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Parte si procede, si è la morale pratica ossia l'etica; perchè il Tutto fu impreso in rispetto all' opera, non alla speculazione. Perocchè, quantunque in alcun luogo o passo si tratti per modo speculativo, ciò non è per cagione di speculazione, ma si dell'opera; dappoichè i pratici, a detta del Filosofo nel secondo de' Metafisici, sogliano eziandio speculare alcuna volta.

XVII. Ciò posto è da accostarsi, dopo alcun preambolo, all' esposizione della lettera; ma vuolsi premettere che siffatta esposizione non fa altro che manifestare la forma dell'opera. Questa Parte adunque o terza Cantica, detta Paradiso, si divide principalmente in due parti, che sono, il Prologo e la Parte esecutiva. La quale comincia ivi: Surge a' mortali per diverse foci la Lucerna del mondo.

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XVIII. Quanto alla parte proemiale convien sapere, che sebbene per comune modo si possa dire esordio, tuttavolta, a parlar proprio, deve chiamarsi prologo: al che sembra accennare il Filosofo nel terzo de' Rettorici, dove scrive, che «< il proemio è il principio nell'orazione, come il prologo nella poesia ed il preludio nel suono. » Vuolsi ancora prenotare che questo proemio, per lo più denominato esordio, si fa dai poeti in un modo e dai rètori in un altro. Perocchè questi, a conciliarsi l'animo dell' uditore, sogliono prelibare la proposta materia; ma i poeti, oltre a ciò, soggiungono pur anco una qualche invocazione. E bene sta; facendo loro d'uopo di molta invocazione, quando alcun che sopra l'uso umano chiedono dalle superne sostanze, quasi un divino dono. Quindi il presente prologo consta di due parti: nella prima si premettono le cose a dirsi, nella seconda s'invoca Apollo; e questa ha suo cominciamento quivi: O buon Apollo, all' ultimo lavoro, ecc.

XIX. Rispetto alla prima delle parti or divisate, giova por mente, che ad esordir bene richieggonsi tre cose, secondo Tullio nella nuova Rettorica, e sono; che altri renda

aliquis auditorem: et hoc maxime in admirabili genere causæ, ut ipsemet Tullius dicit. Quum ergo materia, circa quam versatur præsens tractatus, sit admirabilis, propterea ad admirabile reducenda ista tria intenduntur in principio exordii, sive prologi. Nam dicit, se dicturum ea, quæ ex iis quæ vidit in primo Cælo, retinere potuit. In quo dicto omnia illa tria comprehenduntur; nam in utilitate dicendorum benevolentia paratur; in admirabilitate, attentio; in possibilitate, docilitas. Utilitatem innuit, quum recitaturum se dicit ea, quæ maxime allectiva sunt desiderii humani, scilicet gaudia Paradisi: admirabilitatem tangit, quum promittit, se tam ardua, tam sublimia dicere, scilicet conditiones regni cœlestis: possibilitatem ostendit, quum dicit, se dicturum ea, quæ mente retinere potuit; si enim ipse, et alii poterunt. Hæc omnia tanguntur in verbis illis, ubi dicit, se fuisse in primo Cœlo, et quod dicere vult de regno cœlesti quidquid in mente sua, quasi thesaurum, potuit retinere. Viso igitur de bonitate ac perfectione primæ partis prologi, ad literam accedatur.

XX. Dicit ergo, quod gloria primi Motoris, qui Deus est, in omnibus partibus universi resplendet, sed ita, ut in aliqua parte magis, et in aliqua minus. Quod autem ubique resplendeat, ratio et auctoritas manifestat. Ratio sic: Omne quod est, aut habet esse a se, aut ab alio. Sed constat, quod habere esse a se non convenit nisi Uni, scilicet Primo, seu Principio, qui Deus est; quum habere esse non arguat per se necesse esse, et per se necesse esse non competat nisi Uni, scilicet Primo, seu Principio, quod est causa ominum: ergo omnia quæ sunt, præter Unum, habent esse ab alio. Si ergo accipiatur ultimum in universo, vel quodcumque, manifestum est, quod id habet esse ab alio; et illud a quo habet, a se vel ab alio habet. Si a se, sic est primum; si ab alio, et illud similiter, vel a se vel ab alio: et esset sic procedere in infinitum in causis agentibus, ut probatur in secundo

benevolo e attento e docile l'uditore; e ciò massimamente in causa di genere ammirabile. Or tale essendo la materia del presente trattato, perciò nel principio dell' esordio o prologo si comprendono quelle tre cose. Imperocchè l'autore dice, che canterà tutto che potè ritenere di quanto ei vide nel primo Cielo, e quindi per le utili cose a dire si procaccia la benevolenza; per la loro ammirabilità, l'attenzione; per la possibilità, la docilità. All' utilità accenna quando propone di narrare quelle cose che massimamente lusingano l'umano desiderio, cioè i gaudi del Paradiso; ne avverte l'ammirabilità, promettendo di cantare materia sì ardua e sublime, come sono le condizioni del regno celeste; e ne dimostra la possibilità, allorchè s'accinge a dire quel tanto che potè ricordarsi, perchè se potè egli, altri ancora il potranno. Queste cose tutte si toccano in quelle parole dov'ei conta d'essere stato nel primo Cielo, e di voler ritrarre ciò che del regno santo gli fu dato di conservare, quasi tesoro, nella sua mente. Cosi veduta la bontà e perfezione della prima parte del prologo, è da procedere alla sposizione della lettera.

