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Non fo il cronista di queste letture, che stampate correranno, come le precedenti, per le mani di tutti. Mi piace ricordare, dar libero sfogo a quel po' d'entusiasmo sincero che tutti abbiamo nei fondacci della coscienza. Lasciate dunque che

Eurico Nencioni.

senza tema di sembrare parziale vi dica della conferenza d'Enrico Nencioni sulla Letteratura mistica nei secoli XIII e XIV, compendiando il mio giudizio in brevi parole. Il Nencioni, esperto dell'arte difficilissima di commuovere un uditorio femminile, ebbe un grande e meritato trionfo. Egli conosce tutti i punti, tutte le delicatezze del sen

timento, e fu pari all'aspettativa che di lui si aveva grandissima; anzi, ardisco dirlo, la superò. Enrico Nencioni è poeta anche in prosa: ogni frase, ogni periodo che lesse giungeva diritto alla meta e sapeva commuovere. Lesse con quella sua voce velata che sfugge gli effetti volgari e sottolinea ogni parola, e d'ogni parola ogni sillaba. Raffrontò l'antico all'odierno, ebbe lampi di humour felicissimi, fu convincente, patetico, ironico, sublime. Parrà ch'io abbia usurpato il mestiere ad un giornalista teatrale che voglia patrocinare una vecchia abbonata, una egeria della propria agenzia. Invece io esprimo in disadorne parole quanto provarono gli ascoltatori devoti di quella lettura, che salutarono l'oratore con un applauso caldo, pieno di commozione sincera. Enrico Nencioni senti profondamente il soggetto che prese a trattare. E questo è ancor sempre il vecchio segreto per commuovere; è l'oraziano si vis me flere dolendum est primum ipsi tibi.

E, per una volta tanto, mi si passi la citazione latina.

III.

Ormai delle letture del palazzo Ginori anche l'ultima eco è svanita; parliamone dunque un'ultima volta con animo più riposato, per rievocare il ricordo di tante ore deliziose trascorse in quella serenità di spirito che era conceduta dalla stagione clemente, dalla geniale compagnia e dall'abito ormai acquistato di convenire a così eletti ritrovi. Perchè, gioverà rammentarlo, queste letture su La Vita Italiana nei secoli XIII e XIV, come le altre su Gli Albori, ebbero il plauso d'un uditorio sceltissimo, la cui assiduità non ha bisogno d'esser messa alla prova; d'un uditorio capace d'intendere le più riposte finezze d'una critica sottilmente ideale, come di non batter palpebra allo scrosciar de' robusti periodi d'un dicitore classicamente erudito.

Non ho mai conosciuto più severo areopago nè più sodi cervelli di questi che si nascondono all'ombra de' cappellini civettuoli e delle meglio composte acconciature. Il giudicio femminile, a torto così bistrattato, è quasi sempre d'una sagacità senza pari. Quello degli uomini, il più delle

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volte si lascia fuorviare da ragioni di convenienza, di scuola, di partito, di politica. Quest' altro invece mira dritto alla meta senza riguardi, senza preconcetti, senza ipocrisie; anzi talvolta spinge la franchezza sino alla più cruda brutalità. E, sopra tutto, aborre dalla presunzione: quando non capisee, sbadiglia; quando sbadiglia e contorcesi sulla seggiola, s'annoia; e quando si annoia, condanna senza remissione, senz'attenuanti. Ha pure un senso straordinario della misura, della convenienza, della decenza oraziana: è quell' istesso intuito d'arte che la donna sa mettere nella scelta dei colori, nel taglio d'un vestito, nell' adornamento della persona.

Conoscitrici consumate, autrici e critiche ad un tempo di quel piccolo poema di grazia e di civetteria che è l'opera delle loro mani e di quelle di.... Dio, sanno il segreto di ogni opera d'arte e non perdonano ad un disserente noioso, ad un accademico pedante, ad un dotto senza facondia, ad un conferenziere senza carità cristiana. Esse, che d'amore s'intendono, vogliono sentirne l'afflato in ogni opera d'arte. Non c'è creazione senza connubio, nè connubio senza simpatia, senza calore d'affetto. Perciò se restan fredde ascoltando un lavoro, pronunziano contro il colpevole una sentenza mortale. Il gentile areopago potrà forse reprimersi; e allora, per eccesso di modestia, giudi

cherà il lavoro dottissimo, ed erudito l'autore; e con questo eufemismo gli negherà per sempre battesimo d'artista o di poeta.

Ma i nostri lettori di quest'anno (1891), come quelli dell' altra serie, e delle serie future, possono

Ernesto Masi.

presentarsi al pubblico più difficile e schifiltoso senza paure. Enrico Panzacchi, Ernesto Masi, Isidoro Del Lungo, Enrico Nencio

ni, per tacere degli

altri valenti, conoscono a prova il segreto di dir cose belle e peregrine tenendo attento e divertito un eletto uditorio. Nè gli altri che seguirono furon da meno dei precedenti. Ernesto Masi, seppe improvvisare in pochissimi giorni un quadro com

Vita Italiana nel '300.

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