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le fibre sensibili dei castellani e delle castellane, e davan modo ai trovatori medesimi di aprire uno sfogo alla fiamma ond'erano talvolta divorati e comunicarla. Alla corte di Federico in Sicilia, che era il focolare della nascente poesia italiana, non si cantava che di cose di amore, essendo stati i primi scrittori di amor platonico o intellettuale quei poeti siciliani coi quali mandò í primi suoni la nostra favella; e quando in Toscana sorsero poeti, sulle loro labbra non suonarono che rime di amore, e d'amore continuarono a cantare Cino da Pistoia, Guido Guinicelli, Guido Cavalcanti e finalmente il gran padre della poesia Dante Allighieri. L'amore, la bellezza, la virtù della donna erano il tema favorito di quei tempi, e sotto il simbolo della donna or si celebravano virtù astratte ed or si rappresentavano affetti naturali.

Il Petrarca sentivasi ardere nel petto quella sacra fiamma senza della quale non si può essere poeta, era consapevole del suo vasto sapere e si compiaceva di aver raggiunto quella finitezza d'arte alla quale niuno de'suoi antecessori pote arrivare. Egli sentiva pure il pungolo di una grande ambizione e gli sapeva male che la sua fama di poeta volgare non grandeggiasse universalmente come quella di scrittore e poeta latino. Egli non aveva quella stima del poema e delle canzoni dell'Allighieri che abbiamo noi, e come sapeva di essergli di gran lunga andato innanzi nelle eleganze latine, così non dubitava di poterlo superare negli scritti volgari. Ma in quei tempi essendo opinione universale che nella nuova lingua non si potesse scrivere e cantare se non di cose di lievissimo momento come di avventure galanti, il Petrarca ripiegatosi in sè stesso ed interrogato il suo cuore senti che da esso e dalla mente sua avrebbe potuto desumere una serie di poemetti staccati, indipendenti gli uni dagli altri, ma nel tempo stesso rivolti ad un medesimo ed unico fine, che era l'esaltazione dell'amor puro di una donna. Ai tempi nostri il cantare d'amore è giustamente considerato un perditempo, ed uno che all'amore volesse consacrare la musâ, quantunque l'arte sua nel verseggiare fosse eccellentissima, pure difficilmente troverebbe a farsi leggere con lode. Ma all'età del Petrarca era ben diversa la faccenda. Allora gli animi erano ancor rozzi, inclinati alle vendette, alle spogliazioni ed al sangue, ed una voce autorevole che suonasse armonicamente soavé a quei cuori induriti e porgesse al mondo un linguaggio così preciso, elegante e casto per esprimere gli infiniti sentimenti d'amore che rampollano nel cuore dell'uomo e della donna, diveniva una cosa nuova, attraente e feconda di mirabili risultati. Nel modo stesso che la contemplazione di

mansuete figure di madonne, tutte spiranti amore, nel ritrarre le quali si esercitavano i pennelli dei pittori, giovava ad ammansare gli animi fieri e turbolenti di quel secolo, così l'armonia e la dolcezza che sgorgavano dai versi del Petrarca servivano mirabilmente ad addolcire gli aspri costumi e a frenare la libidine smodata di quei giorni. Verso il secolo decimoquarto, dice stupendamente il Ranalli, dominando una religioné d'indole tutta spirituale, i poeti cominciarono a far dell'amore un tema di spiritualità, e nel cantore di Laura era uno sforzo intellettuale di purificare e ridurre virtuosa la passione concupiscibile che gli si era accesa nel cuore '. Laonde a me sembra che il Canzoniere non possa considerarsi se non come un'opera letteraria stupendamente ideata e ripulita in omaggio della donna, di quella donna la quale, come si esprime il Settembrini nelle sue belle lezioni, fu divinizzata dalla religione, sollevata sopra la forza e il valore dalla cavalleria, confusa con la scienza da Dante e unita a bellezza e cortesia dal Petrarca, che seppe idealizzarla per modo ch'ella non superò i confini dell'umano e però il suo amore come il più vero e più vicino all'umana natura è rimasto come simbolo ".

