XXX. SOPRA UN BASSO RILIEVO ANTICO SEPOLCRALE, DOVE UNA GIOVANE MORTA È RAPPRESENTATA IN ATTO DI PARTIRE, ACCOMIATANDOSI DAI SUOI. Dove vai? chi ti chiama Bellissima donzella? Sola, peregrinando, il patrio tetto Si per tempo abbandoni? a queste soglie Ma pur mesta sei tu. Grata la via Da quel tuo grave aspetto Mal s'indovina. Ahi ahi, nè già potria S'intese ancor, se in disfavore al cielo, Se cara esser nomata, Se misera tu debbi, o fortunata. Morte ti chiama; al cominciar del giorno De' tuoi dolci parenti Lasci per sempre. Il loco A cui movi, è sotterra: Ivi fia d'ogni tempo il tuo soggiorno. Seco pensando, al tuo destin, sospira. Era, credo, il miglior. Ma nata, al tempo Nelle membra e nel volto, Ed incomincia il mondo Verso lei di lontano ad atterrarsi; In sul fiorir d'ogni speranza, e molto Appar felice, invade D'alta pietade ai più costanti il petto. Madre temuta e pianta Dal nascer già dell'animal famiglia, Che per uccider partorisci e nutrì, Se ben, perchè funesta, Perchè sovra ogni male, A chi si parte, a chi rimane in vita, Inconsolabil fai tal dipartita? Misera ovunque miri, Misera onde si volga, ove ricorra, Questa sensibil prole! Piacqueti che delusa Fosse ancor dalla vita La speme giovanil; piena d'affanni L'onda degli anni; ai mali unico schermo La morte; e questa inevitabil segno, Ponesti all'uman corso. Ahi perchè dopo Che per certo futura Portiam sempre, vivendo, innanzi all'alma, Colei che i nostri danni Ebber solo conforto, Velar di neri panni, Cinger d'ombra si trista, E spaventoso in vista Più d'ogni flutto dimostrarci il porto? Già se sventura è questo Morir che tu destini A tutti noi che senza colpa, ignari, A colui che la morte Sente de' cari suoi. Che se nel vero, Com'io per fermo estimo, Il vivere è sventura, Grazia il morir, chi però mai potrebbe, Quel che pur si dovrebbe, Desiar de' suoi cari il giorno estremo, Per dover egli scemo Rimaner di se stesso, Veder d'in su la soglia levar via La diletta persona Con chi passato avrà molt'anni insieme, Per la mondana via; Poi solitario abbandonato in terra, Guardando attorno, all'ore ai lochi usati Come, ahi come, o natura, il cor ti soffre All'amico l'amico, Al fratello il fratello, La prole al genitore, All'amante l'amore: e l'ano estinto, L'altro in vita serbar? Come potesti Far necessario in noi Tanto dolor, che sopravviva amando Al mortale il mortal? Ma da natura Altro negli atti suoi Che nostro male o nostro ben si cura. XXXI. SOPRA IL RITRATTO DI UNA BELLA DONNA SCOLPITO NEL MONUMENTO SEPOLCRALE DELLA MEDESIMA. Tal fosti: or qui sotterra Polve e scheletro sei. Su l'ossa e il fango Muto, mirando dell'etadi il volo, E di dolor custode, il simulacro Della scorsa beltà. Quel dolce sguardo, Che tremar fe, se, come or sembra, immoto In altrui s'affisò; quel labbro, ond'alto Par, come d'urna piena, Traboccare il piacer; quel collo, cinto Già di desio; quell'amorosa mano, Che spesso, ove fu porta, Senti gelida far la man che strinse; Furo alcun tempo: or fango Ed ossa sei: la vista Vituperosa e trista un sasso asconde. Cosi riduce il fato Qual sembianza fra noi parve più viva Pensieri e sensi inenarrabil fonte, |