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SONETTO XLIX.

Loda Simone Memmi, pittore Sanese, che ritrasse si divinamente Laura che dee averla veduta e ritratta in Paradiso.

Per mirar Policleto a prova fiso,

Con gli altri ch' ebber fama di quell' arte,
Mill' anni, non vedrian la minor parte
Della beltà che m'ave il cor_conquiso.
Ma certo il mio Simon fu in Paradiso,
Onde questa gentil donna si parte;
Ivi la vide, e la ritrasse in carte,
Per far fede quaggiù del suo bel viso.
L'opra fu ben di quelle che nel Cielo
Si ponno immaginar, non qui fra noi,
Ove le membra fanno all'alma velo.
Cortesia fe; nè la potea far poi

Che fu disceso a provar caldo e gelo,
E del mortal sentiron gli occhi suoi.

1 Policleto fu scultore; ma in lui personifica le arti plastiche. ·- A prova fiso. A gara, perchè la gara è quella che fa far bene. C. 7 La ritrasse in carte. La

figura non era in legno, in muro, o in tela. C. Il Biagioli intende del disegno in carta che va innanzi allo scolpire, credendo che si parli di due ritratti a bassorilievo in marmo, rappresentanti Laura e il Petrarca, posseduti da un cavaliere fiorentino, e creduti opera di Simone che fu altresì scultore. Ma questa opinione non ha fondamento. 8 In questo mondo non si poteva far fede del

viso di Laura, chi non recava il suo ri-
tratto dal cielo. C. 9-10 Che nel cielo
si ponno immaginar. Intende a posterio-
ri, esser fatta: che qui non si fanno si-
mili opere. Non si puo pensare che que-
sta si sia fatta in terra. C. 11 Corte-
sia, Opera cortese. Nè, in questo luogo
significa Certo non. C.
13 A provar
caldo e gielo. Le contrarietà sono cagione
di corruzione e d' imperfezione, le quali
non sono in cielo. C. -14 E del mortal.
Sperimentarono lo stato mortale ovvero
ebbero, tennero, parteciparono del mor-
tale. L.

SONETTO L.

Si duole che Simone non abbia data voce ed intelletto alla figura e dice
d'invidiar Pigmalione acciocchè non paresse dolersi di cosa impossibile.
Quando giunse a Simon l'alto concetto
Ch' a mio nome gli pose in man lo stile,
S'avesse dato all'opera gentile

Con la figura voce ed intelletto,

Di sospir molti mi sgombrava il petto,

Che ciò ch' altri han più caro, à me fan vile:

Però che in vista ella si mostra umile,

Promettendomi pace nell'aspetto:

Ma poi ch' i' vengo a ragionar con lei,
Benignamente assai par che m'ascolte,
Se risponder savesse a' detti miei,
Pigmalion, quanto lodar ti dei
Dell'immagine tua, se mille volte

N' avesti quel ch' io sol una vorrei!

2 A mio nome. A mia istanza. L. Stile, di piombo e un terzo di stagno e serve Verghetta sottile che si fa di due terzi per tirar le prime linee a chi vuol dise

gnar in penna; fannosene anche in argento. Così il Baldinucci e il Bocc. VI. 3, di Giotto dice che dipigneva con lo stile, con la penna e col pennello. 4 Acquetava suo desiderio, che è d'udirla parlare, il quale fa a me più vile ciò che altri hanno

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più caro, cioè per udirla parlare io reputerei nulla tutti gl'imperj e l'altre cose tenute care dal mondo. C. Pigmalion. Altrove: Pigmalion con la sua donna viva. C. 13-14 Se mille volte, ecc. Intendi l'udirla parlare, C. SONETTO LI.

Ergomenta che sia vicino a morte, nè possa più campare per aiuto, che gli fosse porto; così è mal trattato dal suo desio, du Amore, da' suoi occhi, da Laura.

S'al principio risponde il fine e'l mezzo

Def quartodecim' anno ch'io sospiro,

Più non mi può scampar l'aura nè'l rezzo;
Si crescer sento 'l mio ardente desiro.
Amor, con cui pensier mai non han mezzo,
Sotto 'l cui giogo giammai non respiro,
Tal mi governa, ch'i' non son già mezzo,
Per gli occhi, ch' al mio mal sì spesso giro.
Cost mancando vo di giorno in giorno

Si chiusamente, ch'i' sol me n'accorgo,
E quella che, guardando, il cuor mi strugge.
Appena infin a qui l'anima scorgo;

Nè so quanto fia meco il suo soggiorno;
Che la morte s'appressa, e 'l viver fugge.

