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gli poco dopo all' esiglio, dacchè allora lo Scaligero non contava se non da undici a tredici anni, ma bensì quando, abbattuto Uguccione, egli, il Poeta, riparò di nuovo alla corte di Verona, tra la fine del 1316 ed il principio del 1317.

Prius dictorum ex parte suspicabar excessum, etc. L'aggiunta ex parte, che occorre nel cod. mon., la reputo fuori luogo, stantechè le allegate parole non avrebbero più l'esatta corrispondenza con ipsa facta excessiva cognovi.

Ex visu postmodum. Questa lezione la derivo in parte dalla comune ex visu primordii, e da quella del cod. mon. accreditata dal Witte ex usu postmodum. A quest'ultima mi sono in prima accostato, essendo che l'amistà s'accresce per la consuetudine: (Con. I, 13.) Senonchè, fatta ragione che la consuetudine o conversazione non vien assegnata fra le cause generative dell'amicizia, ma sì tra quelle che l'aumentano (Con. ivi), mi parve di meglio accertare la verità, leggendo ex visu postmodum. E ciò massimamente, perchè là dove questa frase s'incontra, si pone in confronto il detto col fatto, vale dire, le grandi cose udite pel grido della fama, e quelle sperimentate di veduta. Or qui, se altri vuol prender sicura fede, che Dante scrisse di vero la presente lettera allo Scaligero, ei potrà verificarne gli stessi concetti al c. 3 del tr. IV del Convito. Ivi in fatti si dimostra perchè e come la immagine per sola fama generata, sempre è più ampia, quale essa sia, che la cosa immaginata nel suo vero stato. La stima oltre la verità si sciampia (si dilata), non tenendosi alli termini del vero, ma passando quelli. Il che valga pur anche a scusare e chiarire il modo che ho tenuto nel volgarizzare veri exsistentia latius, etc.

§ II. Nec reor amici nomen assumens, etc. Nobili spiriti son questi, ridirò io col valoroso C. Troya, che un uomo povero si chiami amico di ricco e temuto e avventato Signore.

Reatum incurrere. Il Witte, a norma del cod. mon., sostituisce merere all' incurrere della volgata, ma questo s'adatta viemmeglio a quanto precede, giacchè il reato della presunzione piuttosto s'incorre di quello che si meriti.

Non minus dispares, etc. A questo parrebbe contrapporsi

quello che si nota al Con. III, 1. Conciossiacosachè intra dissimili amistà esser non possa, dovunque amistà si vede, similitudine s' intende. Ma vuolsi por mente che dissimili qui importa diversi di costumi, laddove nella Epistola dispares significa dissimili di stato. Di ciò ne convincono quelle parole del Convito, le quali susseguono alle altre ora citate: Nell' amistà delle persone dissimili di stato, conviene, a conservazione di quella, una proporzione essere in tra loro, che la dissimilitu dine a similitudine quasi riduca, siccome intra il signore ed il servo. La quale sentenza, che l'occhio perspicacissimo del Witte ravvisò conforme a quella del § III, mostra eziandio come tra dissimili persone può darsi qualche rispetto di similitudine, e quindi insorgere tra esse e durar l'amicizia.

Amicitiæ sacramento vale quanto per fede o religione d'amicizia; giacchè l' Allighieri chiama religione universale (Con. IV, 4) quel vincol d' amor che fa natura (Inf. II, 56), e fede speciale (ivi, 63) l'amistà sopra la natural generata (Con. I, 13), ossia l'amor d'amicizia che a quello di natura s' aggiugne.

Nam si etc. Invece della volgata nec non, il cod. mon. porta nam si; or questa lezione proposta dal Witte, corrisponde a « Et si ad veram, etc. » e apparirà conforme al vero, ove si osservi che le parole susseguenti comprendono la ragione delle preaccennate. Di fatti per quelle si procede a dichiarare che, o si riguardino le amicizie dilettevoli e utili (le amicizie per accidente: Con. III, 11), o l'amicizia vera e per sẻ, può nell' un caso e nell' altro esservi amicizia fra persone dissimili di stato.

