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SONETTO XXV.

Dice che se si muove tardi a veder Laura, non procede da poco amore, ma da deliberato consiglio di non incontrare gli occhi turbati di lei. Io temo sì de' begli occhi l'assalto,

Ne' quali Amore e la mia morte alberga,
Ch'i'fuggo lor come fanciul la verga;

E gran tempo è ch'io presi 'l primier salto.
Da ora innanzi faticoso od alto

Loco non fia, dove 'l voler non s'erga,
Per non scontrar chi i miei sensi disperga,
Lassando, come suol, me freddo smalto.
Dunque s'a veder voi tardo mi volsi,

Per non ravvicinarmi a chi mi strugge,
Fallir forse non fu di scusa indegno.
Più dico; che'l tornare a quel ch'uom fugge,
E'l cor che di paura tanta sciolsi,
Fur della fede mia non leggier pegno.

-

11

1 Si. Talmente. De' begli occhi l'assalto. cioè, fuggirò sempre quegli occhi a Lo sdegno di Laura C. 3 Lor. Quelli.tutto potere. L. 9 Voi. Laura. detti occhi. 4 Ed è gran tempo ch'io Questo non è stato forse un mancamento cominciai a fuggire l'incontro loro. B. indegno di scusa. L. 12 Ch' uom fugge. 5-8 E da ora innanzi per non incontrarmi Che si fugge, che si teme. 15-14 E con quella che disperge i miei sensi, l'avermi io, per tornare a vedervi discaccioè mi toglie l'uso dei sensi, lascian-ciata dal cuore quella tanta paura che domi stupido come un sasso, cioè per io aveva degli occhi vostri, sono stati non incontrar quegli occhi, m' inerpi- non piccolo segno della mia costanza in cherò ancora, ad un bisogno, su per amarvi. L. Ovidio: Do pignora certa tiqualunque luogo più difficile ed alto. menda. D.

SONETTO XXVI.

Quando Laura parte, il cielo tosto si oscura, ed insorgono le procelle.
Quando dal proprio sito si rimove

L'arbor ch' amò già Febo in corpo umano,
Sospira e suda all'opera Vulcano,
Per rinfrescar l'aspre saette a Giove;
Il quale or tona, or nevica ed or piove,
Senza cnorar più Cesare che Giano;
La terra piagne, e 'l Sol ci sta lontano
Che la sua cara amica vede altrove.
Allor riprende ardir Saturno e Marte,
Crudeli stelle; ed Orione armato
Spezza a' tristi nocchier governi e sarte.
Eolo a Nettuno ed a Giunon, turbato,
Fa sentire, ed a noi, come si parte
Il bel viso dagli angeli aspettato.

1-4 Quando il lauro, cioè Laura si parte dal suo luogo, dal consueto e pairio albergo. D. Sospiru e suda ali s

pera. A far delle saette. Che Vulcano co Ciclopi fabbrichi in Mongibello le saette a Giove è da vedere. Virg., Æn. VIII. C.

mini.

-

- ↳ Rinfrescar. Rinnovare. Saette. I ful- | 6 Senza onorar più Cesare che Giano. Senza aver riguardo se è di luglio (denominato da Cesare) o di gennaio (detto così da Giano). La terra piagne. Per l'innondazione. C. S'attrista 10 Cruper la lontananza di Laura. deli stelle. Pianeti di maligno influsso. L. Detto appositivamente. D. B. Orione. Quella stella che volgarmente falce chama e spada, nemica a'naviganti. E dice armato, perchè così si pinge con la spada in mano. Onde Virg. di Palinuro:

Armatum auro circumspicit Oriona. Costui fu figliuolo di Nettuno e solenne cacciatore, intanto che per invidia di Diana, dea delle caccie, fu ucciso dal morso d'uno scorpione e collocato in cielo col medesimo. D. Armato di tempeste. L.-11 Tristi. Miseri. Governi e sarte. Gubernacula et. rudentes. C. Governi. Timoni. L.-12 Eolo. Re dei venti. Virgilio nel 1o dell'Eneide. C. A Nettuno. Al mare. A Giunone. All'aere,

13 Ed a noi. Alla terra. C. Come si parte, Che parte. -14 Il bel viso. Desiderato in cielo dagli Angeli. C.

SONETTO XXVII.

Al ritorno di Laura, si rasserena il cielo, e si ricompone in placida calma
Ma poi che'l dolce riso umilè e piano
Più non asconde sue bellezze nove;
Le braccia alla fucina indarno move
L'antichissimo fabbro siciliano:
Ch'a Giove tolte son l'arme di mano
Temprate in Mongibello a tutte prove:
E sua sorella par che si rinnove
Nel bel guardo d'Apollo a mano a mano.
Del lito occidental si move un fiato

Che fa securo il navigar senz'arte
E desta i fior tra l'erba in ciascun prato.
Stelle noiose fuggon d'ogni parte,

Disperse dal bel viso innamorato,
Per cui lagrime molte son già sparte.

