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La molta cortesia non vi faccia dire di no, Signore e Signori: voi mi guardate con una certa quale curiosità per vedere che razza di viso abbia la sfacciataggine. Avete mille volte ragione. Ho osato sottomettere spontaneamente le spalle ad un carico, al quale non reggerebbero muscoli ben altrimenti robusti che i miei. La Genesi della Divina Commedia!

O tu chi se', che vuoi sedere a scranna
Per giudicar da lungi mille miglia
Con la veduta corta d'una spanna?
(Paradiso, XIX, 79).

Per scusarmi posso ben dire qualcosa. Nella letteratura italiana la Divina Commedia giganteggia in maniera, che il cupolone del Brunel lesco non basta a renderne immagine. Piuttosto sarà da ricorrere a quel Duomo mirabile, che là nella gran pianura lombarda si slancia verso il cielo, cospicuo da ogni parte a cento e più mi

glia, tra l'ammasso delle case milanesi; dorato il mattino dai primi raggi del sole, imporporato dagli ultimi, sfolgoreggiante ne' suoi bianchi marmi sotto la luce meridiana. Orbene: questo gran monumento, tolto il quale la nostra letteratura cambia affatto d'aspetto, nel disegno delle conferenze quale a me fu annunziato, appariva solo di traverso. Ed ecco uno stimolo interno pungermi irresistibilmente a voler sopperire al difetto, mostrandovi un' altra faccia del portentoso edificio. Bella scusa davvero! Ho fatto come un villano, ingenuo e dabbene, che, penetrato, Dio sa in qual modo, in una sala dove sia gente di gran conto, vedendo l'uomo, ch'egli sa tra tutti il più famoso, lasciato pressochè solo in disparte da una specie di reverenza timorosa, vada a piantarsegli accanto.

Ma questi tutti son vani discorsi. S'io ebbi l'imprudenza, o l'impudenza, di mettere il mio nome appiè di una grossa cambiale senza pensare s'ero da tanto di poterci far fronte, ora, che la scadenza è venuta, bisogna che m'ingegni almeno di raggranellare le poche lire di cui dispongo. Un fallito dovrò essere di necessità; ma che io sia, se non altro, un fallito d'onore.

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Donde cominciare? La Signora Critica, dopo aver fatto la bisbetica per un pezzo come pur

troppo le avvien molto spesso, non già per mal

permette

animo, ma per rigido amore del vero ch'io muova di colà, di dove, se a voi fosse lasciata la scelta, desiderereste di certo che io principiassi. È una figura ed è un nome di donna che devo qui evocare, ed è dell' affetto più gentile e più potente che abbia signoreggiato la mente dantesca che v'ho da intrattenere anzitutto. Guai di sicuro a chi nella Vita Nuova prenda ogni cosa alla lettera; ma la Vita Nuova non è neppure un tessuto di finzioni immaginate colla mira di comporre un romanzo; anche là, dove non è storia di fatti reali, essa viene ad essere pur sempre talora con una certa perturbazione cronologica - storia di sentimenti, di pensieri, di fantasie.

A Dante fanciullo

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"Prima che fuor di puerizia fosse, entrò nel cuore l'immagine di una fanciulletta, che di certo allora egli non chiamava. altro che "Bice. Chi s'inalberi all'idea di un innamoramento così infantile, può essere dottissimo e sapientissimo in tutto, ma non conosce abbastanza l'anima umana. Passarono gli anni senza che l'immagine, di continuo ravvivata, venisse mai a cancellarsi; i sentimenti che essa suscitava si fecero via via più distinti; beato nel pensiero di quella gentile, il giovane ebbe a dirla la sua Beatrice beatificatrice -- Ossia fu portato a designarla col nome intero, di cui Bice

era lo scorciamento familiare. A questo modo il caso (non il caso, direbbe lui, dacchè per que' tempi" nomina consequentia rerum,,, i nomi nascono dalle cose) gli forniva quel senhal, o nome convenzionale, cui i trovatori avevan ricorso per cantare più liberamente le donne amate: un senhal non molto recondito, se si vuole, ma da bastare tuttavia allo scopo; qui specialmente, dove, sotto alle eteree sentimentalità, non si nascondeva, come tante volte nel mondo provenzale, una tresca impudica. D'altronde di questo senhal Dante doveva allora servirsi solo, o pressochè solo, ragionando con sè medesimo, dacchè esso nelle poesie pervenuteci si mostra unicamente dopo la morte della donna.

Dante è in sui diciotto anni. Abbattutosi nella regina del suo cuore, che se ne va, in bianca veste, tra due matrone, e inebbriato dal saluto di lei, si ritrae alla sua camera e pretende di aver avuto un sogno. Nel sogno vuole aver visto Amore, che regge in sulle braccia Bice addormentata, avvolta in un drappo leggermente sanguigno. In una delle mani egli tiene, ardente, il cuore dell'innamorato; e di questo, destata la fanciulla, induce lei a mangiare. Voltosi quindi, di gaio ch'egli era prima, a piangere amarissimamente, si avvia verso il cielo, portando seco la donna.

Che Dante in quella notte sognasse di Bice,

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niente d'inverosimile; che la vedesse al modo. che narra, pochi saprebbero credere, nè io sarò certo del numero. Ma se le cose dette non vide, egli, quel giorno o un altro, le immaginò, salvo assai probabilmente l'ultimo tratto del volo verso la regione degli angeli, inspirato dai successivi eventi. E questa fantasia fu da lui esposta in un sonetto, che, pur non essendo stato di sicuro la prima prova del suo librarsi sulle ali del canto, è il più antico saggio che noi di lui si possieda. Il sonetto, indirizzato "A ciascun' alma presa e gentil core,,, ma destinato propriamente per coloro che erano famosi trovatori in quel tempo,, come una specie di problema di cui si chiede la spiegazione, non ha bisogno di essere letto qui perchè voi vediate in esso come un primo presagio della Divina Commedia. Il presagio è ben tenue di certo; ma forse che la sproporzione toglie la rispondenza tra l'immagine che si disegna sulla nostra retina e lo sterminato volume della stella che da una distanza inconcepibile manda all'occhio la sua luce? Fatto sta che in un caso e nell'altro abbiamo una visione, e una visione che muove dall' amore medesimo, quale materia di una creazione artistica.

A questa prima visione tante altre ne tengono dietro, da far sentenziare a un illustre storico della nostra letteratura ad Adolfo Bartoli

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