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che ardita interpretazione, chi voglia cercarne il motivo, vedrà esserne tuttavia un solo; il debito che mi sono imposto di spiegare Dante con Dante.

Bensi nel trattare in più luoghi la stessa materia e con intendimento diverso, mi convenne ridire il già detto; ma nessuna diligenza volli risparmiata per meritarmi l'attenzione di quanti hanno sacra la parola del nostro venerando Allighieri. A que' valorosi che de' loro studi m'avvantaggiarono, rendo giustizia, come posso maggiore; che se io dovrò concedere le prime lodi a Carlo Witte, e non di rado presceglierlo a guida nelle sottili investigazioni, non v'abbia chi mi accusi di poco amor patrio; perocchè l' insigne Alemanno è il più assennato critico onde siasi fin qui onorata la letteratura dantesca, ed è poi così devoto all' Italia e studioso ammiratore dell' altissimo Poeta, che pochi fra noi il pareggiano, niuno il vince. Quand' altri fosse per riputare sterile o mal conveniente alle migliori industrie del secolo la mia fatica, non mi vorrà dar biasimo del vivo e debito amore testimoniato al mio gran Padre e Maestro, nè potrà diminuirmi la sicura consolazione d'aver renduto un libero e candido omagalla verità, cui devono contendere e servire gli umani ingegni nel desiderio d'ogni bene.

DELL' AUTENTICITÀ DELL' EPISTOLA

A CAN GRANDE DELLA SCALA.

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I. Ritrovandosi per entro al cielo di Marte, l'Allighieri, che nel misterioso viaggio avea più volte inteso gravi parole di sua vita futura, si fa chiarire dal trisavolo Cacciaguida qual fortuna gli s' apparecchiasse. Ed a consolazione de'crudi patimenti, cui soggiacerebbe nell' esilio, ode prenunciarsi:

Lo primo tuo rifugio e il primo ostello
Sarà la cortesia del gran Lombardo,

Che in sulla Scala porta il santo Uccello:

Ch' avrà in te sì benigno riguardo,

Che del fare e del chieder, tra voi due,

Fia primo quel che tra gli altri è più tardo.

In questo gran Lombardo, signor della cortesia, pregio ed onore della casa degli Scaligeri, nessuno oggidì potrebbe contenderci di ravvisare il primogenito d'Alberto, Bartolommeo della Scala. Appo il quale di fatto ricoverò l'esule poeta fra il 1302 e 'l 1304, e potè allora conoscere pur anche l' adolescente Cangrande, siccome gli era stato predetto:

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Con lui vedrai colui che impresso fue,

Nascendo, sì da questa stella forte,
Che notabili fien l'opere sue.

Non se ne sono ancor le genti accorte,
Per la novella età, chè pur nove anni

Son queste ruote intorno di lui torte.

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Dall'esilio di Dante, cominciato il 27 gennaio 1302, fino alla morte di Bartolommeo della Scala, avvenuta addi 7 marzo 1304. Carlo Troya, Del Veltro de' Ghibellini. Napoli, 1856, pag. 115.

Ma pria che 'l Guasco l'alto Arrigo inganni,
Parran faville della sua virtute

In non curar d' argento, nè d' affanni.
Le sue magnificenze conosciute

Saranno ancora sì, che i suoi nemici
Non ne potran tener le lingue mute.
A lui t'aspetta, ed a' suoi benefici;

Per lui fia trasmutata molta gente,
Cambiando condizion ricchi e mendici.
E portera'ne scritto nella mente

Di lui, ma nol dirai . . . e disse cose
Incredibili a quei che fia presente.
Par., XVII, 70.

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II. Quindi appare che Cangrande non contava se non da undici a dodici anni, nè era ancora in istato da far molto valere e desiderare la sua grazia, quando in prima l'Allighieri il vide. Bensi questi ritornò agli Scaligeri nel 1308, dappoi che nella signoria di Verona ad Alboino sedeva compagno quel minore fratello; ma non istette guari con essi. Imperocchè il primo gl' increbbe per la mentita e parca nobiltà; dall'altro, nuovo signore e giovinetto, non parvegli opportunità di chiedere ed aspettarsi validi soccorsi al grave ed impaziente bisogno. Oltre a ciò, stancato del salire continuo e discendere per le altrui scale, e sospinto dall'incessabile desiderio di restituirsi in patria, lo sdegnoso ghibellino dovette novellamente ricercare le terre toscane. Se non che nel 1316 senti mancarsi ogni conforto per la disfatta di Uguccione della Faggiola; ma anzichè volgersi con avvilita fronte alla sua Firenze, si ricondusse a Verona, dove i trionfi e le esaltate magnificenze di Cane Scaligero lo richiamavano. Accoglienze molte e grandi gli vennero fatte come a colui che, insieme colla fama d'onesto ed incolpabile cittadino, áveasi raffermato il nome di Poeta per i celebri canti dell'Inferno e del Purgatorio.

