun forestiero non può continuar con loro; perciocchè sì come nel principio si dimostrano umani e cortesi, così in un tratto si scuoprono di modo insolenti, che pochissimi abitano il paese che non siano della medesima nazione. E quanto alla religione, se dalle dimostrazioni estrinseche si dovesse far giudizio e prendere argomento, non è nazione alcuna che superi la spagnola, perciocchè in tutte le azioni sue apparenti si dimostra cattolica e molto devota. Ma se si parlerà del proceder loro, e delle operazioni che fanno, molto si dubiterà che gli animi, dicendo in universale, non corrispondano; e quelli che sanno come molti frescamente discendono da mori e da giudei, e come secretamente usano diversi costumi secondo le usanze di quelle nazioni, dubitano molto del cuor loro. È cosa verissima che alle Gerbe, e in altri luoghi che i mori tengono in Africa, molti lasciano la nostra fede e si scuoprono come loro (1); ne è dubbio alcuno che i regni di Granata e di Valenza, e altre parti di Spagna, sono piene di gente di simil qualità, se ben nelle operazioni estrinscche fingono d' esser cristiani; il che segue per il grandissi

(1) I simile abbiamo veduto dirsi dal Tiepolo a pag. 18.

mo timore e spavento che hanno dell'offizio dell' Inquisizione, il quale è di tanta autorità, che supera senza comparazione alcuna quello della maestà del re; e se non fosse questo rispetto, si potria esser certi doversi sentire con molta facilità grandissime e pericolosissime sollevazioni. Ma tanta è la scverità e l'asprezza di quel tribunale, che non è alcuno che ardisca mostrarsi d'altra opinione; anzi così frequentano le chiese e i divini offizj, che non v'è paese che si possa a quello equiparare. Sono poi così facili e continui in prender il santissimo sacramento, andando a riceverlo alle ore che le chiese sono più piene e più frequenti di popolo, che danno grandissima meraviglia a tutti quelli che li vedono. A questo rispetto s'aggiunge l'utilità particolare, e il desiderio d'arricchire; perciocchè alcuno non può ottener vescovato, abbazia, commenda, o vero altro benefizio di chiesa, nè molt' altre dignità che si danno in Spagna, che rendono grossissime entrate, nè esser chiamato gentiluomo, nè cavaliero, come loro dicono, se quello non è cristiano vecchio; e chiamano cristiani vecchi quelli che sono nati di padre e madre cristiani, e che anco questi siano così medesimamente nati, tanto che per cent'anni sia stata cristiana tutta quella famiglia. S'aggiunge a questo, che nè lui nè il padre nè la madre siano stati condannati per la Inquisizione.

Delle Cortes, e specialmente di quelle d'Aragona:

Le terre di Spagna (la maggior parte brutte e poco abitate) si governano con molta libertà, avendo ognuna il suo particolar consiglio, quale eleggono esse medesime; e si reggono secondo loro ordini e consuetudini, nè il re ha che fare in questa parte se non in certi casi, nei quali vuole usare l'autorità e grandezza sua. In ogni regno sta un consiglio principale, che vien chiamato il consiglio reale, e i consiglieri sono messi dal re. A questi s'indirizzano le appellazioni; ma però le sentenze, per la maggior parte, terminano nel primo giudizio, massime quando non sono di molta importanza. Non mette il re alcuna gravezza, nè i popoli pagano imposizione alcuna oltre le ordinarie; ma per ottener doni fuori d'uso

chiama S. M. le corti, che sono come in Germania le diete, le quali si fanno separate; quelle di Castiglia riducendosi in un luogo di quei regni, e quelle d'Aragona sempre in Monzone (1).

Le corti di Castiglia si fanno con molta soddisfazione di S. M., e passano con molta quiete, essendo i castigliani molto più ossequenti e obbedienti che non sono gli aragonesi; nè avendo essi così larghi privilegi, la maestà del re li comanda con maggior autorità. Può il re chiamar queste corti ogni tre anni, dalle quali ottiene ogni volta 1,200,000 ducati, che vengono ad esser 400,000 l'anno. Suole qualche volta aver qualche dono straordinario, ma succede rare volte, facendo bisogno che S. M. dimostri le cause e le necessità che l'astringono a dimandare tale aiuto.