XX. Dice adunque che la gloria del primo Motore, che è Dio, in tutte parti dell' universo risplende, ma così che in una parte sia più, e in altra meno. Che risplenda dovunque, il manifesta la ragione e l'autorità. La ragione dice: ogni cosa che è, o ha l'essere da sè o da altro; or consta che aver l'essere da se non conviene se non ad Uno, Primo o Principio, che è Dio; dappoi che l'essere non importa per sè la necessità dell' essere, e questa non compete se non ad Uno, Primo o Principio che vogliasi dire, causa dell' universo. Adunque tutti gli enti, fuorchè quest' Uno, hanno l'essere da altro. Se adunque si prenda l' ultimo o qualsiasi degli enti universi, è manifesto che il suo essere da altro dipende; e quello da cui l' ottiene, o l'ha da se o da alcun altro; e così, giusta che si dimostra nel secondo de' Metafisici, vi sarebbe un processo infinito nelle cause agenti. Il che non

Metaphysicorum. Quod quum sit impossibile, erit devenire ad Primum, qui Deus est Et sic, mediate vel immediate, omne quod est, habet esse ab Eo; quia ex eo quod causa secunda recepit a prima, influit super causatum ad modum recipientis et reiicientis radium, propter quod causa prima est magis causa. Et propter hoc dicitur in libro de Causis « quod omnis causa primaria plus influit super suum causatum, quam causa universalis secunda. » Sed hoc quantum ad esse.

XXI. Quantum vero ad essentiam, probo sic: Omnis essentia, præeter primam, est causata; aliter essent plura, quæ essent per se necesse; quod est impossibile. Quod causatum est, vel a natura, vel ab intellectu; et quod a natura est, per consequens causatum est ab intellectu, quum natura sit opus intelligentiæ. Omne ergo quod est causatum, est causatum ab aliquo intellectu mediate vel immediate. Quum ergo virtus sequatur essentiam, cuius est virtus; si essentia sit intellectiva, virtus tota est unius, quæ causat. Et sic, quemadmodum prius devenire erat ad Primam causam ipsius esse, sic nunc, essentia et virtutis. Propter quod patet, quod omnis essentia et virtus procedat a Prima, et intelligentiæ inferiores recipiant quasi a radiante, et reddant radios superioris ad suum inferius, ad modum speculorum. Quod satis aperte tangere videtur Dionysius, de cœlesti hierarchia loquens. Et propter hoc dicitur in libro de Causis quod omnis intelligentia est plena formis. Patet ergo quomodo ratio manifestat, divinum lumen, id est divinam bonitatem, sapientiam, et virtutem resplendere ubique.

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XXII. Similiter etiam, ac scientia, facit auctoritas. Dicit enim Spiritus Sanctus per Hieremiam: Numquid non cœlum et terram ego impleo?; et in Psalmo : « Quo ibo a spiritu tuo? et quo a facie tua fugiam? Si ascendero in cœlum, tu illic es: si descendero in infernum, ades. Si sumpsero pen

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nas meas» etc. Et Sapientia dicit, quod « Spiritus Domini

potendosi avverare, si dovrà riuscire ad un Primo, che è Dio. E quindi tutto ciò che è, mediatamente o immediatamente ha l'essere da Quello. Ond'è, che la causa seconda procedendo dalla prima, opera verso il causato a maniera di specchio, che riceve il raggio e lo riflette. Il perchè la causa prima è più causa, e nel libro delle Cagioni si dice « come ogni causa primaria opera di più sopra il suo causato, che non la causa seconda universale. » E ciò quanto all'essere ; rispetto poi all'essenza, eccone la prova.

XXI. Ogni essenza, dalla prima infuori, è causata; altrimenti vi sarebbero più cose stanti per sè, il che è impossibile. Perocchè il causato, è o dalla natura o dall' intelletto ; ed essendo la natura un'opera dell' intelligenza, ne segue che sia causato dall'intelletto ciò che è dalla natura. Adunque tutte le cause sono con mezzo o senza mezzo causate da qualche intelletto. Ma la virtù derivando dall' essenza della cosa di cui è virtù, se l'essenza sia intellettiva, la virtù sarà tutta e solo dell'essenza causante. E come sopra si venne alla Prima causa dell' essere, così ora alla Prima essenza e virtù delle cose. Donde si chiarisce che ogni essenza e virtù procede dalla Prima, e che l'intelligenze inferiori prendano i raggi dalla superiore, quasi da un sole, e a modo di specchi li rendano alle sottostanti. Del che Dionisio tocca apertamente, parlando della celeste gerarchia. E quindi leggiamo nel libro delle Cagioni « che ogni intelligenza è piena di forme. » Ed ecco or dunque come la ragione renda manifesto che il divino lume, vale a dire la divina bontà, sapienza e virtù risplende in tutte parti.

XXII. Similmente che la scienza, il dimostra l'autorità. Imperocchè lo Spirito Santo per Geremia dice: « Forse che io non riempio e cielo e terra? » e nel Salmo: « Dove potrò sottrarmi dal tuo spirito? e dove ascondermi dalla tua faccia? Se mi solleverò in cielo, ivi tu sei; se discenderò in inferno, eccoti. Se prenderò le mie penne, ec. » E nella Sapienza si

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