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lippo il Bello re di Francia, aveva trasferito la corte pontificia da Roma in Avignone. Questa città divenuta il centro di tutta la cristianità, non poteva naturalmente soddisfare alle molte ed urgenti richieste sia di quartieri come di provvisioni da bocca per la crescente sua popolazione, onde il vivere andava rincarando ogni giorno. A coloro, í quali avevano rendite modeste ed una famiglia da mantenere, faceva d'uopo di cercare nei dintorni un luogo in cui non fossero tantâ scarsità di alloggio e tanto lusso. Laonde il notaio Petracco pensò di mandare la sua famigliuola a Carpentras che trovasi appena a quattro leghe di distanza da Avignone. Ivi il Petrarca ritrovò l'antico suo maestro Convenevole da Prato, e spinto com'era dalla medesima sua natura allo studio, attese alla grammatica, alla dialettica ed alla rettorica con tanto amore, che ne imparò tanto quanto in quella età poteva impararsene. Il padre suo, quando gli affari lo permettevano, andava qualche volta a visitare la famiglia, e in una di queste gite gli venne vaghezza di fare una corsa fino a Valchiusa, forse per cercarvi un qualche sito a lui conveniente massime per la state. Menò seco a fargli compagnia il giovinetto Francesco, il quale alla vista di quei campi così tranquilli ed ameni senti commuoversi per la prima volta profondamente il cuore. L'impressione gioconda che n'ebbe non lo abbandonò mai più.

Lo studio che a quei giorni prometteva un lucro maggiore e apriva la via ai sommi gradi della umana società era quello della giurisprudenza. Il padre del Petrarca, conoscendone la prontezza dell'ingegno e la volontà d'imparare, aveva divisato di farne un avvocato, e a tal fine penso di mandarlo a Mompellieri. Ivi stette quattro anni studiando indefessamente non tanto il gius civile e canonico quanto i grandi scrittori della romana antichità. Il suo ingegno essendo acconcio ad ogni disciplina, quantunque alla morale filosofia e all'arte poetica particolarmente disposto, non è a dirsi che non approfitasse pure nello studio della scienza delle leggi; ma egli sentivasi dalla natura tratto più a leggere e meditare i volumi di Cicerone e Virgilio che non le Decretali e il Digesto. Il padre, cui stava a cuore l'avvenire del figliuolo informandosi spesso della sua condotta e dei libri che aveva più frequentemente alla mano, venne un giorno a sapere che lo studio della poesia lo teneva occupato assiduamente parecchie ore del giorno e della notte, benchè non rimanesse indietro da' suoi condiscepoli nello apprendere la scienza del diritto. Un bel giorno il padre arriva inaspettato a Mompellieri, lo sorprende immerso nella lettura di Cicerone e Virgilio; imbizzarrito a tal vista gli strappa dalle mani i libri e li butta nel fuoco. Il figlio ne prova un

così acuto dolore che si stempra in copiose lacrime e si dispera come se avesse perduto la cosa più cara del mondo. Il padre si commuove, si rabbonisce e gli ridona mezzo abbruciati quei libri, col patto che si disponga ad andare a Bologna per compiere i suoi studi legali in quella celeberrima università. Il Petrarca acconsente di buon animo, e nel 1322 parte per Bologna dove leggeva il rinomatissimo giurisperito Giovanni d'Andrea. Trovavasi allora in Bologna Cino da Pistoia non men versato nel giure che nella poesia. Non andò guari che il Petrarca l'avvicinò e fattosi conoscere già così istruito com'era in quelle medesime discipline che con tanta fama professava Cino, si strinsero in tale amicizia che non venne meno giammai. Cino fu quegli che lo innamorò perdutamente della poesia, alla quale si sentiva già inclinato per natura, e libero com'era l'Aretino dalla suggezione del padre vi diede opera con somma alacrità. Secondo il Tiraboschi è probabile che il Petrarca fosse ancora a Bologna quando gli giunse la notizia della morte di suo padre l'anno 1324. Non indugiò a partirsene per Avignone tanto più che sapeva gravemente ammalata la madre. Non ostante le più sollecite e tenere cure del figlio, non ostante i rimedi più pronti ed efficaci dell' arte medica, la buona Eletta in età di 38 anni non tardò a raggiungere nella fossa il marito. Trovatosi in piena libertà di sè stesso, non ascoltando più altra voce che quella della propria natura, lascia in un canto i libri legali e si mette con l'impeto de' suoi vent'anni a divorare tutti quei libri della letteratura latina e provenzale che gli capitavano alle mani. Già il suo nome non era più oscuro; Bologna specialmente aveva trovato il modo di far conoscere il suo ingegno e il suo sapere; la voce della sua coltura si era diffusa non tanto per la bocca de'suoi maestri quanto forse per quella de' suoi condiscepoli. Infatti all' università di Bologna aveva contratto amicizia con Giacomo Colonna, figlio di quello Stefano che godeva di tanta autorità in Roma sia per le sue grandi ricchezze quanto per la parte importantissima che sosteneva contro la casa rivale degli Orsini.