1 Cangrande nacque in Verona addì 9 marzo 1291.

III. Nè per crescere in grazia al magnifico e vittorioso Signore, altro meglio poteva occorrere al pensiero di Dante, che dedicargli la rimanente e già ordita cantica del Paradiso; prezioso ed accettabile augurio di felicità. Qual canto invero più degno e grato al Trionfatore, unico rifugio omai e speranza de' Ghibellini fuggiaschi? Qual migliore lusinga per attirarsene il propizio ed amico riguardo? Qual dono men disconvenevole alla grandezza di chi il doveva ricevere? Come altrimenti scusare i vituperi recati ad Alberto e Giuseppe della Scala, e l'offesa nobiltà d'Alboino? Ma nell' ascrivere quella Cantica al grande Scaligero, il Poeta non gliene presentò fuor che il canto proemiale, per indi conseguire i bisognevoli aiuti, ed impegnarsi, con danno eziandio della vita, a compiere l' arduo e prefisso lavoro. Ciò risulta dal principio della lettera dedicatoria; dove pur anche si porgono opportune e sicure notizie da bastare per introduzione e regola di Commento, non che al solo Paradiso, a tutto il Poema.

IV. Questa lettera che mostra evidente e, come a dire, scolpita l' effigie di Dante, troppo tardi fu conosciuta ai moderni commentatori; giacchè il Mazzoni appena la ricorda, e venne solo divolgata per le stampe sul principio del secolo. scorso. Ma per istabilirne l' autenticità soverchiano le prove addotte dal Witte; alle quali abbattere indarno si pretende la mancanza d'un Codice contemporaneo. Imperocchè il Boccaccio, assai fedele testimonio, ci trasmise volgarizzati parecchi e ben notevoli luoghi di essa lettera, seguitando in ciò gl' interpreti che il precedettero. Che poi questi veramente recassero in uso proprio e assumessero a norma l'espresse parole di Dante, ne abbiamo certa fede da Filippo Villani. Il quale, sottentrato nel 1391 all'ufficio di pubblico lettore della Commedia, si recò a strettissimo debito di pigliare principio con esporre l' Introduzione premessavi dall' Autore. Al che egli s'indusse con manifesto intendimento di correggere quelli del suo tempo, e richiamare la diligenza degli antichi

commentatori, cui il Poeta si porse guida e maestro nella sua dichiarazione a Cangrande. Ora il buon Filippo inchinava omai a decrepitezza, quando s'appigliò a questo consiglio; e qualora non siagli intervenuto di conversare con Dante, ben molte notizie potè raccoglierne dalla viva ed autorevole voce dello zio Giovanni Villani, amico che era stato a Dante e compagno.' Nè nulla vale il ridire, che quel vecchio espositore rammenta solo una certa introduzione di Dante sopra il primo canto del Paradiso destinato a Can della Scala, perocché tale si è di fatto e vuolsi riguardare l' Epistola in discorso. 2 Del rimanente, e non si citano dal Villani le parole della lettera stessa? non la considera forse dal lato più notabile e meglio confacente al proprio uopo? Se altri manoscritti anteriori al secolo XVI non sopravvennero ancora a testimoniarcela, poco rileva; quando in effetto i primi e veridici commentatori mostrano del sicuro che la ebbero alle mani, e gli amanuensi del codice magliabechiano ci attestano d'averne esaminato e ritratto un antico esemplare.

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V. Come poi fra tante disperse reliquie di quella scrittura, potesse bastare altrui l' ingegno e la dottrina per ricomporla nel modo che al presente si legge, io non saprei pensarlo. Certo a ciò è da stimare insufficiente l'Anonimo che ad essa manda innanzi un breve preambolo, senza peraltro conoscerne il pregio e solo adoperandola per amore di brevi

Nos præventi decrepitæ ætatis infirmitate: Cod. Ghigiano, LVII, 253, pag. 83. Audivi, patruo meo Joanne Villani referente, qui Danti fuit amicus et socius, Poetam aliquando dixisse, quod collatis versibus suis cum metris Maronis, Statii, Ovidii et Lucani, visum ei fore cilicium iuxta purpuram collocasse. Cumque se potentissimum in rhythmis intellexisset, ipsis suum accommodavit ingenium. Amplius aiebat vir prudens, id egisse, ut suum idioma nobilitaret et longius veheret. Addebatque sic se facere ut ostenderet etiam elocutione vulgari ardua quæque scientiarum posse tractari: ivi, pag. 89. 2 Si vegga il testo corrispondente ne' miei Commenti, alla pag 57. Cosi pure al Foscolo parve quella Epistola disegnata a guisa d'introduzione a tutto il Poema. Discorso sul testo della Commedia, Lugano, 1826, vol. II, pag. 172.

3 Questa annotazione si registra al § XXII de' Commenti all' Epistola.

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