Sayfadaki görseller
PDF
ePub

mio de le seguenti parole; la seconda è lo 'ntento trat- 90 tato; la terza è quasi una serviziale de le precedenti parole. La seconda comincia quivi: Angelo clamá · [v. 15]; la terza quivi: Canzone io so che [v. 57]. La prima parte si divide in quattro: ne la prima dico a cu' io dicer voglio de la mia donna, e perché io vo- 95 glio dire; ne la seconda dico quale me pare avere a me stesso quand' io penso lo suo valore, e come io direi s' io non perdessi l'ardimento; ne la terza dico come credo dire, acciò ch' io non sia impedito da viltà; ne la quarta ridicendo anche a cui ne intendea dire, 100 dico la cagione per che dico a loro. La seconda co

90. lo 'ntento trattato. Alcuni hanno preferito di leggere, contro l'autorità dei codici, l'intero trattato; ma si è notato che più tosto di una determinazione quantitativa è necessaria qui una qualitativa; e a ciò, osserva il Rajna, << pare soddisfi la voce intento, dura si, ma adatta allo stile filosofico di queste chiose ». Convengo anch'io nell'accoglier la lezione dei codici; ma non mi pare che intento possa esser qui un epiteto qualitativo: è sostantivo vero e proprio, nel senso che ha altre volte in Dante (per es. Purg., XVII, 48.) di pensiero in quanto è rivolto a un determinato obbietto. Intendasi dunque lo 'ntento trattato, il pensiero esposto, la trattazione del mio concepimento intorno a Beatrice.

91. serviziale, in servigio, a compimento. Il congedo o commiato della canzone da Dante è chiamato nel Conviv., 11, 12 tornata «perocché li dicitori che in prima usarono di farla, fenno quella, perché cantata la canzone, con certa parte del canto ad essa si ritornasse ». E soggiunge: « ma io rade volte a quella intenzione la feci: e acciocche altri se n'accorgesse, rade volte la posi coll'ordine della canzone, quanto è al numero che alla nota è necessario; ma fecila quando alcuna cosa in adornamento della canzone era mestiero a dire fuori della sua sentenza; siccome in questa e nell'altre vedere si potrà ». La canz. di questo cap. della V. N. è una delle poche di Dante, in cui il congedo sia formato da un'intera stanza, e non da una strofetta piú breve.

100. ridicendo ecc. ripetendo nuovamente a quali donne io volessi parlare.

DANTE La Vita nuova.

7

mincia quivi: Io dico [v. 5]; la terza quivi: E io non vo' parlar [v. 9]; la quarta: Donne e donzelle [v. 13]. Poscia quando dico Angelo clama, comincio a 105 trattare di questa donna; e dividesi questa parte in due. Ne la prima dico che di lei si comprende in cielo; ne la seconda dico che di lei si comprende in terra, quivi: Madonna è desiata [v. 29]. Questa seconda parte si divide in due: ché ne la prima dico di lei 110 quanto da la parte de la nobilitade de la sua anima, narrando alquante de le sue vertudi, che de la sua anima procedeano: ne la seconda dico di lei quanto da la nobilità del suo corpo, narrando alquanto de le sue bellezze, qui: Dice di lei Amor [v. 43]. Questa 115 seconda parte si divide in due: ché ne la prima dico d' alquante bellezze, che sono secondo tutta la persona; ne la seconda dico d'alquante bellezze, che sono secondo determinata parte de la persona, quivi: De gli occhi suoi [v. 51]. Questa seconda parte si divide in 120 due; ché ne l'una dico de gli occhi, li quali son principio de l'Amore; ne la seconda dico de la bocca, la

110. quanto da la parte ecc. per quel che riguarda l'anima nobilissima di Beatrice.

111. narrando, nel senso più generale di esporre, dire.

116. bellezze, che sono secondo tutta la persona; cioè proprie dell'aspetto generale del suo corpo, la gentilezza ed eleganza del sembiante e il diffuso colore di perla.

117. bellezze, che sono secondo determinata parte, cioè quelle particolari degli occhi e del volto.

121. dico de la bocca; veramente nella canz. aveva detto del viso, nel senso più comune di vista; qui poi trae la voce al significato di volto, per poter intendere anche della bocca, che è come gli occhi una delle parti che servono alla manifestazione del pensiero, e mettere cosí in relazione questi versi con quelli della canz. filosofica Amor che ne la mente mi ragiona (p. 192):

quale è fine d'Amore. E acciò che quinci si lievi ogni vizioso pensiero, ricordisi chi ci legge, che di sopra è scritto che 'l saluto di questa donna, lo quale era de le operazioni de la bocca sua, fue fine de li miei 125 desideri, mentre ch' io lo potei ricevere. Poi quando dico: Canzone, io so che tu, aggiungo una stanza quasi come ancella a le altre, ne la quale dico quello, che di questa mia canzone disidero. E però che in questa ultima parte è lieve a intendere, non mi trava- 130 glio di piú divisioni. Dico bene, che a piú aprire lo 'ntendimento di questa canzone si converrebbe usare di piú minute divisioni; ma tuttavia chi non è di tanto. ingegno, che per queste che sono fatte la possa intendere, a me non dispiace se la mi lascia stare: chẻ 135 certo io temo d'avere a troppi comunicato lo suo intendimento, pur per queste divisioni che fatte sono, s'elli avvenisse che molti lo potessero udire.

Cose appariscon ne lo suo aspetto
che mostran de' piacer del Paradiso;

dico ne gli occhi e nel suo dolce riso ecc. e con la teorica esposta nel Convivio (III, 8).

