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dicare con intelletto d'artista. Non smancerie, non frasi imparate a mente, non effetti retorici; ma quella signorile bonomia con la quale i nostri antichi ragionavano de' miracoli dell'arte nelle botteghe de' pittori o degli scultori. Il Martelli, compagno di studi a quanti dal 1859 in poi han trattato la stecca o il pennello, ammiratore ed amico dell' Abbati, del Sernesi e degli altri valorosi rinnovatori della pittura in Toscana, è un finissimo ingegno d'artista che si nasconde nella giacca d'un possidente di campagna. Egli odia la ipocrisia, sotto tutte le forme, e per questo vive un po' solitario e fa parte da sè stesso. Tanto meglio, se nella quiete d'una biblioteca sa preparare al pubblico, che gli vuol bene, un'ora di dilettazione estetica, come quella indimenticabile che ci donò il 16 aprile nella sala Ginori!

Tre giorni appresso risaliva quella cattedra un altro bell'ingegno, il Molmenti. Un artista che vuol essere aristocratico succedeva al più democratico di tutti i conferenzieri; alla naturalezza del fiorentino all' antica, seguiva la raffinata eleganza d'un cortesan veneziano. L'onorevole Molmenti non se l'abbia a male: il paragone non ha nulla d'odioso per lui; tanto è vero che posson farlo i lettori, raffrontando i ritratti dei due dicitori dovuti alla elegante matita del Corcos.

Il tema assegnatogli era Venezia nel secolo XIV,

e l'autore della Dogaressa ne trattò con caldezza d'affetto, con vera ispirazione. Dimostrò come l'arte in questi anni di vigorosa vita civile facesse naturalmente difetto; poichè l'arte meglio

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fiorisce nelle età più riposate; negli splendori della decadenza. Nei primordi della repubblica l'arte si rivelò, è vero, in Venezia con opere magnifiche; ma non fu nè nazionale nè individuale, fu invece arte bizantina e prodotto sociale. Venezia comparisce degnamente nel campo dell'arte

sul principio del secolo XV, mentre appunto incomincia il suo scadimento civile.

Questa la

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tesi maestrevolmente svolta con abbondanza di notizie e di particolari, con osservazioni originali e sapienti, con una forma scintillante, armoniosa, carezzevole, a cui aggiungeva nuovo incanto la

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16. Jumma pena i mata e di civetera delavni Dani e di quelle di.... pera d'arte e non pernican. ai un disserente also ad un acca, camino pedanta, al mo dito senza facondia, ad to evaderensere senza carità cristiana. Esse, che O amore stotendino, viglino sentirne l'afflato 12 3gp opera d'arte. Non c'è creazione senza erunalii, nè e.anc'do senza simpatia, senza calire d'afers, Pezebb se restan fredde ascoltando un lavoro, pronunziano contro il colpevole una sentenza mortale. Il gentile areopago potrà forse reprimersi: e allora, per eccesso di modestia, giudi

cherà il lavoro dottissimo, ed erudito l'autore; e con questo eufemismo gli negherà per sempre il battesimo d'artista o di poeta.

Ma i nostri lettori di quest'anno (1891), come quelli dell' altra serie, e delle serie future, possono

Ernesto Masi.

presentarsi al pubblico più difficile e schifiltoso senza

paure. Enrico PanZacchi, Ernesto Masi, Isidoro Del Lungo, Enrico Nencio

ni, per tacere degli

altri valenti, conoscono a prova il segreto di dir cose belle e peregrine tenendo attento e divertito un eletto uditorio. Nè gli altri che seguirono furon da meno dei precedenti. Ernesto Masi, seppe improvvisare in pochissimi giorni un quadro com

Vita Italiana nel '300.

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