Se per avventura da ciò che io venni esponendo, altri volesse argomentare che io non consenta al Petrarca di avere fortemente amato, s'ingannerebbe a partito. Io contrasto solamente all' opinione generalmente invalsa che il Canzoniere sia stato prodotto dall'amore sviscerato, puro e costante del Petrarca per Laura consorte di Ugo De Sade, o per un'altra donna qualunque che si chiamasse pur Laura. Chi mai potrebbe ragionevolmente pensare che il cuore del Petrarca non fosse realmente acceso d'amore e non platonico ma sensuale? E se il poeta medesimo non ne facesse la confessione in più d'una lettera, non potremmo noi ciò desumere dalla stessa natura? Sul fiore degli anni, bellissimo della persona, riguardato come il più sapiente di quel secolo, facondo ne' suoi discorsi, stimato, riverito e corteggiato dagli uomini più potenti in Italia e fuori, certamente il Petrarca doveva pur formare la delizia delle donne. Presso la corte dei Papi, del Re di Napoli, dei Visconti, dei Carrara, dei Correggio, degli Estensi, déi Gonzaga, chi potrebbe annoverare le donne che avranno colpito i suoi sguardi, che ne avranno turbata la pace del cuore? Quante volte non si sarà ritirato di nottetempo nella sua camera con l'anima tutta consolata o di una facile conquista o d'un contrastato trionfo, od all'opposto tutto inquieto e crucciato di una ostinata resi

1 Ammaestramenti di letteratura.

2 Lez, di lett, ital.

stenza, di una impensata ripulsa, di una fredda indifferenza? In quei momenti di soavi o triste commozioni, doveva naturalmente spicciare dai più intimi recessi dell' anima sua una vena copiosa di poesia, cui la coltura della sua mente e la squisitezza del suo gusto sapevano poi dare una forma così leggiadra. Dirò di più: se il Petrarca non avesse realmente e fortemente amato, non avrebbe lasciato ai posteri la bella eredità del Canzoniere. Il Petrarca fece nè più nè meno di quello che fecero e fanno tutti i grandi poeti e pittori. Egli concentrò in una donna di sua fantasia tutti i sentimenti, tutti i pensieri, tutti gli affetti che gli erano sorti nel cuore e nella mente negli anni suoi giovanili, come il pittore raccoglie nel volto di una madonna tutti i più leggiadri lineamenti che trovò sparsi in mille figure femminili.

La stessa natura gli somministrava la materia del canto della quale gli aveva, per così dire, scavato nel petto una miniera inesauribile; ma di quella materia grezza l'artista con mirabile magistero sapeva formare un gioiello d'incomparabile bellezza. Se l' amore dei poeti antichi era stato sensuale, quello dei trovatori un misto di gioia, di dolore e di lascivia, e quello dei nostri poeti scolastici una filosofica speculazione, il Petrarca, per valermi delle parole stesse del Settembrini, « sentita l'armonia dell' amore ha unito insieme l'umano e il divino, la materia e lo spirito, e però l'amor suo è tipo '. »

Nel 1334 mentre che si riposava nella solitudine di Valchiusa dalle fatiche sopportate nei lunghi suoi viaggi e dalle noie che di quando in quando gli sopravvenivano dal vivere nelle sale dorate dei grandi, a turbarlo da' suoi cari studj e dalla campestre quiete giunse la voce che papa Giovanni XXII avesse bandito una nuova crociata contro gli infedeli e che fosse per ristabilirsi la sedia pontificia in Roma. Ma niuno di quei due fatti essendo seguito, e morto papa Giovanni XXII, il collegio dei cardinali gli diede per successore Benedetto XII, il quale preso di grande ammirazione per il Petrarca ed onorandolo del suo affetto volle dargliene tosto una prova investendolo di un canonicato a Lombez e di una prebenda. Il suo intimo amico monsignor Giacomo Colonna trovandosi in quell'anno a Roma e invitando spesso il poeta a fargli una visita, questi non seppe resistere al desiderio di rivederlo dopo una lunga assenza, e partiva per Roma, dove apprese allora a venerare quel magnanimo capo della famiglia che fu Stefano Colonna. Nell'anno stesso ritorna ad Avignone, e sono parole sue, «sentendo che per lo abborrimento in me innato al vivere delle città il soggiorno noiosissimo di

1 Les, di lett. ital.

Avignone mi si rendeva impossibile a tollerare, cercai d'un qualche appartato ricetto ove potessi quasi in sicuro porto ricoverarmi, e a quindici miglia della città mi venne trovata la piccolissima, ma solitaria ed amena valle che Chiusa si chiama, ove regina di tutte le fonti scaturisce la Sorga. Allettato dalla bellezza del luogo, vi trasportai i miei libri e vi fissai la dimora. » In quella tranquilla solitudine ordisce e principia (se non compone per intero) tutte le sue opere e vi rimane un anno. Durante questo suo soggiorno Filippo vescovo di Cavaillon viene a trovarlo, ẹ si stringono così forti i vincoli d'amicizia tra di loro, che non si ruppero mai più se non con la morte. « Fra quei monti errando a sollazzo in un venerdì della settimana santa, sursemi nella mente, e forte vi si apprese, il pensiero di dettare un poema intorno a quel primo Scipione Africano il cui nome, meravigliando il rammento, fin dalla fanciullezza m' ebbe preso di singolare amore; e trasportato da interno impeto misi tantosto con grande ardore mano a quell'opera, che poi distratto da mille cure lasciai interrotta, è che dal subbietto Africa intitolata, non so per quale sua o mia ventura prima che alcuno la conoscesse, destò di sè tanto amoroso desiderio '. » Il papa volendo far dipingere a fresco alcune stanze del suo palazzo, vi chiama il pittore Simone Memmi, rinomato allievo del Giotto, il quale Memmi o pregato dal poeta o di sua spontanea volontà per dargli una testimonianza della sua stima, gli fa il ritratto di madonna Laura, e il poeta ne lo compensa con due sonetti.