1. Riso umile e piano. Riso. Prende un atto per tutta la persona; piano. Non aspro, sereno. Sotto, Son. 84. Il dolce riso si prende per la faccia ridente. 2 Nove. Mirabili. Senza pari. 3 Indarno. Perchè Giove non è per adoperare le saette. E disse: Muove le braccia, riguardando quel di Virgilio, Georg., lib. IV, 174:

Illi inter sese magna vi brachia tollunt
In numerum.

7-8 E intendi dell'aria, espressa sotto

nome di Giunone sorella di Giove, che rasserenandosi pare che ai raggi del sole si rinnovelli. L. -9 Del lito occidentale. Da ponente. Un fiato. Un vento. L. Zefiro. D.- 10 Il navigar senz'arte. Puossi senz'arte di nocchiero per la bonaccia securamente navigare. T. 12 Noiose. Di maligno influsso. B. 13 Innamorato. Che muove in altrui amore. C. Pieno delle grazie d'amore. T. - 14 Son già sparte. Da me che non l'ho veduta. C.

SONETTO XXVIII.

Infintantochè Laura è assente, il cielo rimane sempre torbido ed oscuro.

Il figliuol di Latona avea già nove
Volte guardato dal balcon sovrano

Per quella ch'alcun tempo mosse in vano
I suoi sospiri, ed or gli altrui commove.
Poi che cercando stanco non seppe ove
S'albergasse, da presso o di fontano;

PETRARCA. Rime.

5

Mostrossi a noi qual uom per doglia insano 9
Che molto amata cosa non ritrove.
E così tristo standosi in disparte,
Tornar non vide il viso che laudato
Sarà, s'io vivo, in più di mille carte.
E pietà lui medesmo avea cangiato,
Si che i begli occhi lagrimavan parte:
Però l'aere ritenne il primo stato.

L.

1-2 Il sole si era già nove volte affacciato | sano. Uscito di senno. L. -9 In disparte. all' oriente cioè levato. L. Dal balcon Rannuvolato.-10 Tornar non vide il viso. sovrano. Da mezzo il cielo e dal circolo Non si accorse quando Laura tornò fuori. meridiano. D. -3 Per quella. Per cer- 12 Lui medesmo. Anche lui. Il bel car quella, cioè Dafne, che qui è tutt'uno viso. Avea cangiato. Fatto mesto. L. Pecon Laura. L. 4 Gli altrui. I miei. rocchè l'infermo era morto. L. 6 Da presso o di lontano. Se vicino o begli occhi. Di Laura, Parte. Intanto. lontano. Laura passava tutto il giorno in 14 Restò annuvolato come era prima che casa di un suo parente infermo, e però Laura tornasse fuori. L. Seguitò a pioil sole non la poteva vedere. L. vere. D.

- 7 In

13 I

SONETTO XXIX.

Alcuni piansero i loro stessi nemici; ed ella quando ei muore di lei, nonchè lo degni di una lagrima, lo guarda con dispetto e con ira.

Quel ch'in Tessaglia ebbe le man sì pronte
A farla del civil sangue vermiglia,
Pianse morto il marito di sua figlia,
Raffigurato alle fattezze conte:
E'l pastor ch'a Golia ruppe la fronte,
Pianse la ribellante sua famiglia,
E sopra'l buon Saul cangiò le ciglia;
Ond'assai può dolersi il fiero monte.
Ma voi, che mai pietà non discolora,
E ch'avete gli schermi sempre accorti
Contra l'arco d' Amor, che'ndarno tira;
Mi vedete straziare a mille morti;

Nè lagrima però discese ancora
Da' be' vostr' occhi; ma disdegno ed ira.

Quel. Giulio Cesare. 3 Il marito di sua figlia. Pompeo, ch' era suo genero. Questa parte della perifrasi era da tacere, perciocchè, che meraviglia è che Cesare piangesse un suo genero? C. Perchè l'odio fra'parenti è maggiore. B. 4 Conte. Note 5 El pastor. Davide. -6 La ribellante sua famiglia. La morte di Assalonne suo figliuolo ribelle. 7-8 Buon. Valoroso. B. Nel libro de' Re, si dice di lui: Electus et bonus, et non erat vir de filiis Israel melior illo. Ma allora era riprovato da Dio. M. Cangiò le ciglia. La fronte di lieta in mesta per la morte datasi da Saul sul

-

monte Gelboé. - 8 Si trova questa maledizione di Davide nel libro II di Samuele 121- 2. Montes Gelboe, non ros neque pluvia veniant super vos. Ma non si trova però che quella maledizione fosse esaudita. C. Dante di Gelboé. Purg. XII-42:

Che poi non senti pioggia nè rugiada. -9 Ma voi, che mai pietà. Per natura. C.

