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la feconda: è dare utili cofe; la terza, è fanza effere domandato. Il dono dare, quello, ch'è dare, e giovare a uno, è bene; ma dare, e giovare a molti è pronto bene, in quanto prende fimiglianza da' beneficj di Dio, ch'è univerfaliffimo benefattore. E ancora dare à molti è impoffibile fanza dare a uno; acciocchè uno in molti fia inchiufo. Ma dare a uno fi può bene, fanza dare a molti; però chi giova a molti, fa l'unò bene, e l'altro: chi giova a uno, fa pur l'un bene; onde vedemo, l'imponitori delle leggi maflimamente pure alli più comuni beni tenere fiffi gli occhi, quelle compo nendo. Ancora dare cofe non utili al prenditore, pure è bene, in quanto colui, che dà, moftra almeno fe effere amico; ma no è perfetto bene; e così non è pronto; come, quando un Cavaliere donaffe a un me dico uno fcudo; e (1) quando il medico donaffe a un Ca

mo,

B 3

Valie

(1) Quando il medico donaffe a un cavaliere scritti gli Anforismi d'Ipocras, ovvero li Tegni di Galieno. Due voci, riportate dalla Greca lingua nella noftra, fi vedono in questo luogo Aforismi, e Tegni. La prima ancora fr coftuma: l'altra non è in ufo, Aforifé che qui anche è detto Anforismo (come pure Giafone li tro va fcritto Gianfone > per una certa antichiffima ufanza del noftro linguaggio d'alterare quafi tutte le parole non fue, ficcome ancora egli fa de' comi proprj, non tanto ftranieri che della patria, viene da d'oppoμós, che in volgare fignifica decifione, • Sentenza diffinitiva; ma Galeno vuole che fia: Grandis fententia, brevi oratione comprehenfa. Dante medefimo nel canto XI. del Paradifos Chi dietro a giura, e chi ad anforifmi

Sen giva.

E questa è la migliore lezione degli antichi MSS. la quale fi trova ancora in alcune buone Edizioni. Tegni fignifica quello, che è in Greco xn, Lat. ars. 1 Tegni di Galeno fono il fuo libro, così in Greco intitolato: ed in Latino fu detto da alcuni Ars Medi ca, o Medicinalis, e da altri Ars parad: e vi fu ancora chi ne tempt baffi lo diffe nell'iffeffa maniera Tegni, trovandofi ne' MSS. ne'titoli della verfione Latina di quest' Opera Incipit liber Tegni, ec. e si trova ancora un' Opera di Taddeo Fifico, di cui fi parlerà poco appreffo, la quale ha parimente quefto titolo ; Scriptum fuper Tegni: ed un Trattato fimile MS. nella Laurenziana al Ban LXXIII. è intitolato: Tfagogarúm Johanitii ad Tegni Galieni. si noti ancora, che Ipocras, donde viene il noftro Ipprocaffo, ula« to dal Boccacio ncha Nov. 9. della . Giornata, nón può de.

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rivare da altro, che dal Greco abbreviato Irxoxpár, che così fi trova ne' MSS, per lo fuo intero Iwwonpárna s

