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COMMENTI

ALL' EPISTOLA DI DANTE A CANGRANDE DELLA SCALA.

Magnifico atque victorioso, ec. Dall' aggiunto victorioso il Dionisi argomentò che questa lettera dovette essere scritta innanzi il 15 d'agosto 1320, quando Cangrande ebbe la dolorosa rotta presso le mura di Padova.1 E poichè in essa non apparisce il titolo di Capitano generale della lega ghibellina in Lombardia, conferito allo Scaligero addì 16 dicembre 1318, converrebbe anche dire sia stata composta prima di tal avvenimento. 2 Ma ciò nulla toglie all' autenticità della lettera, la cui data può bene determinarsi tra il 1317 e il 1318, allorchè il Poeta riparava alla corte del signor di Verona. Questi venne esaltato come vittorioso, dopo lo splendido trionfo ottenuto sopra i Padovani il 20 di settembre 1314.

De scala. Or io prescelgo questa volgata lezione, perchè nella Disputa intorno ai due elementi, terra ed acqua, § XXIV, trovo scritto: Determinata est hæc philosophia, dominante invicto Domino Kane Grandi De scala.... per Dantem Allagherium etc. Conforme al cod. mon., il Witte propose doversi leggere De la scala, e così pare avesse letto Filippo Villani: Noster poeta in quodam introductorio suo super primo cantu paradisi ad Dominum Canem De la scala destinati, etc.

Lo Scolari, che arditamente afferma doversi la qui segnata introduzione distinguere dalla nota epistola di Dante allo Scaligero, non diede mente che tale epistola vuolsi ap277. C. Troya, Del Veltro

Dionisi, Prepar stor. crit. t. II, p. allegorico, p. 178, ed. di Napoli, 1856.

2 Intorno alle epistole latine dell' Allighieri, Lettera critica di Filippo Scolari. Venezia 1844.- Muratori, Storia d'Italia, an. 1315-1318.

3 Il segno cod. mon. indica il Codice di Monaco, esaminato dal Witte; cod. med. il Codice mediceo, e cod. magl. il Codice magliabechiano.

punto ritenere, come il suo autore la dichiarò, per una introduzione al commento della Commedia, e singolarmente del Paradiso. Chi voglia persuadersene, consideri i passi seguenti: Ad introductionem oblati operis (del Paradiso) aliquid, sub lectoris officio, compendiose aggrediar: § III.-Volens de parte supra nominata totius Comœdiæ aliquid tradere per modum introductionis, aliquid de toto opere præmittendum existimavi ut facilior et perfectior sit ad partem introitus: § v. -Le quali avvertenze, insieme con altre più rilevanti che man mano ci occorreranno, n'astringono ad avere per costante verità, che quel nipote di Giovanni Villani non pure conobbe l'epistola di Dante a Cangrande, ma ancor se ne valse ad ogni uopo, riguardandola, qual è di fatti, una introduzione generale al commento del divino Poema, ed in ispezialtà del Paradiso.

Anzichè sereni, che s'incontra in tutte le stampe, mi piace di scrivere Cæsarei, giusta il cod. mon. ed il Witte; perchè vie meglio significa la condizione imperiale del principato di Cangrande.

Florentinus natione, non moribus. Queste parole, che si ripetono in appresso, toccando del titolo del libro, indicano la persona che Dante rappresenta nella Commedia. Al che si vuol bene attendere, e verremo indi a conoscere onde sia che lo sdegnoso Poeta si faccia consigliare da ser Brunetto di forbirsi dai guasti costumi fiorentini (Inf. xv, 65), e con quale intendimento, sul finire della sua misteriosa Visione, ei si mostri divenuto figliuolo di grazia e consorte al giusto e sano popolo de' celesti: Par. XXXI, 39, 89, 112. Di siffatta guisa la Commedia di Dante, da mesto principio riuscendo a lieto compimento, giustifica il proprio titolo e lo dichiara.

Vicario. Cangrande venne costituito Vicario imperiale a Vicenza l'anno 1312, e riconfermato in poi da Federico d'Austria, addì 16 di marzo 1317. Manca ne' codici e nelle stampe la parola vicario, ma la mancanza è chiara dalla desinenza grammaticale del titolo che segue, e dall' epiteto di sacratissimo che non può convenire se non al romano imperio. Il cod. mon. avvera questa sagace conghiettura del Balbo, leggendo di fatti « Vicario generali in urbe Verona et civitate Vicentia. » Saviamente l'illustre Torinese ci fa osservare, che

in queste parole è distinta la città capo di tutto il paese soggetto a Cangrande, ma non sarebbe possibile di renderle convenientemente in volgare. Perciò, a non voler confondere in urbe con in civitate, mi parve miglior consiglio di nominar pure Verona e Vicenza, lasciando ai lettori di farne quella distinzione che si richiede.