10 Ch'avcle, ecc. Per arte. C. Schermi. Ripari di ragione, d'arte, di virtù. B. 11 A mille morti. Da mille morti. O piuttosto fino a mille morti, con pena uguale a mille morti. L. Però. Per vedermi così straziare. B.

SONETTO XXX.

Si lamenta che ella specchiandosi, innamoratasi di sè stessa, gode senza
curarsi d'altro. Cerca di rimoverlane coll'esempio della fine di Narciso.
Il mio avversario, in cui veder solete.
Gli occhi vostri, ch' Amore e 'l Ciel onora,
Con le non sue bellezze v'innamora,
Più che 'n guisa mortal soavi e liete.
Per consiglio di lui, Donna, m'avete
Scacciato del mio dolce albergo fora;
Misero esilio! avvegnach'io non fora
D'abitar degno ove voi sola siete.
Ma s'io v'era con saldi chiovi fisso,
Non devea specchio farvi per mio danno,
A voi stessa piacendo, aspra e superba.
Certo, se vi rimembra di Narcisso,

Questo e quel corso ad un termine vanno:
Benchè di sì bel fior sia indegna l'erba.

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L'adornarsi che Laura faceva, e massime il suo specchiarsi, innamoran-
dola sempre più di sè stessa e insuperbendola, nocevano al poeta.
L'oro e le perle, e i fior vermigli e i bianchi,
Che'l verno devria far languidi e secchi,
Son per me acerbi e velenosi stecchi,
Ch'io provo per lo petto e per li fianchi.
Però i di miei fien lagrimosi e manchi;

Che gran duol rade volte avvien che 'nvecchi:
Ma più ne 'ncolpo i micidiali specchi,
Che'n vagheggiar voi stessa avete stanchi.
Questi poser silenzio al signor mio,

Che per me vi pregava; ond' ei si tacque
Veggendo in voi finir vostro desio.
Questi fur fabbricati sopra l'acque
D'abisso, e tinti nell'eterno obblio;
Onde 'l principio di mia morte nacque.

1-2 L'oro e le perle di cui vi adornate, |
e quei fiori che vi procacciate anche fuori
di stagione e in dispetto del verno. L.-
Provo. Sento. L. 5 Fien. Saranno.

Manchi. Scemi, morrò prima del tempo. 6 Seneca. Epistola XXX: Nullum enim dolorem esse longum qui magnus cst. C. -7 Micidiali, Si spiega con l'ultimo verso.

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Dice di esserle passato davanti, perchè ricevendo virtù da lei vi ê stato sforzato per vivere, e che, se non vorrà morire, sarà costretto a tornarvi.

I' sentia dentr' al cor già venir meno
Gli spirti che da voi ricevon vita:
E, perchè naturalmente s' aita
Contra la morte ogni animal terreno,
Largai'l desio, ch'i' tengo or molto a freno,

E misil per la via quasi smarrita;
Però che di e notte indi m'invita,
Ed io contra sua voglia altronde 'I meno.
E, mi condusse vergognoso e tardo
A riveder gli occhi leggiadri, ond' io,
Per non esser lor grave, assai mi guardo.
Vivrommi un tempo omai; ch'al viver mio
Tanta virtute ha sol un vostro sguardo;
E poi morrò, s'io non credo al desio.

9 E'. Egli, il desiderio.

10-11 On

1 Venir meno. Perche da gran tempo 10 non era stato a vedervi. L. 2 Gli d'io, ecc. I quali occhi io schivo diligenspirti vitali. - 6 La via quasi smarrita. temente per non dar loro molestia. L. Perchè non osava più, seguendo il de- 12 Vivrommi un tempo omai. V. Ballata I. sio, d'andare a Laura. C. 7 Indi m'in-14 S'io non credo al desio. Obbedisco, vita. M'invita a passar da lei. T. -8 Al- S'io non vi torno a rivedere. C. Altrove: tronde. Per altra via. Per altra parte. L. Mentre al governo ancor crede la vela.

SONETTO XXXIII.

Si maraviglia il Poeta come l'amor suo, per troppa veemenza, si rimanga quasi stupido e inetto a tentar cosa alcuna per conseguire il suo intento.

Se mai foco per foco non si spense,

Nè fiume fu giammai secco per pioggia;
Ma sempre l'un per l'altro simil poggia,
E spesso l'un contrario l'altro accense;
Amor, tu ch'i pensier nostri dispense,
Al qual un'alma in duo corpi s'appoggia,
Perchè fa' in lei con disusata foggia"
Men, per molto voler, le voglie intense?
Forse, siccome 'l Nil, d'alto caggendo,
Col gran suono i vicin d'intorno assorda;
E'l Šol abbaglia chi ben fiso il guarda;

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