Sayfadaki görseller
PDF
ePub

si allontana. » E si potrebbe ancora addurre quello che l'Apostolo scrive agli Efesii intorno a Cristo il quale per ricompiere ogni cosa, ascese sopra tutti i cieli » cioè al cielo delle delizie. Delle quali parla Ezechiele contro a Lucifero: « Tu segnacolo di similitudine, pieno di sapienza e perfetto di bellezza, fosti nelle delizie del paradiso di Dio. »

XXVIII. E dappoi che ebbe detto d' essere stato in quel luogo del Paradiso, prosegue narrando, d'aver veduto alcune cose da non le poter ridire chi di lassù discende. E ne porge la ragione con affermare, che il nostro intelletto, appressandosi al suo desiderio, che è Dio, vi si profonda tanto, che la memoria no può seguitare. Ad intendimento di ciò torna bene conoscere, che l' umano intelletto quaggiù, per la sua connaturalità e affinità colla sostanza intellettuale separata, quando si sublima, va tant' oltre che la memoria dopo il ritorno manca, per aver trasceso l' umano segno. E ciò ne vien insinuato per l'Apostolo, là dove scrive ai Corintii : « So che quest' uomo (se in corpo o fuori del corpo, non so; Dio il sa) fu rapito al Paradiso, e intese arcane parole che all' uomo non lice di parlare. Ecco, dacchè per altezza d'intelletto avea soverchiato l'umana misura, più non ricordava le cose fuori di sè avvenute. A questo eziandio accenna Matteo, quando dice, che i tre discepoli di Cristo caddero in giù volti, nulla poscia sapendo ridire, quasi sdimenticati. Ed in Ezechiele sta scritto: «Vidi e mi prostesi a terra. » E quando gl'invidi non si quietino a tanto, leggano della Contemplazione di Riccardo da San Vittore; leggano Bernardo, della Considerazione; leggano Agostino, della Quantità dell' anima, e non mi sdegneranno. Qualora poi, atteso i peccati del narratore, gli latrassero incontro, come indegno di tanta Visione, leggano Daniele, presso cui troveranno, che lo stesso Nabucodonosor alcune cose, terribili ai peccatori, divinamente vide e obbliò. Imperocchè Quegli che fa nascere il sole su de' buoni

GIULIANI. - -1.

» 1)

4

[ocr errors]

iustos et iniustos, aliquando misericorditer ad conversionem, aliquando severe ad punitionem, plus et minus, ut vult, gloriam suam, quantumcumque male viventibus, manifestat.

XXIX. Vidit ergo, ut dicit, aliqua quæ referre nescit et nequit rediens. Diligenter quippe notandum est, quod dicit, nescit et nequit. Nescit, quia oblitus; nequit, quia, si re cordatur et contentum tenet, sermo tamen deficit. Multa namque per intellectum videmus, quibus signa vocalia desunt; quod satis Plato insinuat in suis libris, per assumptionem metaphorismorum: multa enim per lumen intellectuale vidit, quæ sermone proprio nequivit exprimere.

XXX. Postea dicit, se dicturum illa quæ de regno cœlesti retinere potuit; et hoc dicit esse materiam sui operis; quæ, qualia sint et quanta, in parte exsecutiva patebit.

XXXI. Deinde quum dicit: « O bone Apollo, etc. » facit invocationem suam. Et dividitur ista pars in partes duas: in prima invocando petit, in secunda suadet Apollini petitionem factam, remunerationem quamdam prænuntians; et incipit secunda pars ibi: O divina virtus. Prima pars dividitur in partes duas: in prima petit divinum auxilium, in secunda tangit necessitatem suæ petitionis, quod est iustificare ipsam; et incipit ibi: Hucusque alterum iugum Parnassi, etc.

XXXII. Hæc est sententia secundæ partis prologi, in generali; in speciali vero non exponam ad præsens. Urget enim me rei familiaris angustia, ut hæc et alia utilia reipublica derelinquere oporteat. Sed spero de magnificentia Vestra, ut alias habeatur procedendi ad utilem expositionem facultas.