Un giorno il Petrarca andando forse a diporto per le vie di Avignone s'imbatte in quel Giacomo ch' era stato suo compagno di studio in Bologna. Quest' incontro fu per il Petrarca una vera provvidenza, perchè le sue sostanze erano scarse, ed aveva con sè un fratello da mantenere. Faceva d'uopo che qualcuno lo mettesse in grado di essere maggiormente conosciuto, di entrare in relazioni e stringere amicizie con uomini d'alto affare; il che gli riesci facilmente mercè dell'amicizia di Giacomo Colonna. In questo frattempo vuolsi ch' egli vedesse per la prima volta

madonna Laura e se ne innamorasse nella chiesa di Santa Chiara in Avignone, un di della settimana santa e precisamente il 6 di aprile 1327. E siccome questo innamoramento sarebbe la cagione onde nacque il Canzoniere, così non sarà fuor di luogo il tenerne discorso.

Molto si è già disputato intorno a madonna Laura, come si disputò moltissimo intorno a Beatrice cantata dall' Alighieri. Madonna Laura fu veramente una donna viva e spirante, ovvero è un simbolo, un personaggio di mera invenzione? E se fu una donna vissuta ai tempi del Petrarca, sarà proprio la figlia di Audiberto di Noves oppure un'altra donna il cui cognome volle il poeta stesso tener celato per pudore? Io credo fermamente col Zendrini ed altri, che la donna cantata dal Petrarca nel Canzoniere, sia un essere affatto immaginario.

Prima di tutto bisogna dire che varie sono le opinioni, anche di coloro che la credono una realtà, circa il vero casato di codesta donna. Il Vellutello, Iacopo Filippo Tomasini ed altri credono che Laura fosse figliuola di Arrigo di Chiabau signore di Cabrières; l'abate de Sade all' incontro volle provare che fosse figlia di Audiberto di Noves, il quale diedela poi in isposa a un certo Ugo de Sade. Il professore Salvatore Betti finalmente è di avviso che Laura appartenesse alla famiglia dei Baux Adhemar di Cavaillon, che sia nata dal signor di Valchiusa e da una dama della casa di Orange, e che non abbia preso marito. Come ognun vede anche coloro che si studiarono d'investigare a fondo la materia, sono tutt'altro che d'accordo solamente circa il casato. Il Settembrini poi e Cesare Cantù, uomini di grandissimo valore sia pel vasto sapere come per critico acume non pare che vedano chiaro in questa faccenda, anzi l'ultimo in una nota dice queste precise parole: « Non è ben dimostrato che il De Sade trovasse il vero intorno a questa Laura'. »

Ora se uomini di tanto ingegno e tanta dottrina i quali studiarono a posta profondamente l'argomento non poterono convincersi della realtà di una tal donna, è mestieri confessare che vi siano grandi ragioni per dubitarne. E queste ragioni, a parer mio, si possono desumere dalla condizione sociale di Laura, dal tenore di vita del poeta e dal Canzoniere stesso.

Tutti ammettono, ad eccezione del Betti, che Laura fosse maritata e avesse di molti figliuoli; il Ginguené poi aggiugne che il marito di Laura era scontroso e gelosissimo. E egli mai possibile che il Petrarca s'innamorasse così tena

1 St. della lett. ital.

2 Hist. de la litt. ital.

cemente e sublimemente di una donna già vincolata ad un altr'uomo? E se ciò fosse possibile, sarebbe mai probabile che l'innamorato ne cantasse la sovrumana bellezza cosi manifestamente da divenirne favola a tutto il popolo? Se è costume degli innamorati di tutti i tempi il tenere gelosamente celato l'oggetto del loro amore affinchè non abbia ad averne dispiaceri e vergogna, quanto più non doveva stare a cuore del Petrarca che nulla trapelasse della sua illecita fiamma per una donna che portava il santo nome di madre, e che aveva da fare con un marito geloso? Se il Petrarca aveva tanta stima ed un amore così puro per Laura, doveva ben guardarsi non dico dal prenderla a soggetto de' suoi canti, ma dal fare un piccolo atto o dall'indirizzarle una parola che potesse tirare lo sguardo degli Avignonesi su di lei. Invece il Petrarca di quando in quando scriveva i suoi versi in lingua volgare, forse li declamava e cantava egli stesso nelle conversazioni dei prelati coi quali bazzicava, e senza dubbio ne divulgava qualche esempio che da una mano passando all'altra ne rendevano poi il nome famoso anche al volgo, al popol tutto favola fui gran tempo. Dicono taluni che tali dichiarazioni apertissime d'amore fossero di moda a quei tempi sotto la sicurtà delle così dette Corti d'Amore. Prima di tutto le Corti d'Amore non erano più quelle di due secoli innanzi, cioè ne' bei tempi della cavalleria quando una Ermengarda di Narbona, o una Eleonora di Poitiers le presiedevano, secondariamente per quanto fosse corrotto il pubblico costume in Avignone à motivo della sede della corte pontificia, pure a me sembra che la natura di un uomo, nella condizione onorata di Ugo De Sade, non potesse tralignare si fattamente da sopportare in buona pace che il suo onore venisse così sfacciatamente vilipeso.

