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ammoniscono, che il Boccaccio per commentare il sacro Poema s'appropriò interi luoghi di questa Lettera, nè i valentuomini s'ingannarono. Ed a persuadercene vengono in pronto le stesse parole del Certaldese: «Avanti che alla lettera del » testo si venga, stimo siano da vedere tre cose, le quali ge>> neralmente si sogliono cercare ne' principii di ciascuna cosa » che appartenga a dottrina. La prima è di mostrare quante » e quali sieno le cause di questo libro; la seconda, qual sia >> il titolo del libro; la terza, a qual parte di filosofia sia il >> presente libro supposto. Le cause di questo libro sono quat» tro, la materiale, la formale, l'efficiente e la finale. »1 Il medesimo si riscontra presso Francesco da Buti : << Siccome >> dicono tutti gli espositori, ne' principii degli autori si ri>> chiedono di manifestare tre cose principalmente, cioè le » cagioni e appresso la nominazione, ovvero titolo che altri » voglia chiamarlo, e poi la supposizione dell'opera. E quanto » al primo è da sapere che le cagioni sono quattro, cioè ma»teriale, formale, efficiente e finale. » Or queste cagioni rispondono per appunto al soggetto (il quale è con la materia una medesima cosa), alla forma, all'agente e al fine, secondo che nell' Epistola sí determina. Alla quale si conformarono anche meglio e con più di rigore Benvenuto da Imola e Jacopo della Lana. Questi, che per avviso del Witte sarebbe a riputarsi principale fra i commentatori della Commedia, scrive in modo preciso : « Ad intelligenza della presente Commedia, >> siccome usano gli espositori nelle scienze, è da notare quat>> tro cose. La prima, cioè, materia ovvero soggetto della pre>> sente opera; la seconda, qual è la forma, e donde toglie » tal nome ovvero titolo del libro. La terza cosa, qual è la » cagione finale, ovvero a che utilitade ella è fatta e sotto >> quale filosofia ella è sottoposta. » L'Imolese poi si esprime >> in maniera ancor più distinta : « Ad Comœdiæ clariorem intelligentiam quædam evidentialia extrinsecus prælibentur. Et primo quæratur quis libri auctor; secundo, quæ materia; tertio, quæ intentio ; quarto, quæ utilitas ; quinto, cui parti philosophiæ supponatur; sexto, quis libri titulus.» Mirabile conve

1 Boccaccio, Commento sopra la Commedia di Dante, pag. 14. Firen

ze 1844.

nienza e diremo or noi, che a questi espositori fosse ignota quella Lettera, di cui compendiano o ritraggono fedelmente i sensi e le parole? Tanta unità di sentenza in si diversi intelletti non è forse certo indizio, che essi informaronsi a una sola dottrina? Ma ecco Filippo Villani che dilegua ogni dubbio, premettendo al suo commento: « Nunc ad inquisitionem causarum veniamus, et sicuti qui de prisco more commenta dictabant, boni Dei auxilio invocato (quod et nos pia devotione humilique deprecatione exposcimus), antequam ad literalem explanationem pervenirent, de septem agebant circumstantiis, quas græci periochas appellant; quæ locum, tempus, personam, rem, qualitatem et facultatem continent. Amplius de libri titulo agebant, et in poeticis quærebant quos fuisset auctor imitatus. Harum plerique tres solummodo considerabant, unde scilicet auctor ageret, et cur et qualiter, ut inde sibi auditores benevolos, dociles et attentos compararet. Noster vero Poeta in quodam Introductorio suo, supra cantu primo Paradisi ad Dominum Canem De la Scala destinati,' de sex agere videtur, quæ subiectum, agentem, formam, libri titulum et genus philosophiæ comprehendunt. Causas istas fere omnes moderni ad quatuor redegerunt, quærentes de efficiente, de materia, de forma et postremo de fine. Mihi placet antiquam diligentiam revocare. » Questo documento, a cui nessuno potrebbe negar fede, basta di per sè solo a rendere autentica la Lettera in quistione, e ne obbliga a non ammettere si di leggieri quanto ne vien proposto dall'ardita fantasia, pronta ed infrenabile seguace de' preconcetti sistemi.