XXXIII. De parte vero exsecutiva, quæ fuit divisa iuxta totum prologum, nec dividendo nec sententiando quidquam dicetur ad præsens, nisi hoc; quod ibi procedetur ascendendo

e sui malvagi, e piove sopra i giusti e gl' ingiusti, ora misericordievole a conversione e ora severo a punimento, più o meno, secondochè vuole, manifesta la sua gloria eziandio ai male viventi.

XXIX. Vide adunque, siccome ne conta, alcune cose che qual discende di quell'altezza nè sa, nè può ridire. E ben vuolsi notare nè sa, nè può: non sa, perchè le dimentico; non può, perchè, se pur se ne ricorda e serba il concetto, la parola gli vien meno. Perocchè troppe cose arriviamo coll'intelletto, alle quali i segni vocali sogliono mancare; il che Platone c'insinua ne' suoi libri, significandole per metaforismi; poichè molto di quanto ei vide per lume d' intelletto, non potè esprimere con proprie parole.

XXX. Quindi soggiugne, che sarà materia del suo canto quello che del regno santo potè far tesoro: or queste cose quali e quante siano, apparirà nella parte esecutiva.

XXXI. Dappoi, quando dice « O buono Apollo » ec. compie la sua invocazione. E questa parte si divide in due; nella prima coll' invocare, egli fa alcuna dimanda; nella seconda, che comincia « O divina virtù la persuade ad Apollo, prenunziando alcun compenso. La prima parte resta pur suddi visa in due; nell' una chiede il divino aiuto, nell' altra, il cui principio è: « In fino a qui l'un giogo di Parnaso, ec., tocca la necessità di tale sua inchiesta, per così giustificarla.

[ocr errors]

XXXII. Questa si è la sentenza della seconda parte del Prologo in generale; ma in particolare nol vo' per ora sporre. Perocchè mi sollecitano le strettezze domestiche, si che mi conviene lasciar queste ed altre cose giovevoli alla repubblica. Ma spero che dalla Vostra magnificenza mi sarà dato facoltà di procedere altra volta ad una utile sposizione.

XXXIII. Quanto alla parte esecutiva, che vien dopo a tutto il prologo, nulla al presente nè per divisioni nè a sentenza si dirà, se non questo; che quivi si procede di cielo in

de cœlo in cœlum, et recitabitur de animabus beatis inventis in quolibet orbe, et quod vera illa beatitudo in sentiendo veritatis principium consistit; ut patet per Joannem ibi: « Hæc est vera beatitudo, ut cognoscant te, Deum verum » etc.; et per Boethium, in tertio de Consolatione, ibi: « Te cernere, finis. » Inde est, quod ad ostendendum gloriam beatitudinis in illis animabus, ab eis, tamquam videntibus omnem veritatem, multa quærentur, quæ magnam habent utilitatem et delectationem. Et quia, invento Principio seu Primo, videlicet Deo, nihil est quod ulterius quæratur, « quum sit alpha et omega, idest principium et finis, » ut Visio Joannis designat; in ipso Deo terminatur tractatus, Qui est benedictus in sæcula sæculorum.

cielo, e si narrerà delle anime beate apparenti in ciascuna sfera, e come quella verace beatitudine consiste nel sentire il principio della verità. Ciò n'è dichiarato per Giovanni in quelle parole: « Questa è la vera beatitudine, che conoscano Te, Dio vero, ec. ; e per Boezio nel terzo della Consolazione: « Il vederti è il nostro fine. » Indi è che a dimostrare la gloria della beatitudine in quelle anime, da loro, come veggenti ogni verità, si ricercheranno molte cose, di grande utilità e diletto. E perchè trovato il Principio o il Primo, cioè Dio; non v' ha altro ad investigarsi, dacchè Egli è alfa e omega, vale a dire principio e fine, come la Visione di Giovanni ne descrive; in esso Dio si termina il trattato, in Lui che è benedetto nel secolo dei secoli.

« ÖncekiDevam »