Lo stesso tenore di vita del Petrarca è un altro argomento da indurmi a credere che Laura sia una mera invenzione del poeta. Un uomo veramente innamorato di una donna non trova niente di più bello che lo star vicino al caro oggetto di tutti i suoi pensieri ed affetti. E se per qualsiasi cagione non possa con la sua donna parlare, è pur contento di poterla almeno una volta al giorno vedere e scambiare con essa uno sguardo furtivo ma sentito. Niente di tutto ciò sappiamo del Petrarca; sappiamo invece che egli era continuamente in viaggio, e che quando ritornava ad Avignone passava molto volentieri i suoi giorni a Valchiusa. Giacomo Colonna divenuto vescovo di Lombez, va a prendere possesso del suo vescovado e mena con sè l'amico Petrarca, il quale vi passa i suoi giorni giocondamente in compagnia de' suoi amici Lelio gentiluomo romano e Luigi nato in riva al Reno presso Bois-le-Duc. Dopo di

un anno ritorna ad Avignone per presentare i suoi omaggi al cardinale Giovanni Colonna, il quale lo alloggia sontuosamente nel suo palazzo e lo mette in relazione con i molti suoi amici. Ivi divide il suo tempo tra lo studio dei classici, ch'erano il suo vero amore, e la elegante conversazione. Nel 1333 parte da Avignone e va in Francia, in Fiandra, nei Paesi Bassi, a Colonia e per la selva delle Ardenne e Lione ritorna ad Avignone dopo un'assenza di otto mesi. Non trovandovi più il suo mecenate, il suo amico monsignor Giacomo, si ritira in Valchiusa, copia codici, studia i classici del Lazio e forse nelle ore di riposo va imaginando sonetti e canzoni. Insomma i viaggi del Petrarca sono moltissimi e a brevi intervalli dall'uno all'altro, e senza alcuna necessità. Se fosse stato di servizio presso qualcuno, per cui avesse l'obbligo di doversi muovere cosi frequentemente contro la sua volontà, sarebbe scusabile. Ma egli era padrone di sè stesso, e quando alcuni potenti lo richiedevano di una visita, sarebbe bastato che dicesse di attendere a qualche suo lavoro, od allegasse qualche suo fisico incommodo per lasciarlo tranquillo ad Avignone o a Valchiusa. Ma in lui erano due cose che più dell' amore ancora lo signoreggiavano, la ricerca di scrittori latini e greci e l'ambizione.

Oltre di ciò nel 1337 gli nasceva o ad Avignone o a Valchiusa un figlio naturale per nome Giovanni, che il Petrarca amò sempre tenerissimamente quantunque gli abbia procacciato non pochi dispiaceri. Dopo di Giovanni gli nasceva ancora una femina nel 1343 che diede poi in isposa a un certo Francesco da Brossano. Questi due figliuoli ebbe da una medesima donna della quale non si potè mai sapere nulla. Come mai il Petrarca avrebbe potuto delirar tanto per Laura che non gli lasciò mai vedere un barlume di corrispondenza ed aveva dati alla luce undici figliuoli, per lasciare dimenticata colei che gli aveva procurato l'ineffabile gioia di sentirsi chiamar babbo? Se vogliamo stare a quanto ne scrissero gli storici, il Petrarca si sarebbe innamorato di Laura nel 1327, e il suo amore sarebbe durato oltre alla morte della medesima avvenuta nel 1348. Dunque il Petrarca mentre che vaneggiava per la moglie di Ugo De Sade si allacciava con un' altra donna verso la quale non doveva fare l'indifferente perchè gli dava alla luce due creature che formarono sempre la sua delizia. E ciò essendo, come mai si potrebbe tanto encomiare il castissimo amore del Petrarca? dove sarebbe, dico io, l'onestà del cittadino il quale seduce il cuore di una ragazza, la rende madre di parecchi figliuoli, e nel tempo stesso vagheggia un' altra donna già maritata, e cerca in tutte le maniere di farla deviare dagli obblighi santissimi di consorte e di madre ? A me pare che il Petrarca

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