Le corti d'Aragona si fanno con altra maniera. Hanno privilegio, qual benissimo osservano, che mai si riducono senza la presenza del re, ovvero del principe; dal che segue che si riducano così rare volte, se ben S. M. le può chiamar ogni tre anni, come quelle di Castiglia, perciocchè le occupazioni sue molte ed importanti gli levano l'occasione d'andarvi. Fugge ancora il re di farle perchè gli avanza ben poco di quello che gli danno, che sono ogni volta 600,000 ducati in tre anni; i quali spende prima che siano finite, così nei viaggi che convien fare per ritrovarsi presente, come perchè gli conviene consumar molto tempo prima che siano ispedite, essendo obbligato ascoltare tutti quelli che vogliono dire il suo aggravio, nè può negarlo ad alcuno con tutto che la cosa fosse di minima importanza. Sopra che usano tante cerimonie c tanta lunghezza, che a voler riferir il tutto alla Serenità Vostra vi saria che dir assai. Ci va S. M. mal volentieri, perchè conviene starvi con molto suo incomodo e discontento, si perchè non può partire dal luogo dove si riducono prima che non siano del tutto terminate, come perchè conviene sopportar molte indegnità per causa dei grandi e amplissimi privilegi che ha quel regno, il quale fa professione d'esser in moltà libertà e

(1) Piccola città dell' Aragona a trenta miglia circa al nord di Lerida.

di viver come repubblica; sopra che usano quei popoli parole altissime senza alcun rispetto, e per conservazione delle loro giurisdizioni facilmente s' indurriano a fare grandissime e importanti sollevazioni. Quando accettano il re, usano queste proprie e altissime parole: « Noi, che valemo tanto come voi, « giuriamo a voi, che non valete piu di noi, per principe « ed erede del nostro regno, con condizione che conserviate « le nostre leggi e la nostra libertà, e facendo voi altrimenti « noi non vi giuriamo: » e gli presentano il libro sopra il quale sono notati i loro privilegi, che domandano fueros, e S. M. giura la confirmazione. Si può chiamar questa tanta libertà licenza disordinata, poichè nell'azioni loro sono molto insolenti, e particolarmente verso i forestieri, facendo pagare grandissimi dazi a ognuno che passa per il loro paese, non perdonando ad alcuno, sia di qual grado o condizione si voglia. Togliono dieci per cento di quel che vale la roba, la quale viene stimata dai medesimi dazieri. Non danno al re, come ho detto, altro che 600,000 ducati quando si fanno le corti, e nulla più finchè di nuovo non si riducono; che infatti non essendo più state convocate dal 1552 fin l'anno passato, non ne aveva più avuto S. M. cosa alcuna. E tutti i denari che cavano dai dazi ed altre loro entrate restano a loro, e malamente si può sapere in che li dispensino.

Procura il re ogni occasione di far perdere loro questi tanti privilegi, e conoscendo non avere più facile nè più sicuro modo che il tribunale dell' Inquisizione, gli va del continuo crescendo l'autorità. Nelle ultime corti supplicarono gli aragonesi che l'Inquisizione non si potesse ingerire se non in cause di religione, e molto si dolsero che abbracciasse infinite cose lontanissime dal suo foro e dalla sua giurisdizione, e rappresentarono molti casi non pertinenti in alcuna parte all' officio suo; e per il vero al presente l'Inquisizione s'interpone in ogni cosa, non avendo rispetto ad alcuno, sia di qual grado o condizione si voglia, e si può al sicuro dire che quel tribunale è il vero padrone che regge e domina tutta la Spagna. Il re rispose che nelle corti non si doveva parlare d'Inquisizione; per il che si sollevarono minacciando partirsi

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