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Lor suadesse affanno;

Al misero desio nulla contesa
Legge arcana farebbe

O tenebroso ingegno. A voi, fra quante
Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte,
Figli di Prometeo, la vita increbbe;
A voi le morte ripe,

Se il fato ignavo pende,

Soli, o miseri, a voi Giove contende.

E tu dal mar cui nostro sangue irriga, Candida luna, sorgi,

E l'inquieta nolle la funesta
All' ausonio valor campagna esplori.
Cognati petti il vincitor calpesta,
Fremono i poggi, dalle somme vette
Roma antica ruina;

Tu si placida sei? Tu la nascente
Lavinia prole, e gli anni

Lieti vedesti, e i memorandi allori;
E tu su l'alpe l' immutato raggio
Tacita verserai quando ne' danni
Del servo italo nome,
Sotto barbaro piede

Rintronerà quella solinga sede.

Ecco tra nudi sassi o in verde ramo

E la fera e l'augello,

Del consueto obblio gravido il petto,

L'alta ruina ignora e le mutate

Sorli del mondo: e come prima il tetto
Rosseggerà del villanello industre,

Al mattutino canto

Quel desterà le valli, e per le balze
Quella l'inferma plebe

Agiterà delle minori belve.

Oh casi! oh gener vano! abbietta parie
Siam delle cose; e non le tinte glebe,

Non gli ululali spechi

Turbò nostra sciagura,

Nè scolorò le stelle umana cura.
Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi
Regi, o la terra indegna,

E non la notte moribondo appello;
Non te, dell' atra morte ultimo raggio,
Conscia futura età. Sdegnoso avello
Placàr singulti, ornàr parole e doni
Di vii caterva? In peggio

Precipitano i tempi; e mal s' affida
A putridi nepoti

L'onor d' egregie menti e la suprema
De' miseri vendetta. A me dintorno
Le penne il bruno augello avido roti;
Prema la fera, e il nembo

Tratti l' ignota spoglia;

E l'aura il nome e la memoria accoglia.

VII.

ALLA PRIMAVERA,

O DELLE FAVOLE ANTICHE.

Perchè i celesti danni

Ristori il sole, e perchè l' aure inferme
Zefiro avvivi, onde fugata e sparta
Delle nubi la grave ombra s' avvalla;
Credano il petto inerme

Gli augelli al vento, e la diurna luce
Novo d'amor desio, nova speranza
Ne' penetrati boschi e fra le sciolte
Pruine induca alle commosse belve;
Forse alle stanche e nel dolor sepolte
Umane menti riede

La bella età, cui la sciagura e l'atra
Face del ver consunse

Innanzi tempo? Ottenebrati e spenti
Di febo i raggi al misero non sono
In sempiterno? ed anco,

Primavera odorata, inspiri e tenti
Questo gelido cor, questo ch' amara

Nel fior degli anni suoi vecchiezza impara?

Vivi tu, vivi, o santa

Natura? vivi e il dissueto orecchio

Della materna voce il suono accoglie ?

Già di candide ninfe i rivi albergo,
Placido albergo e specchio

Furo i liquidi fonti. Arcane danze
D' immortal piede i ruinosi gioghi
Scossero e l'ardue selve (oggi romito

Nido de' venti): e il pastorel ch' all' ombre
Meridiane (6) incerte, ed al fiorito
Margo adducea de' fiumi

Le sitibonde agnello, arguto carme
Sonar d'agresti Pani

Udì lungo le ripe; e tremar l'onda
Vide, e stupi, che non palese al guardo
La faretrata Diva

Scendea ne' caldi flutti, e dall' immonda
Polve tergea della sanguigna caccia
Il niveo lato e le verginee braccia.
Vissero i fiori e l'erbe,

Vissero i boschi un di. Conscie le molli
Aure, le nubi e la titania lampa

Fur dell' umana gente, allor che ignuda
Te per le piagge e i colli,

Ciprigna luce, alla deserta notte

Con gli occhi intenti il viator seguendo,
Te compagna alla via, te de' mortali
Pensosa immaginò. Che se gl' impuri
Cittadini consorzi e le fatali
Ire fuggendo e l'onte,

Gl'ispidi tronchi al petto altri nell' ime
Selve remoto accolse,

Viva fiamma agitar l'esangui vene,

Spirar le foglie, e palpitar segreta

Nel doloroso amplesso

Dafne e la mesta Filli, o di Climene
Pianger credè la sconsolata prole
Quel che sommerse in Eridano il sole.
Nè dell' umano affanno,

Rigide balze, i luttuosi accenti

Voi negletti ferir mentre le vostre
Paurose latebre Eco solinga,

Non vano error de' venti,

Ma di ninfa abitò misero spirto,
Cui grave amor, cui duro fato escluse
Delle tenere membra. Ella per grotte,

Per nudi scogli e desolati alberghi,

Le non ignote ambasce e l'alte e rotte
Nostre querele al corvo

Etra insegnava. E te d' umani eventi
Disse la fama esperto,

Musico augel che tra chiomato bosco
Or vieni il rinascente anno cantando,
E lamentar nell' alto

Ozio de' campi, all'aer muto e fosco,
Antichi danni e scellerato scorno,
E d'ira e di pietà pallido il giorno.
Ma non cognato al nostro

Il gener tuo; quelle tue varie note
Dolor non forma, e te di colpa ignudo,
Men caro assai la bruna valle asconde.
Ahi ahi, poscia che vote

Son le stanze d'Olimpo, e cieco il tuono
Per l'atre nubi e le montagne errando,
Gl' iniqui petti e gl' innocenti a paro
In freddo orror dissolve; e poi ch'estrano
Il suol nativo, e di sua prole ignaro
Le meste anime educa;

Tu le cure infelici e i fati indegni
Tu de' mortali ascolta,

Vaga natura, e la favilla antica
Rendi allo spirto mio; se (u pur vivi,
E se de'nostri affanni

Cosa veruna in ciel, se nell' aprica
Terra s'alberga o nell' equoreo seno,
Pietosa no, ma spettatrice almeno.

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