§ VII. Ad evidentiam itaque, etc. « Ad evidenza dunque della scienza della prima divisione è da sapere, che le cose devono esser denominate dall' ultima nobiltà della loro forma ec.: » Con. II, 8.

Polysemum. Ho creduto di dover leggere polysemum, riferendosi ad opus sottinteso, tanto più che polysensuum della volgata, oltre ad essere strana dizione, offende il buon costrutto, nè polysemos dal cod. med. vi s'accomoda me

4 È qui da notare che destinati risponde al destinare proposui dell' Epistola, e si vegga eziandio come per questa fosse presentato a Cangran de il solo primo canto del Paradiso.

glio. D'altra parte l'addietivo polysemus importa di vero il medesimo che di molti sensi, come è a vedere presso Servio, ad. 1 Æn. « Polysemus sermo. » Il Ducange registra puranche: «Polysemus, multæ significationis: apud Auxilium de causa Formosi pap. Communicare polysemum est. » E nella Genealogia degli Dei, il Boccacio, parlando dell' allegoria delle favole, ne fa sapere: « his fictionibus non esse tantum unicum intellectum, quin immo dici posset potius polysemum, hoc est multiplicium sensuum. Nam sensus primus habetur per corticem, et hic literalis vocatus est; alii per significata per corticem, et hi allegorici nuncupantur: » L. 1, c. 3, p. 4.

Allegoricus sive mysticus, è buona lezione: la comune porta allegoricus sive moralis, ma l'errore si palesa qualunque attenda che il senso morale, essendo solo specie rispetto al genere, che è il senso allegorico, non si deve con questo confondere e scambiare. Infatti l'autore, nell' esemplificar il secondo senso, cioè l'allegorico, comprende e distingue in esso il morale, l' anagogico e l'allegoria propriamente detta; dichiarando inoltre potersi tutti questi sensi mistici chiamare generalmente allegorici, in quanto si diversificano dal senso letterale: « Quamquam isti sensus mystici variis appellantur nominibus, omnes dici possunt allegorici, quum sint a literali, sive historiali, diversi. » Ed ecco, che senso allegorico e senso mistico o spirituale, riuscendo nella loro generalità a dinotare i sensi diversi dal letterale, possono valere l'un per l'altro, e far quindi lecita la correzione preaccennata.

Tutto ciò prende via maggior luce e sicura dagli espressi insegnamenti dell' angelico Dottore, là dove tocca del vario senso della sacra Scrittura : « Prima significatio, qua voces significant res, pertinet ad primum sensum, qui est historicus vel literalis. Ea vero significatio, qua res significatæ per voces, iterum res alias significant, dicitur sensus spiritualis (vel mysticus), qui super literalem fundatur et eum supponit. Hic autem sensus spiritualis trifariam dividitur...; nempe... in sensum allegoricum, moralem et anagogicum... Thom. Sum. 1, q. 1, 10, et 12, q. 102, 2, c. p. 23. Apud Au gustinum sola allegoria pro tribus spiritualibus sensibus ponitur (De utilitate credendi, c. 3 circa prin. t. 6.) Del rima

nente ritengasi per fermo, che in tutta la Commedia vanno corrispondendosi i soli alterni sensi, il letterale cioè e l'allegorico (§ VIII), e che quindi vuol esserne pur letterale ed allegorica la sposizione: Con. II, 1. Ma convien fare avvertenza, che per allegoria di un'opera si deve intendere la verità, di qualunque natura siasi, o vogliam dire la vera intenzione, che l'autore nasconde sotto l'ornato velo della lettera, e verso cui richiama tuttora la nostra credenza: Con. I, 1; II, 1. Or siffatta verità può essere talvolta morale od anche riferirsi alle cose della eternale gloria, e allora il senso allegorico si riduce al morale o all' anagogico. Ma non sarà mai che alcuno di questi due sensi, incapace per sè a comprendere ogni verità ed offerentesi soltanto qua e là, incidentemente, a tempo e luogo, valga il medesimo e sia così esteso come il senso allegorico o mistico, il quale seguita di filo il processo dell' opera e s'alterna col letterale: Con, ivi. Di che vanno ingannati coloro che avvisano s'abbia a commentare tutta la Commedia nel solo senso morale o nell' anagogico, quando questi sensi ivi non si rincontrano che nell' una o nell'altra parte e sempre sottoposti all' allegoria, che dopo il primo della lettera, è il secondo senso, che nell'intero Poema percorra continuamente. Nè pertanto io stimo qui fuor di proposito il rammentare que' versi allegati dal Buti: « Litera gesta docet; quid credas, allegoria; - moralis, quid agas; quid speres, anagogia. »