Si delectabiles et utiles amicitias inspicere libeat, etc. Che ciò riesca a dire « se vogliansi riguardare le amicizie per accidente» si deduce dal suindicato luogo. L'amicizia per diletto fatta o per utilità non è amicizia vera, ma per accidente. Quindi non pur s'illustra il testo allegato, ma ne vien anco chiarita e determinata la precisa lezione. Volgarmente si leggeva « nec non delectabiles et utiles amicitias inspicere libeat illis. Persæpius inspicienti patebit, præeminentes inferioribus coniugari personis. Donde, per ingegno che altri adoperi, non potrebbe trarne buon costrutto, e tanto

meno, chi voglia sostituire, giusta il cod. mon. illas e personas ad illis e personis. E pertanto si dilungò dal vero il Missirini, cui parve d' uscire del forte passo così interpretando ; « Nè quelle consuetudini sono meno utili e belle. Basta uno sguardo per vedere i grandi essersi piegati ai minori. » Ad una si disconvenevole interpretazione ha potuto condurre l'inavvertito errore della volgata. Del quale ben s'accorse il Witte, sicchè aiutandosi del cod. mon., pensò di correggere: Nam si delectabiles et utiles amicitias inspicere libeat, illas persæpius inspicienti eas esse patebit, quæ præeminentes inferioribus coniungant personis. Or di qui neppur viene in pronto l'intenzione dell'Autore; il quale vuol ivi indurci non già a disaminare quali sieno di fatto le amicizie utili e dilettevoli, ma si ad esaminar queste accidentali amicizie, per vedere come eziandio per esse congiungansi bene spesso persone dissimili di stato. Per tutto ciò io sono di fermo avviso doversi scrivere di verità: « Nam si delectabiles et utiles amicitias inspicere libeat, illis persæpius inspicienti patebit, præeminentes inferioribus coniugari personis. La sentenza qui inchiusa risulta chiara ed aperta nel volgarizzamento.

Et si ad veram ac per se amicitiam, etc. E tanto giovi a raffermare, che il sovradetto vuolsi riferire all'amicizia per accidente, a quella cioè che si genera per utilità o per diletto. Laddove l'amistà vera e perpetua e perfetta, a cui ora s' accenna, è quella fatta per onestà: Con. III, 11. Quando altri non riconosca in questa lettera il proprio e verace sigillo di Dante, se vuol esser seco in accordo, non deve neppur ri conoscervelo nel Convito.

Nonne illustrium summorumque principum, etc. Chi a ciò pensi, non si maraviglierà che Dante, siccome dello Scaligero, si professasse amico di re Carlo Martello, da cui si fa dire: Assai m'amasti ed avesti ben onde, - che s'io fossi giù stato, io ti mostrava — di mio amor più oltre che le fronde Par. VIII, 55.

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Sed habet imperitia, etc. Siccome « la parte sensitiva » dell' anima ha suoi occhi, co' quali apprende la differenza » delle cose, in quanto elle sono di fuori colorate; così la » parte razionale ha suo occhio, col quale apprende la dif

GIULIANI.1.

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>> ferenza delle cose, in quanto sono ad alcun fine ordinate; » e questa è la discrezione. E siccome colui ch'è cieco degli >> occhi sensibili, va sempre secondo che gli altri, giudicando >> il male e 'l bene; così quegli ch'è cieco del lume della di>> screzione, sempre va nel suo giudizio secondo il grido o >> diritto o falso.... Dell' abito di questa luce discretiva mas>> simamente le persone volgari sono orbate.... Questi sono da >> chiamare pecore, non uomini; chè se una pecora si git>> tasse da una ripa di mille passi, tutte l'altre l'andrebbono >> dietro » Con. III, 11. Oltrechè si avverta, che il sensuale parere, secondo la più gente, è molte volte falsissimo, massimamente nelli sensibili comuni, là dove il senso spesse volte è ingannato. Onde sappiamo che alla più gente, il sole pare di larghezza nel diametro d' un piede: ivi, IV, 8. Queste ultime parole mi darebbero sicuro indizio, che nel luogo premostrato convien leggere non magnitudinis ma si amplitudinis. Del rimanente m' unisco francamente col Torri, affermando, non potersi negare a Dante una epistola ov' ei traduce sè stesso.

