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Se Roma ha potuto tanto, che cosa non potrà Napoli?... Questo fu il pensiero che soccorse alla mente de' suoi medici e de' suoi più affezionati amici, in tanta disperazione d'ogni altro umano rimedio. Nè egli fu già duro o indocile al loro affetto: e scampato, come per miracolo, dai rigori dell'inverno, e veduto nella primavera e nella state seguente, che nè quei fiori nè quelle grazie erano più bastanti a mitigare la fierezza de' suoi mali, in su i primi dì di settembre del 33 si partì, che sentiva tuttavia di febbre, di Firenze, e, venuto a piccolissime giornate per la via di Perugia, lasciò la febbre agli alberghi, e pervenne, mediocremente sollevato, in Roma. Quivi dimorò il rimanente del settembre; ed, abbracciato, per l'ultima volta, il suo amorosissimo cugino Melchiorri, giunse in Napoli il secondo dì dell' ottobre.

Quivi è incredibile a dire quanto si confortasse e si ricreasse di quella stagione, dell'aere e di quel vivere rigoglioso ed allegro. Abitò comunemente il poggio suburbano di Capodimonte; se non se il maggio e l'ottobre, che si riduceva a un casinuccio in su le falde del Vesuvio. Minacciato, per istrana vicenda, ora di tisico, ora d'idropisia, schermiva alternatamente l' una colla sottigliezza dell' aria del Vesuvio, l' altro colla dolcezza dell'aria di Capodimonte. Passeggiava ora per Toledo, ora lungo il curvo e spazioso lido del mare. Visitava assai frequentemente ora Mergellina e Posilipo, ora Pozzuoli e Cuma. Scendeva da Capodimonte alle catacombe, e dal Vesuvio a Pompei o ad Ercolano: e come in Roma aveva apostrofato agli antichi o in mezzo al foro o sotto gli archi trionfali, quivi ragionava dimesticamente con

loro nelle loro più segrete stanze e nei loro ricetti più occulti.

La novità e la salubrità squisitissima dell' aria, l'affettuosa compagnia di alcuni paesani, la visitazione continua e diversa di tutti i più dotti stranieri ch'ivi abbondantemente capitavano, e quel suo nuovo vivere aperto e sciolto e al tutto fuori dell' uso della sua abituale disposizione, parvero allentare, e forse allentarono effettivamente, per quattro lunghi anni, l' operosa e instancabile attività del malore. Egli riebbe miracolosamente l'ordinato esercizio di molte operazioni vitali che insino dalla prima infanzia aveva provate disordinatissime; e cominciò a pronosticarsi una vita delle più lunghe. L'efficienza malefica della natura cominciò a parergli, se non al tutto placata, almeno in parte assopita; e questo concetto, o vero o falso, l'avrebbe forse sostenuto ancora qualche tempo in vita, s' egli non si fosse presupposto, in un modo al tutto inopinato ed insanabile, che la pestilenza collerica (ampliatasi allora in tutto l'occidente) era fatalmente deputata o a rinnasprirla di nuovo o a ridestarla.

Era l'agosto del 36, quando, al primo ed ancora lontano annunzio del morbo, desiderò di ridursi nel suo casinuccio all'aperto della campagna, donde non consentì di tornare a Capodimonte se non nel febbraio del 37. Quivi moltiplicarono i sintomi dell'idropisia, come alla più aperta campagna erano moltiplicati i sintomi dell' etica. E parte la pestilenza, che nel verno parve dileguata del tutto, risorta assai più fiera e spaventevole nella primavera, rinnovò nell'egra fantasia i terrori d'un modo di morte incognito ed abbominoso,

già sventuratamente innestatigli dal celebre poeta tedesco, Platen, che i medesimi terrori avevano ucciso (assai prima che il morbo vi giungesse) in Siracusa. Tutti i consigli dei più gravi ed esperimentati medici della città, fra i quali l'aureo Mannella e il Postiglione, tutti i più vigorosi ed estremi partiti della scienza, furono indarno. E il mercoledì li di giugno, alle ore cinque dopo il mezzodì, mentre una carrozza l'attendeva, per ricondurlo (ultima e disperata prova) al suo casino, ed egli divisava future gite e future veglie campestri, le acque, che già da gran tempo tenevano le vie del cuore, abbondarono micidialmente nel sacco che lo ravvolge, ed oppressa la vita alla sua prima origine, quel grande uomo rendette sorridendo il nobilissimo spirito fra le braccia di un suo amico che lo amò e lo pianse senza fine.

Così contemplò l'universo, così visse e cosi mori Giacomo Leopardi, uno dei più grandi scrittori e (se avesse sortito il nascere altrove) uno dei più grandi uomini che sieno surti in questi ultimi tempi, non solo in Italia, ma in Europa. Grande per maraviglioso e quasi sovrumano ingegno, grande per isterminati e quasi incredibili studi e per prose e poesie altissime ed inimitabili, fu grandissimo e facilmente unico per la modestia e l'innocenza de' suoi costumi. Quest'uomo, degno per tutte le parti di un secolo migliore, si porto intatto nel sepolcro il fiore della sua verginità; e, per questo medesimo, amò due volte (benchè senza speranza) come mai nessun uomo aveva amato sulla terra. Giusto, umano, liberale, magnanimo e lealissimo, s'im. maginò da principio che gli uomini fossero in tutto

buoni. Tradito e disingannato del soverchio che n'aveva sperato, concluse da ultimo ch' erano in lutto cattivi. E solo la prematura morte l'impedì di giungere a quella terza e riposata disposizione d'animo per la quale avrebbe estimati gli uomini, quel che veramente sono, nè in tutto buoni nè in lutto cattivi. Gli estremi stessi, nell' apparenza inesplicabili, ai quali trasandava nel suo vivere pratico e cotidiano, come l'usar troppo o troppo poco il cibo, la luce, l'aria, il moto, la conversazione degli uomini e somiglianti, erano, nell'esistenza, il più vivo e vero testimonio dell' innata ed angelica bontà dell' animo suo; perchè tentava, per le più opposte vie, la nemica natura, se mai avesse potuto impetrarne l'adito nella grande armonia e nell' universale amore di tutto il creato, onde il tremendo prestigio del suo immenso dolore gli aveva dato a credere d'essere stato fatalmente escluso. Che se né quel dolore nè quel prestigio fu sanabile, ne maraviglino solo coloro che, nel giudicare i grandi uomini, non guardano nè ai tempi, nè ai luoghi nè alle complessioni, e non sanno presupporre quel che sarebbero stati o Alessandro o Cesare o Napoleone, se fossero nati nelle condizioni del Leopardi.

Questi fu di statura mediocre, chinata ed esile, di colore bianco che volge al pallido, di testa grossa, di fronte quadra e larga, d'occhi cilestri e languidi, di naso proffilato, di lineamenti delicatissimi, di pronunziazione modesta e alquanto fioca, e d'un sorriso ineffabile e quasi celeste.

Il suo cadavere, salvato, come per miracolo, dalla pubblica e indistinta sepoltura dove la dura legge della

stagione condannava, o appestati o non, i grandissimi e i piccolissimi, fu seppellito nella chiesetta suburbana di San Vitale su la via di Pozzuoli, nel cui vestibolo una pietra, ritratta nella seconda tavola posta dinanzi a questa edizione, ne fa modesto e pietoso ricordo al passeggiero.

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