Si moralem sensum, etc. A meglio conoscere dove e come e quando in una scrittura si ritrovi il senso morale, torneranno opportune le parole del Con. II, 1. « Il terzo senso >> si chiama morale, e questo è quello che i lettori devono >> andare appostando a utilità di loro o de' loro discepoli; sic» come appostare si può nel Vangelio quando Cristo salio lo >> monte per trasfigurarsi, che delli dodici Apostoli ne menò >> seco soli tre; in che moralmente si può intendere, che alle » secretissime cose noi dovemo avere poca compagnia. >>

Si anagogicum, etc. Or qui a prima giunta s' appresenterebbe il più forte ostacolo a tener per autentica la presente Lettera, determinandosi in questa l' anagogia per diverso modo da quello che nel Convito; ma ne potremo anzi vie

meglio accertare la verità. Ecco il notabile passo del Con. II, 1. << Il quarto senso si chiama anagogico, cioè sovra senso: e que»st'è, quando spiritualmente si spone una scrittura, la quale >> eziandio che nel senso letterale (aggiugni « significhi delle » cose terrene ») per le cose significate, significa delle su» perne cose dell' eternale gloria; siccome veder si può in >> quel canto del Profeta, che dice: «Che nell' uscita del po» polo d' Israel d'Egitto, la Giudea è fatta santa e libera. » » Che avvegna, essere vero, secondo la lettera, sia manife>> sto; non meno è vero quello che spiritualmente s' intende, >> cioè che nell' uscita dell'anima dal peccato, essa sia fatta >> santa e libera in sua potestate. » Chi bada ben chiaro, in questo luogo non si rinviene specificato il senso anagogico, dappoichè sovra senso e senso spirituale accennando quel senso che si ha dalle cose significate per la lettera (lo spirito della lettera), indica comprensivamente anche il senso allegorico e il morale. Nè inoltre v' ha esattezza in quelle parole con che si vuol ivi chiarire il senso anagogico del salmo In exitu. Il quale senso, giusta ciò che si è premesso, deve solo riguardare le superne cose dell' eterna gloria, e vien quindi ben dimostrato nell' epistola allo Scaligero: Si anagogicum sensum inspiciamus, significatur exitus animæ sanctæ ab huius corruptionis servitute ad æternæ gloriæ libertatem. Or ciò appieno si traduce dal Boccacci : « se noi guarderemo al senso anagogico, vedremo essercisi dimostrato l'uscimento dell' anima santa dalla servitudine della presente corruzione alla libertà della gloria eternale. » Così inteso quel canto del Profeta s'addice propriamente all' anime, che l' Angelo raccoglie là dove l'acqua del Tevere s'insala, per avviarle a mondarsi e salire alla gloria de' cieli: Pur. II, 46. A queste considerazioni aggiungasi che nel prenotato passo del Convito, anzichè l' anagogico, ritrovasi esemplificato il senso morale, essendo che ivi si tocca bensi della santità che aver deve attinenza alla gloria eternale, ma di cose che questa sien proprie e presenti, non si porge il minimo cenno. E tanto è il vero, che lo stesso Allighieri, fatto adulto ne' teologici studi e scorto da più sicura luce, emendò se stesso, dichiarando in miglior modo l' anagogia di quel sacro versetto, e

GIULIANI.-1.

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