122. E acciò ecc. affinché chi legge non abbia a pensare che si debba intendere la bocca esser fine d'amore in quanto è ministra dei baci, Dante richiama a quel che ha detto innanzi (cap. x, 11; xi, 19 e XVIII, 24), che fine del suo amore era il saluto di Beatrice e avverte il saluto esser operazione della bocca. « Questa scrupolosità, nota l'Orlandini, ombrosa e quasi soverchia di essere meno che delicatamente inteso, e franteso, non apparisce nell' altro stadio della sua passione, in cui pur narra di aver veduto, almanco per virtú di estasi, la nudità della amata ».

133. ma tuttavia ecc. Cfr. nel Conv., 11, 12 a proposito d' un' altra canzone: << O uomini, che vedere non potete la sentenza di questa canzone, non la rifiutate però; ma ponete mente la sua bellezza, ch'è grande, si per la costruzione, la quale si pertiene alli gramatici; si per l'ordine del sermone, che si pertiene alli retorici; si per lo numero delle sue parti, che si pertiene a' musici. Le quali cose in essa si possono belle vedere, per chi bene guarda

[ocr errors]

XX

Appresso che questa canzone fue alquanto divolgata tra le genti, con ciò fosse cosa che alcuno amico. l'udisse, volontà lo mosse a pregarmi ched io gli dovessi dire che è Amore, avendo forse, per le parole udite, 5 speranza di me oltre che degna. Ond'io pensando che appresso di cotale trattato, bello era trattare alquanto d'Amore, e pensando che l'amico era da servire, propuosi di dire parole, ne le quali io trattassi d'Amore;

[ocr errors]

XX. 1. fue alquanto divolgata erc. Della pronta diffusione di questa canzone è prova il fatto che essa si legge nel memoriale bolognese dell'anno 1292, e nel codice vaticano 3793, grande raccolta di rime messa insieme negli ultimi anni del secolo XIII.

2. alcuno amico ecc. Non sappiamo quale degli amici di Dante gli domandasse la definizione d'amore ed è un equivoco grossolano quello del Giul. che qui tira in campo Forese Donati; ma abbiamo parecchie testimonianze di simili inchieste, le quali per lo più si facevano in rima, e propriamente in sonetti. Basterà ricordar qui il son. di Guido Orlandi: Onde si move e donde nasce amore (Val., 11, 273) indirizzato al Cavalcanti, il quale rispose colla famosa canzone sulla natura d'amore Donna me prega perch'eo voglio dire (p. 3-13).

4. per le parole udite, cioè per quel che aveva detto nella canz. del cap. precedente.

5. speranza di me ecc. opinione, aspettazione superiore ai meriti. 8. trattassi d'Amore. Questo sonetto di Dante sulla natura d'Amore ci richiama alle molte altre definizioni che ce ne diedero i poeti antichi (si vedano gli esempî indicati dal D'Anc.). Primi per ordine di tempo discussero su tale argomento Pier della Vigna (Val., 1, 53 ) e Jacopo da Lentini (Val., 1, 308) rispondendo ai dubbi espressi in un sonetto di Jacopo Mostacci (Val., 11, 208): il primo, con molto giro di parole, non fa altro che affermare l'esistenza dell'Amore, ma il secondo lo definisce come un'aspirazione dell'animo determinata dalla vista dell'oggetto amato. E da questa definizione poco si allontanano, e solamente nel vario modo di esprimerla i più dei poeti antichi, sino

e allora dissi questo sonetto:

[Sonetto X]

Amore e 'l cor gentil sono una cosa,

sí come il saggio in su' dittare pone;

al Guinizelli. Dante stesso accenno a varie maniere di intender l'amore, in un altro son. (p. 235) che non mi pare inutile riprodurre:

Molti volendo dir che fosse Amore,

disser parole assai; ma non potero

dir di lui in parte ch'assembrasse il vero,

né diffinir qual fosse il suo valore:

ed alcun fu che disse ch' era ardore

di mente, imaginato per pensiero;
ed altri disser ch'era disidero
di voler, nato per piacer del core.
Ma io dico ch'Amor non ha sustanza,
né è cosa corporal ch'abbia figura,
anzi è una passione in disianza;
piacer di forma, dato per natura

sicché voler del core ogni altro avanza,
e questo basta fin che 'l piacer dura.

9. questo sonetto. Considerato di per sé non ha valore alcuno di poesia; ma raffrontato alle rime dottrinali dei poeti antichi mostra Dante assai più disinvolto nel trattar questa forma che i suoi predecessori non fossero: nelle quartine i sonetto dantesco procede per distinzioni che soffocano qualunque calore dell'inspirazicne, ma nelle terzine si rialza assumendo un'intonazione discorsiva e naturale.

10. Amore e 'l cor gentil ecc. Dante apertamente dichiara di riprendere questa dottrina dal Guinizelli e propriamente da quella canzone dal poeta bolognese ch'e' cita nel De vulg. eloquent., 1, 9 e 11, 5, e nel Conviv., Iv, 20. I versi della canz. del Guinizelli, ai quali Dante si richiama, sono i seguenti (p. 15):

Al cor gentil ripara sempre Amore
com' a la selva augello in la verdura,
né fé' Amore avanti gentil core
né gentil core avanti amor natura

e prende Amore in gentilezza loco
cosí propriamente

como clarore in clarità di foco.

Foco d'amore in gentil cor s'apprende

como vertute in pietra preziosa.
Amor per tal ragion sta in cor gentile

per qual lo foco in cima del doppiero
Amor in gentil cor prende rivera.

Il concetto del Guinizelli fu accennato da Dante anche nell'Inf., v, 100:

10

« ÖncekiDevam »