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Ed eccovi chiara la genesi delle fazioni italiane. Queste non sorgono per fatti contemporanei, ma preesistono a quelli e costituiscono, per così dire, i quadri, entro i quali i fatti medesimi si versano e si distribuiscono.

Nel '300 in Italia si nasce faziosi, come si nasce gialli nella China o negri nel Tombuctù. La fazione si assorbe col latte materno, s'impara dal precettore. I giuochi dei fanciulli sono, come le passioni dei grandi, basati sul guerreggiar delle parti. Si può entrare e si può non entrare in un ciclo di attività politica; ma, quando vi si entra, nessuno pensa ai bisogni complessivi di un paese; l'interesse della fazione a cui si appartiene tien luogo di fede, di patriottismo, di virtù.

Vi ha detto acutamente lo scorso anno l'attuale ministro della pubblica istruzione 1) che, distruggendo nelle campagne i ricoveri del feudalismo, le città trasportavano nell'interno delle mura quella guerra civile che credevano aver terminata al di fuori.

Infatti, quando posavano le guerre fra Svevi e

1) Pasquale Villari.

Angioini, fra papi e imperatori, nascevano le guerre fra l'una e l'altra delle città italiane; fra Genova e Venezia, fra Pisa e Firenze, fra Modena e Bologna, fra Piacenza e Milano.

Quando fra le città s' era fatta la pace o una pace, il dissidio interno cittadino non tardava a scoppiare; dissidio tra nobili e plebei, tra governanti e governati, tra rioni occidentali e rioni orientali, tra antichi servi orgogliosi della vittoria e antichi feudali memori della sconfitta.

Se anche a siffatte querele veniva meno la materia o la lena, il bisogno di lottare sorgeva da cause minori. Si cominciava con una rivalità d' individui, si continuava coll' ostilità delle famiglie a cui questi individui appartenevano; ogni famiglia allargava le sue ire alle famiglie alleate; si finiva colla tradizionale divisione politica.

Così, e non altrimenti, nascevano le fazioni interne, che lacerarono per tanti anni le maggiori città, i Buondelmonti e gli Uberti a Firenze, i Panciatichi e i Cancellieri a Pistoja, i Lambertazzi e i Geremei a Bologna, i Cappelletti e i Montecchi a Verona, i Beccaria ed i Langosco a Pavia, a Mantova i Bonacolsi e i Gonzaga. Su più vasto campo, e destinati a maggiori dominazioni, i Colonna e gli Orsini a Roma, i Fieschi e i Doria a Genova, i Visconti e i Torriani a

Vita Italiana nel '300. I.

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Milano sono altrettante variazioni del fenomeno

fondamentale.

Ricordare gli episodi da cui sorsero quelle inimicizie di carattere secolare, ci porterebbe assai lungi. Ogni cronista riporta quelli della propria città, e tali narrazioni si seguono, rassomigliandosi.

Un delitto v'è quasi sempre all'origine di queste contese; un delitto d'ambizione, più sovente un delitto d'amore.

Voi conoscete la storia delle vostre famiglie; quella giovane Donati, per cui s'accende Buondelmonte dei Buondelmonti, dimenticando il preso impegno di sposare una fanciulla degli Amedei. Indi l'ira di questi, che si estende agli Uberti, antichissimi ottimati di Firenze; e il consiglio di famiglia per deliberare sulla vendetta da prendersi; e l'insidioso motto di Mosca dei Lamberti: cosa fatta, capo ha. Voi vedete di qua l'appostamento degli Uberti e degli Amedei sull'angolo settentrionale del Ponte vecchio; e il bel Buondelmonte che s'avanza d'oltr'Arno, vestito di bianco, caracollando sul bianco palafreno; e il sangue che macchia tutto quel bianco, e il cadavere giovanile su cui s'accaniscono tutti quei ferri, e l'urlo di trionfo che inaugura per le vie di Firenze quarant' anni di stragi.

Dopo questa, ecco la leggenda veronese che commuove tutti i cuori sentimentali d'Europa e

che risveglia, a secoli di distanza, il genio drammatico di Shakespeare e il genio musicale di Bellini.

Nè dissimile dal fato di Giulietta e Romeo è quello che avvolge Imelda e Bonifacio nella vicina Bologna.

Imelda dei Lambertazzi, giovinetta di gentili costumi, è amata alla follia da Bonifacio dei Geremei, giovanissimo egli pure ed alieno, come dice il Muzzi, dal sangue e dalla ferocia. Lungamente supplicata, riceve un giorno nelle sue camere l'innamorato. Sono spiati, denunciati e sorpresi. I fratelli d'Imelda, furenti dell'oltraggio recato alla loro casa ed alla loro sorella, si slanciano sul giovane Geremei e gli immergono nel petto uno di quei pugnali avvelenati, onde avevano tratto l'uso dai Saraceni i cavalieri crociati. Trascinatolo in un sottoscala, ivi lo abbandonano per correre ad adunar partigiani. Imelda, che al primo romore era fuggita, ritorna, vede le traccie del sangue, le segue, ed arriva al cadavere dell'amato. Alcuni ultimi sussulti di vita la muovono ad una speranza e ad un eroismo. Chinandosi sulla ferita, ne sugge, col sangue, il veleno; e le ancelle, ricercandola, trovano l'erede dei Lambertazzi, generosa suicida, sul corpo del Geremei.

La tragedia non era che incominciata. Poichè, essendosi agitato il partito di uscire in campo. contro Modena e contro Forlì, si disputarono in

tanto i Lambertazzi e i Geremei per sapere di quale città si dovesse preparare l'assalto. E la discussione fu cosi viva che, per quaranta giorni, Bologna fu piena di morti e di feriti, accatastati sulle rovine delle case incendiate; e Modena e Forli potettero stare tranquillamente a vedere quanti dei loro presunti nemici sarebbero usciti salvi dalle reciproche brutalità.

Debbo parlarvi di quella Virginia Galucci che è rapita da Alberto Cabonesi e provoca fra le due famiglie lunghissime ostilità? o di quella Bianchina Landi, che, insidiata da Galeazzo Visconti, se ne schermisce e determina fra Milano e Piacenza feroce guerra? o di quella fanciulla tedesca, scesa in Italia per le feste del Giubileo, che, oltraggiata da Bernardino dei Polenta, si uccide, e lascia in retaggio la sua vendetta a due fratelli, capitani d'una compagnia di ventura?

Tutti questi episodi non servono che a dimostrare come la materia infiammabile fosse equabilmente sparsa in tutte le contrade italiane, e come la violenza collettiva fosse dappertutto la figliazione legittima dell'eccesso individuale.

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