Sic et circa unam et alteram rem credulitate decipitur. Il cod. med. aggiugne « sic circa mores et circa unam, etc. » e il Witte, avendo notato nel cod. mon. solo « circa mores vana credulitate decipitur credette fosse questa la migliore lezione. Ma io non saprei discostarmi dalla volgata, che allargando compie ed avvera la concetta sentenza. Imperocchè nel presente luogo non si riprova il giudizio del volgo rispetto alla moralità, ma si quanto alla disconvenienza d'amicizia tra persone dissimili di stato. D'altra parte convien far ragione, che la gente volgare nel suo parere suol ingannarsi, perchè in tutte cose, dal proprio mestiere diverse, si lascia guidare non secondo la ragione, ma secondo il senso od il grido (Con. I, 11): a voce più ch' al ver drizzan li volti : Par. XXVI, 121. Le popolari persone la loro usanza pongono in alcuna arte, e a discernere le altre cose non curano, ond' impossibile è a loro discrezione avere, nè quindi rettitudine di giudizio: Con. ivi.

Nos autem. M'attengo all' opinione del Witte, scrivendo autem piuttostochè il volgato enim, giacchè ora si procede a notare la migliore usanza che i savi ed intelligenti diparte

dalla volgare schiera. Pur io sto fermo a credere che bisogni leggere Eos invece di Nos, e così rispettivamente tenentur e adstringuntur anzichè tenemur e adstringimur. In prima, perchè Dante avrebbe mancato a sè stesso, qualvolta con si aperta franchezza si fosse annoverato fra i savi; poi, perchè le cose infrascritte « quum non ipsi legibus, sed ipsis leges potius dirigantur » e tutto l'altro contesto n' accertano che il discorso deve accomodarsi generalmente alla terza persona.

Nam intellectu divina quadam libertate et ratione dotati etc. Questa volgata lezione non basta a porgermi un chiaro e dicevole concetto, e però tengo fede all'altra de' codici med. e mon. « Nam intellectu et ratione degentes, divina quadam libertate dotati, etc. Bensì in cambio di degentes, vocabolo assai qui male a luogo e falsato, correggo senza esitanza vigentes, come vieppiù acconcio ad esprimere la mente dello scrittore e la verità. Conciossiachè degni di comporre e dirigere le leggi, di che poscia si fa cenno, mostransi quelli soltanto, i quali per vigor d' intelletto e di ragione mantengono diritto il proprio arbitrio, sano e libero dalle consuetudini volgari. E di vero, la virtù intellettuale è norma alle altre tutte Vis intellectualis est regulatrix et rectrix omnium aliarum: Mon. II, 7. Ma a discolparmi dell' ardita correzione, ecco Dante che la suggella, accennando quello della Politica di Aristotele « intellectu scilicet vigentes aliis naturaliter principari: » Mon. I, 4. Donde si può trar nuovo argomento, come sia proprio dell'autore De Monarchia questa Epistola a Can della Scala, e si rende ancor meglio palese la ragione che mi obbligò ad accettare l' usitato adstringuntur, anzichè adstringimur siccome dal Witte, seguace del cod. mon. ne venne proposto. Quant'è al ragionamento di Dante, si riduce a questo: << Alle persone volgari, il cui giudizio si ferma pure all' esteriori condizioni umane, può bensi parere presuntuoso che un povero e sventurato si faccia amico ad un gran principe. Laddove i savi, giudicando a norma della ragione, attendono pure alla parte nostra migliore, che è l'animo e la mente, e veggono come indi può nascere e intervenire tal somiglianza fra persone dissimili di stato, da rendere intra loro possibile qualsiasi più stretta amicizia.

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