§ I. Inclytæ vestræ magnificentiæ laus, etc. Sono queste pressochè le stesse lodi, che si attribuiscono a Cangrande al PAR. XVII, 85 Le sue magnificenze conosciute

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ancora si, che i suoi nimici - non ne potran tener le lingue mute. A lui t'aspetta, ed a' suoi benefici: per lui fia trasmutata molta gente ·

cambiando condizion ricchi e mendici. E non si dirà poi di Dante una lettera, la quale ne interpreta così rettamente e chiaro n' esprime gli ascosi concetti ? Così gli è suo quello scritto, come il vero è uno.

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Volitando corregge il Witte a norma del cod. mon., e però che dinota maggiormente l' incerto discorrere della fama, ho stimato si dovesse anteporre al volitans del cod. med.. e al volitanter della volgata. Mantengo pur lo stesso vocabolo nella traduzione, giacchè il Poeta si piacque usarlo: PAR. XVIII, 79. Si dentro a' lumi sante creature volitando cantavano.

Huius quidem præconium, etc. Benchè da questa lezione del cod. mon. si possa ritrarre un congruo senso, non mi son dipartito dalla volgata, come quella che bene si presta a dinotare le lodi insieme e il grido della fama che le diffonde.

Veri essentia. Così i codici tutti, ad eccezione del mon., dal quale il Witte dedusse veri exsistentia molto propriamente, dacchè de' fatti non s'investiga nè s' attende tanto l'essenza, quanto la vera quantità (Con. I, 3), se cioè stanno di qua dai termini del vero o li oltrepassanc.

Aliquando si trova nel cod. mon., ed il Witte ben seppe giovarsene a correggere l' alii o ali degli altri codici e delle stampe, donde non si poteva riuscire a niun buon costrutto, senza torcere i vocaboli dall' usata significazione.

Superfluum, viene dire sovrabbondante, esagerato, eccesivo, secondo che si raccoglie da quanto seguita: « posterius ipsa facta excessiva cognovi. »

Austri regina, etc. Saba, regina Austri, audita fama Salomonis, in nomine Domini venit tentare eum in ænigmatibus. Et ingressa Jerusalem multo cum comitatu, videns omnem sapientiam Salomonis et domum quam ædificaverat, dixit ad regem: Verus est sermo, quem audivi in terra mea, super sermonibus tuis et super sapientia tua, et non credebam narrantibus mihi, donec ipsa veni et vidi oculis meis, et probavi, quod media pars mihi nunciata non fuerit; maior est sapientia et opera tua, quam rumor quem audivi: Reg. III, 10. Lo Scolari nega l'autenticità di questa lettera, perchè non sa vedere come Dante, si mendico che era, potesse di primo colpo assomigliarsi alla superba dominatrice dell' Austro. Ma se ei rifletteva alla cagione onde quell'augusta donna si mosse per visitare il famoso Savio e conversare insieme con lui, avrebbe in ciò riconosciuto l'ammirabile convenienza del paragone, tanto che a fatica se ne potrebbe ritrovare un altro più confacevole. Del resto la similitudine non importa eguaglianza, e per quanto al povero Dante sia stata nimica la fortuna, non bastò certo a mutargli sensi e intelletto di guisa, che ei non potesse udire e vedere al pari di qualsiasi ricchissimo e sapientissimo Signor della terra.

Fidis oculis discursurus. Audita ubique, etc. Da questa volgata lezione discorda il cod. mon. scrivendo: fidis oculis discussurus audita: ibique, etc. Ed io sono d'accordo col Witte, che si debba accoppiare audita al verbo precedente; ma piuttosto che discussurus, preferisco discursurus. Imperocchè per Dante il riguardare le cose torna a un medesimo che discorrere, o vogliam dire guidare sovresse il curro dello sguardo (Inf. XVII, 63); e quando si considerano, su vi si traina l'occhio della mente: Par. X, 121.

Non mi parve di dover accettare similiter, con che il Witte, mosso dal cod. mon., correggeva il vulgato simul, perchè quindi vien meglio espressa l'intesa contemporaneità dei due atti del vedere e provare.

Vidi beneficia simul et tetigi. Ciò vale a spiegar quello del Par. XVII, 88, A lui t'aspetta ed a' suoi benefici; e fa puranco vedere, che Dante scrisse questa lettera, provato che ebbe i beneficii di Can della Scala. Il che non potè intervenir

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