valiere fcritti gli an forifmi d' Iprocras, ovvero li tegni di Galieno; perchè li favj dicono, che la faccia del dono, dee effere fimigliante a quella di ricevere; cioè a dire, che fi convenga con lui, e che fia utile; e in quello è detta pronta liberalità di colui, che così difcerne donando. Ma perocchè li morali ragionamenti fogliono dare defiderio di vedere l'origine loro ; brievemente in quefto capitolo intendo, moftrare quattro ragioni, perch'è di neceflità il dono, acciocchè in quello fia pronta liberalità, conviene effere utile a chi riceve. Primamente; perocchè la virtù dee effere lieta, e non trifta in alcuna fua operazione; onde, fe'l dono non è lieto nel dire, e nel ricevere, non è in effo perfetta virtù non è pronta quefta letizia: non può dare altro, che utilità; che rimane nel datore per lo dare, e che viene nel ricevitore per lo ricevere. Nel datore adunque dee effere la provvedenza, in far sì, che dalla fua parte rimanga l'utilità dell' oneftare, ch' è fopra ogni utilità e far sì, che al ricevitore vada l'utilità dell'ufo della cofa donata; e così farà l'uno, e l'atro lieto; e per confeguente farà più pronta liberalità. Secondamente; perocchè la virtù dee muovere le cofe fempre al migliore; che così, come farebbe biafimevole operazione, fare una zappa d'una bella fpada, o fare un bello nappo d'una bella chitarra; così è biafimevole muovere la cofa d'uno lungo, dove sia utile, e portarla in parte, dove fia meno utile. E perocchè biafimevole è, invano operare; biafimevole, è non folamente a porre la cofa in parte, ove fia meno utile, ma eziandio in parte, ove fia igualmente utile. Onde, acciocchè fia laudabile il mutare delle cofe, conviene fempre effere migliore; perciocchè dee effere maflimainente laudabile: e quefta, e quefto non può fare nel dono, fe'l dono per trafmutatore non viene più caro nè più caro può venire, fe effo non è più utile a ufare al ricevitore, che al datore. Perchè fi conchiude, che'l dono conviene effere utile a chi'l riceve, acciocchè fia in effo pronta liberalità. Terziamente perocchè l'operazione della virtù per fe dee effere acquiftatrice d'amici; concioffiacofachè la noftra vita di quello abbifogni: e'l fine della virtù fia, la noftra vita effere contenta; onde, acciocchè'l dono faccia lo rice

vitore amico, conviene, a lui efferé utile; perocchè utilità figilla la memoria dell' immagine del dono, if quale è nutrimento dell' amistà : tanto più forte, quanto effa è migliore; onde fuole dire Martino: non cadrà della mia mente lo dono, che mi fece Giovanni; perchè, acciocchè nel dono fia la virtù, la quale è liberalità: e che effa fia pronta, conviene effere utile a chi riceve. Ultimamente; perocchè la virtù de' avere atto libero, e none sforzato, atto libero è, quando una perfona va volentieri ad alcuna parte, che fi moftra nel tenere volto lo vifo in quello atto: sforzato è, quando contro a voglia fi va, che fi moftra in non guardare nella parte, ove fi va; e allora fi guarda lo dono a quella parte, quando fi dirizza allo bifogno dello ricevere. E perocchè dirizzarfi ad effo non fi può, se non fia utile; conviene, acciocchè fia con atto li bero, la virtù effere libera, lo dono alla parte, ov'elli va col ricevitore; e confequente conviene, effere lo dono l'utilità del ricevitore, acciocchè quivi fia pronta liberalità. La terza cofa, nella quale fi può notare la pronta liberalità, fi è, dare non domandato ; acciocchè'l domandato è da una parte, non virtù, mercatanzia; perocchè quello ricevitore compera, tuttochè'l datore non venda; perchè dice Senaca, che nul la cofa più cara fi compera, che quella, dove e'prieghi fi fpendono. Onde, acciocchè nel dono fia pronta liberalità, e che effa fi poffa in effo notare; allora fi conviene effere netto d'ogni atto di mercatanzia. Conviene, effere lo dono non domandato. Perchè sì caro cofta quello, che fi priega; non intendo qui ragionare ; perchè fufficientemente fi ragionerà nell' ultimo tratta to di questo libro.

ma.

Da tutte le tre foprannotate condizioni, che convengono concorrere, acciocchè fia nel beneficio la pronta liberalità, era 'l Comento Latino, e lo volgare: e con quelle, ficcome fi può manifestamente così contare, non averebbe il Latino così fervito a molti: ce fe noi riducemo a memoria quello, che di fopra è ragionato, li letterati fuori di lingua Italica non averebbono potuto avere quefto fervigio: e quelli di questa lingua; fe noi volemo bene vedere chi fono; troveremo, che de'mille Funo ragionevolmente non farebbe ftato fervi-B