45, se, è posto per Quoniam.C. E'lmez | chè sempre i pensieri sono travagliati fie20. Significa termine e punto che abbia ramente da Amore. C. 7 Già. Omai. riguardo al principio ed al fine. C. -2 Mezzo. La metà. C. -8 Per gli occhi. Per · Del quartodecim'unno. Cioè di quattordici cagione degli occhi. C. Al mio mal. A anni, come ancora millesimo anno per Laura, cagione del mio male. C. 10 Si mille anni. C. 3 Mostra che ogni soc- chiusamente. Senza che gli amici se ne corso omai è tardo. Rezzo. Ombra. C. avveggano. C. 11 E quella. Laura. lura nè 'l rezzo. Quelle due cose che 12 Appena io conduco l'anima fino a queseglion porger refrigerio al caldo. D. sto tempo. E mostra che duri fatica rite5 Mezzo. Modo, misura e temperanza, I nerla in vita. C. SESTINA IV.

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Mal affidatosi alla fragil nave d'Amore, prega Dio
che lo drizzi a buon porto.

Chi è fermato di menar sua vita

Su per l'onde fallaci e per li scogli, Scevro da morte con un picciol legno, Non può molto lontan esser dal fine: Però sarebbe da ritrarsi in porto Mentre al governo ancor crede la vela. 1 Fermato. Risoluto. L. 2 Su per l'onde fallaci. Delle lascivie. C. E per li scogli. Scandali ed impedimenti alla vita eterna. Gli scogli sotto l'onde sono quelli che ingannano le navi. C. — 54 Se vro. Separato da morte quanto è la spada d'una barchetta. L. Altrove: Che Scuri in me dal vivo terren l'onde. Dante. Parad, XVI 13. Onde Beatrice ch'era un

poco scevra. C. Con un picciol legno.
Sente quel. di Giovenale Satyr. XII:

Digitis a morte remolus
Quatuor ac septem.

Dal fine. Dal perdimento dell'anima C. 5 Sarebbe da ritrarsi. Converrebbe ritirarsi. 6 Alla ragion possono ancor credere i sensi. Mentre. Finchè. Crede. Ubbidisce.

L'aura soave a cui governo e vela
Commisi entrando all' amorosa vita,
E sperando venire a miglior porto,
Poi mi condusse in più di mille scogli;
E le cagion del mio doglioso fine
Non pur d'intorno avea, ma dentro al legno.

1 L'aura soave ecc. Non intendo io o
Laura, come alcuni, che ella non con-
dusse il Petrarca in peccati o la piace-
volezza di Laura da principio; ma la
piacevolezza della lascivia umana, la qua-
le prometteva una vita ancor più piace-
volè. C. 2 Commisi. Affidai timone e
vela. L. In più di mille scogli. Non
Chiuso gran tempo in questo cieco legno
Errai senza levar occhio alla vela,

orgogli e sdegni di Laura, come inten-
dono alcuni; ma in peccati, in dimenti-
canza di sè stesso e di Dio. C.
- 6 Non pur
d'intorno avea. La barchetta faceva ac-
qua, dicono i marinai. T. La bellezza di
Laura con tutti i lacciuoli del mondo. Ma
dentro al legno. Gli affetti della carne ed
i pensieri. C.

Ch' anzi 'l mio dì mi trasportava al fine;
Poi piacque a Lui che mi produsse in vita,
Chiamarmi tanto indietro dalli scogli,
Ch' almen da lunge m' apparisse il porto.

1 Gran tempo. Si riferisce ad errai. L. Cicco legno. Corpo che non vedeva il male suo. C. Virg.: Nee auras respiciunt clausae tenebris el carcere cœco. 2 Le

C.

var occhio alla vela. Cioè al cammino,
dove ella fosse dirizzata C.
3 Prima
della morte naturale all' eterna mi tras-
portava. T. 4 — A lui, ecc. A Dio.