Era il giorno 23 agosto del 1340 quando gli giunse in Valchiusa una lettera del Senato Romano, che lo invitava a recarsi in Roma, per esservi incoronato di alloro all'usanza degli antichi poetí. Era da molto tempo caduto in dimenticanza quest' uso introdotto da Nerone e Domiziano, e ognuno può di leggieri immaginarsi quanto l'amor proprio del Petrarca fosse solleticato a un tale invito. Poche ore di poi riceveva un'altra lettera dal cancelliere dell'università di Parigi per nome Roberto de' Bardi, che lo chiamava a Parigi per esservi pur laureato. Consigliatosi col cardinale Giovanni Colonna, quale città dovesse preferire, si decise per Roma. Un certo monaco agostiniano Dionigi de Robertis da Borgo San Sepolcro, aveva già a lungo parlato del Petrarca con Roberto re di Napoli, e ne aveva talmente encomiato le virtù che quel principe ardeva di farne la conoscenza, e l'aveva parecchie volte invitato ad onorare della sua persona quella corte. Questo Roberto che dall'Allighieri fu chiamato re da sermone, dai contemporanei il buono e

1 Epist. ad posteros.

da Cesare Balbo il mediocre, era tenuto dal Petrarca quale unico re che fosse amico a quei tempi alle scienze ed alla virtù, ond' egli volle passare a Napoli per essere esaminato da quel re intorno al suo sapere prima d'andare a Roma. Non si potrebbero dire le onorevoli accoglienze e le dimostrazioni d'affetto che si ebbe in quella corte. Il re volle che a lui intitolasse il poema l'Africa, e udito lo scopo del suo viaggio lo esaminò per tre giorni pubblicamente sopra una grande quantità di materie, e alla fine lo giudicò degno della laurea. Voleva coronarlo egli stesso in Napoli, ma il Petrarca non rimovendosi dal suo proposito di andare a Roma, il re lo accompagnò con sue lettere al Senato, nelle quali rendeva le più onorifiche e gloriose testimonianze di lui. Troppo lungo sarebbe il descrivere la pompa solenne con la quale fu incoronato in Campidoglio il giorno di Pasqua, 8 aprile 1341.

Prima di ritornare ad Avignone volle passare per la Lombardia. In Parma venne festosamente accolto da Azzo Correggio che gli fu liberalissimo di ogni favore. « Memore dell'onore allora allor conferitomi, e studioso di dimostrare che di quello io non fossi al tutto immeritevole, mentre a diporto un giorno, volto il cammino verso la montagna, m'aggirava sulle sponde dell'Enza ai confini di Reggio per entro la Selva Piana, sentii risvegliarmisi all'aspetto di quei luoghi nella mente il pensiero dell' interrotto mio poema sull' Africa, e come dentro dettavami l'estro rinfocolato, scrissi in quel giorno di molti versi; poscia tornato a Parma nella tranquilla ed appartata dimora, che più tardi comperata fu mia, tanto intorno a quello di buona voglia mi affaticai, che con celerità, onde in me dura tuttavia la meraviglia, l'ebbi in poco tempo condotto a fine'. » In questo intervallo fu contristato dalla perdita di alcuni de' suoi migliori amici quali erano Giacomo Colonna vescovo di Lombez, Tommaso Caloria da Messina, e il padre Dionigi da Borgo San Sepolcro, ma nel tempo stesso fu nominato arcidiacono della chiesa di Parma.

Morto Benedetto XII e succedutogli nella sedia di S. Pietro Clemente VI, i romani divisarono di mandargli una solenne deputazione di diciotto dei principali cittadini per implorare da lui il benefizio del suo ritorno in Roma. Fra costoro vennero compresi Cola di Rienzi il Petrarca, al quale era serbato l'incarico di prendere la parola. In guiderdone di questa sua fatica ebbesi il beneficio ecclesiastico del priorato di S. Niccolò di Migliarino, nella diocesi di Pisa. Papa Clemente VI il prese tanto a ben volere sia per la prudenza

1 Epist. ad posteros.

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