to

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to: perocchè non l'averebbono ricevuto, tanto fono pronti ad avarizia, che da ogni nobilità d'animo li rimuove, la quale maffimamente difidera quefto cibo. È a vituperio di loro dico, che non fi deono chiamar litterati; perocchè non acquiftano la lettera per lo fuo ufo, ma in quanto per quella guadagnano danari, o dignità; ficcome non fi dee chiamare citarifta, chi tiene la cetera in cafa, per preftarla per prezzo per ufarla per fonare. Tornando adunque al principale propofito, dico, che manifestamente fi può vedere, come lo Latino avrebbe a pochi dato lo fuo beneficio; ma il volgare fervirà veramente a molti. Che la bontà dell' animo, la quale quefto fervigio accende, è in coloro, che per malvagia difufanza del mondo hanno lafciata la letteratura a coloro che l'hanno fatta di 'donna meretrice e quefti nobili fono Principi, Baroni, e Cavalieri, e molta altra nobile gente, non folamente mafchi, ma femmine; che fono molti, e molte in quefta lingua volgari, e non litterati. Ancora non farebbe stato datore lo Latino d'utile dono, che farà lo volgare; perocchè nulla cofa è utile, fe non in quanto è ufata nella fua bontà in potenza, che non è effere perfettamente; ficcome l'oro, le margherite, e gli altri tefori, che fono fotterrati, perocchè que', che fono a mano dell'avaro fono in più baffo luogo, che non è la terra, là ove il teforo è nafcofo. Il dono veramente di quefto Comento è la fentenzia delle Canzoni, alle quali fatto è; lo quale maffimamente intende inducere li uomini a scienza, e a virtù: ficcome fi vedrà per lo pelago del loro trattato. Quefta fentenzia non poffono avere in ufo quelli, nelli quali vera nobiltà è feminata, per lo modo che fi dirà nel quarto trattato; e quefti fono quafi tutti volgari, ficcome fono quelli nobili, che di fopra in quefto capitolo fono nominati e non ha contradizione, perchè alcuno litterato fia di quelli, che, ficcome dice il mio maestro Ariftotile nel primo dell'Etica, una rondine non fa primavera. E' adunque manifefto, che il volgare darà cofa utile, e lo Latino non l'averebbe data. Ancora darà il volgare dono non domandato, che non l'averebbe dato il Latino; perocchè darà fe medefimo per Comento che mai non tu domandato da perfona; e quefto non fi

può

può dire dello Latino, che per Comento, e per chiofe a molte fcritture è già ftato domandato, ficcome in loro principj fi può vedere apertamente in molti. E così è manifefto, che prontà liberalità mi moffe al volgare, anzi che allo Latino.

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Grande vuole effere la fcufa, quando a così nobile Convito per le fue vivande; a così onorevole per li fuoi convitati, fi pone pane di biado, e non di formento e vuole effere evidente ragione, che partire faccia l'uomo da quello, che per gli altri è stato fervato lungamente; ficcome di comentare con Latino. E però vuole effere manifefta la ragione, che delle nuove cofe il fine non è certo, acciocchè la fperienza non è mai avuta; onde le cofe ufate, e fervate fono, e nel proceffo, e nel fine commifurate, Però fi moffe la tagione a comandare, che l'uomo aveffe diligente riguar do, a entrare nel nuovo cammino, dicendo, che nello ftatuire le nuove cofe, evidente ragione de' effere quel la, che partire ne faccia da quello, che lungamente è ufato. Non fi maravigli dunque alcuno, fe lunga è la digreffione della mia fcufa; ma, ficcom'è neceffaria la fua lunghezza, paziente foftenga; la quale perfeguendo, dico, che, poich'è manifefto, come per ceffare difconvenevoli difordinazioni, e come per prontezza di liberalità io mi moffi al volgare Comento, e lafciai lo Latino; l'ordine della 'ntera fcufa vuole, ch' io moftri, come a ciò mi móffi per lo naturale amore della propia loquela; che è la terza, e l'ultima ragione, che a ciò mi moffe. Dico, che'l naturale amore principalmente muove l'amatore a tre cofe: l'una fi è, a magnificare l'amato; l'altra è, a effere gelofo di quello; l' altra è, a difendere lui; ficcome ciafcuno può vedere, continovamente avvenire. E quefte tre cofe mi fecero prendere lui, cioè lo noftro volgare, lo quale naturalmente, e accidentalemente amo, e ho amato. Moffimi prima, per magnificare lui e che in ciò io lo magnifichi, per quefta ragione veder fi può. Avvegnachè per molte condizioni di grandezza le cofe fi poffono magnificare, cioè far grandi: e nulla fa tanto grande, quanto la grandezza della propia bontà, la quale è madre, e confervatrice dell' altre grandezze, onde nulla grandezza puote l'uomo avere maggiore, che quella

del

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