Come lume di notte in alcun porto
Vide mai d'alto mar nave nè legno,
Se non gliel tolse o tempestate o scogli;
Così di su dalla gonfiata vela

Vid' io le 'nsegne di quell' altra vita:
Ed allor sospirai verso 'l mio fine.

1 Come. Con quanta allegrezza. L. Lu-
me. Accusativo. L. 2 Nè legno o legno.
3 Tempestate. Tempesta. - 4. Di
su dalla gonfiata vela. Cioè da stare in
cima alla vela gonfiata, al luogo della
gabbia, ove stanno le sentinelle. T.
Vid' io le 'nsegne di quell' altra vita.
Dio gli lasciò vedere di fontano le insegne

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della vita eterna, che sono alcune sante
ispirazioni che lo indussero a pensare. C.
6 Ed allor sospirai, ecc. Cioè per al-
legrezza di venir al mio fine, cioè all al-
tra vita. C. Perchè s'accorse che non le-
neva la via dritta d'andare al porto,
ma quella che lo menava a perigliosa
morte. D.

Non perch' io sia securo ancor del fine;
Che volendo col giorno esser a porto,
E gran viaggio in così poca vita:
Poi temo, che mi veggo in fragil legno,
E, più ch'i' non vorrei, piena la vela
Del vento che mi pinse în questi scogli.

4. Non perch'io. Suppl.: Io sospirai non mica, ecc. C. - 3 Sente quella opinione che l'uomo per operazioni guadagni il cielo. C. 4 In fragil legno. Non dire che possa agevolmente morire, chè que

sto è già detto; ma di' che è discorrevo-
le al peccato ed inclinevole. C. -5. Pie-
na la vela del vento. O dell' amore di
Laura e delle cose del mondo. C. Pinse.
Spinse.

S'io esca vivo de' dubbiosi scogli,
Ed arrive il mio esilio ad un bel fine,

re, ma

Ch'i' sarei vago di voltar la vela,
E l'ancore gittar in qualche porto:
Se non ch'i' ardo come acceso legno:
Si m'è duro a lassar l'usata vita.

1 Il senso è: Così possa aver buon fine, come io ho volontà di non seguire Amonon posso. C. E sente quel di Paolo ai Romani, XVII, 18: Velle adjacet miki, ecc. 2 Il mio esilio. La mia vita, che altrove chiama peregrinaggio. C. Vollar la vela. Si dice per proverbio comunemente cambiar vela per mutar vita. T. 4 E l'amore, ecc. È quello Signor della mia fine e

che si dice per proverbio: Assicurar le partite, come quando alcuno, chiarito del mondo, si mette in qualche monastero di vita esemplare; il che allora si costu mava in Provenza, come nelle vite de poeti di quella nazione si legge. T.

-

Si m'è duro, ecc. Tanto mi riesce dif-
ficile ovvero dispiacevole di lasciare, L.
Usata. Consueta.
della vita,

Prima ch'i' fiacchi il legno tra li scogli,
Drizza a buon porto l'affannata vela.

1 Signor, ecc. Che puoi lasciarmi perire | o scamparmi. C. 2 Fiacchi. Rompa. L.

SONETTO LII.

Imita il Salmo LIV. Là Davide prega che gli sien prestate ali por fuggire da' traditori nel deserto; e qui egli per fuggire l'Avversurio al Cielo dietro a Cristo.

Io son sì stanco sotto il fascio antico
Delle mie colpe e dell'usanza ria,
Ch'i' temo forte di mancar tra via,
E di cader in man del mio nemico.
Ben venne a dilivrarmi un grande amico,
Per somma ed ineffabil cortesia;
Poi volò fuor della veduta mia

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Sì ch' a mirarlo indarno m'affatico. Ma la sua voce ancor quaggiù rimbomba: O voi che travagliate, ecco il cammino; Venite a me, se'l passo altri non serra. Qual grazia, qual amore, o qual destino Mi darà penne in guisa di colomba, Ch'i' mi riposi e levimi da terra? 3 Scrive una coscienza spaventata dal per l'amico suo, siccome egli fece. C. Inefl'orribile vista de' peccati, che inclini a fabil cortesia è in Dante. Vita N. C. desperazione. C. 4 Del mio nemico. 11 Altri. Il piacere. Intende di quelDel demonio. L. 5-8 Mostra che Cristo le parole dell'Evangelio: Matth., XI, 28. Vesia venuto a chiamare i peccatori, ac- nite ad me omnes qui laboratis et oneciocchè seguendolo con la croce e con rati estis, et ego reficiam vos. C. l'opere sante gli dovesse liberare dal pec- Pone tre opinioni intorno al levarsi dal cato; perciò dice che questo amico ven- peccato: o che venga da Grazia speziale ne, poi volò in cielo; non tanto per lodi Dio, o da nostro studio, che egli chiamontarvi il di della Pentecoste, quanto ma Amore, o dalla Predestinazione. C. per l'opere divine, le quali il Petrarca 13 Il predetto salmo LIV. F. Et dixi, quis non può fare. E contuttoche egli si sia mihi dabit pennas sicut columbo? avoladileguato dagli occhi nostri, nondimeno rem et morarer. C. ὕστερον πρότερον c'è il suo Evangelio, che è la via a se-Cioè ch'io mi levi da terra e mi riposi guitarlo. Dice adunque A dilivrarmi, per-in cielo salvo se il Petrarca non chè egli è il Redentore, e grande amico, avesse veduta e creduta una opinione sentendo quello dell' Evangelio, che non che la colomba affaticata per volare, è maggiore amico di colui che pone l'anima suole sottoporsi una ala ed in quella

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12

riposarsi e con l'altra vogare e volare solamente; dove altri uccelli si riposano o in pietra o in albero. C. Il poeta stesso nelle Pastorali⚫

Quis dabit ut pennas posita gravitate (columba Induar alla petens et post tot dura (quiescam. T.

SONETTO LIII.

E contento di seguire la impresa amorosa, dove Laura voglia lasciare la crudeltà; altrimenti la minaccia d'abbandonarla.

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Io non fu' d' amar voi lassato unquanco,
Madonna, nè sarò mentre ch'io viva;
Ma d'odiar me medesmo giunto a riva,
E del continuo lagrimar son stanco.
È voglio anzi un sepolcro bello e bianco,
Che 'l vostro nome a mio danno si scriva
In alcun marmo, ove di spirto priva
Sia la mia carne, che può star seco anco.
Però, s'un cor pien d'amorosa fede

Può contentarvi senza farne strazio,
Piacciavi omai di questo aver mercede.
Se 'n altro modo cerca d'esser sazio

Vostro sdegno, erra; e non fia quel che crede:
Di che Amor é me stesso assai ringrazio.

giunto il biasimo vostro. C. Io voglio piuttosto un sepolcro senza nome, ch'un ch' abbia in fronte scritto: Questi è morto per amor di Laura. D. Che può tar seco anco, col quale (spirito) egli può ben rimanere ancora, cioè a dire il qual corpo è in età da potere ancora vivere dell'altro tempo.L. Dante, Inf., IX.25: Di poco era di me la carne nuda. B.

1 Lassato. Stancato ed è dal Lat. Las- | amante, che con questa gloria sia consatus. C. Unquanco, giammai. 3 Sono giunto a un termine che io non posso più sopportare l'avere in odio me stesso. L. 5-8 Mostra che ciò che fa, il fa per bene che le vuole; senonchè se seguita d'amarla, senza che ella gli si mostri pietosa, n'avverrà la morte sua. Onde nel sepolcro a biasimo di Laura, si scriverà: Qui giace il Petrarca morto per crudeltà di Laura. Dice adunque: Voglio anzi che si scriva, ecc.: Un sepolcro bello e bianco, cioè io voglio piuttosto viver senza gloria d'essere stato vostro

11 Di questo. Del cuor mio. L. 14 Mostra che Amore non lo strignesse molto, ed egli potesse di se stesso disporre a suo senno. C.

SONETTO LIV.

Ancorchè non sia per liberarsi in tutto da Amore, massimamente tro vandosi in presenza di Laura, prima che non sia vecchio, nondimeno non è più per sentirne tormento.

Se bianche non son prima ambe le tempie,
Ch' a poco a poco par che 'l tempo mischi,
Securo non sarò, bench' io m' arrischi
Talor ov'Amor l'arco tira ed empie.
Non temo già che più mi strazii o scempie,
Nè mi ritenga, perch' ancor m' invischi,
Nè m' apra il cor, perchè di fuor l' incíschi
Con sue saette velenose ed empie.

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