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quivi fono commeffe, cioè, la rima, e lo rimato e: 'I numero regolato. Siccome non fi può bene manifeftare

Palazzo de' Pitti. Nella Laurenziana al Banco LXXIII in due Co dici MSS. dell'Opera di Macftro Aldobrandino volgarizzata, fi legge verfo la fine del libro una Ricetta di Taddeo, la quale, pe rocchè da neffuno, ch'io fappia, è ftata nominata, e per efiere cola breve, ho ftimato bene di riportarla, a foddisfazione almeno di chi aveffe curiofità di vederla.

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Polvere mirabile, la quale compuofe, il maestro Taddeo.

Polvere, la quale compuofe il maestro Taddeo, che stava in Boa logna: la quale è approvata a distruggere, e a confumare del cora po dell' uomo, e della femmina, tutti malvaggi, e peffimi omori Vale ancora questa polvere, contro a difetto di vifo, contre a scor somia, e contra dolore articulorum, è contra dolore di ftomaco, fe il cibo prefo non puote digeftere: e vale a i membri fac buona mes moria: vale contra goste di tutto il corpo, e di membris vale con tra dolore di reni, contra dolere di ftomaco, di cuore, e contra dos lore de' lombi; vale ancora contra vizio di pietra, e far li uomini di buona volontade, e di buona disposizione: affottiglia lo ingegno a caccia la malinconia. Tolli feme delle infrafcritte erbe : Carvi Amos, Petrofellino, Appio, Finocchio, Silermontano, Comino, Baf filica, Milii folis, Gineftra, Endivia, Ifapo, Eufragia. Saffifragia di ciafcuna once mezza, Puleggio, Calamento, Pepe, Salgemma; di catuno la quarta parte, d'una dramma Noci, Cubebe Zetrovgrie (i, Zedoaria) Cardamomo " Maftice, Mirra, Centrogalli, cioè fer me di Shiarea( i. Sclarea ) Balsamite, ifquinanti, Bettonica, Sale via, Calamandrea : di ciascun a gncia mezza. Folii leviftici,' Regon. lizia, Garofani, Canella, Mirahollani citrini, Galanga, Zafferano, Spico, Majorana: di catuna dramme. 2. Di quattro generazioni di Mirabolani, indi, chebuli, bellirici, emblici, di ciafcuna oncia mez. 24. Zucchero libbra mezza. Tutte queste cose fi vogliono peftare fote filmente, e farne polvere; e della desta polvere, ufi continuamente ciafcuno giorno, angi cibo, in cibo, e dopo cibo. Provata cosa è Tocchero brevemente alcune cofe notabili nella fuddetta Ricetta. DIFETTO DI VISO, vuol dire difetto della vista. Vifo per vifta è ufattiffimo preffo de' noftri antichi e Dante, oltre agli esempi ziportati dal Vocabolario, nella Vita Nuova dice: pingeva fuori gli debolesti Spirisi del vifo. SCOTTOMIA fignifica la Versigine del sape. Avicenna lib. 3. Tract. 5. cap. 1. che porta in fronte que fto titolo: De vertigine, & alfedar, vel fedar. i. Scottamia. PE TROSELLINO, APPIO. Appio, e Petrofelline è in genere l'ifteffo Semplice, ma in ispezie e diverso, Il Ricettario Fiorentino ; 11 Pe

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ftare la bellezza d'ua donna quando (1) gli adornamenti dell'azzimare, e delle veftimenta la fanno più annumerare, che effa medefima; onde chi vuole bene giudi

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refellino è feme fimile a quello dell' Apio, ma un poco più lunghetto. Maestro Alobrandino moftra, che le radici di queste due piante non abbiano l'istessa virtù per appunto, mentre dice: meffi a bollire in acqua di fonte viva con radici d' Appio, e di Prezzemo lo. 1 Greci lo cenobbero di tre fpezie: ἀρεσσέλινον, ελεοσέλινον, ε

porno, che i Latini differo Apium montanum palustre, & faxatile, vel Macedonicum. Giufeppe Pitton Tournefort, nel fuo li. bro intitolato Inftitutiones Rei herbaria, ne pone undici fpezie: e tra quefte chiama l'Appio paluftre Appium officiarum, ch'è il se. dano felvatico, detto volgarmente erba fedanina: e quello, che noi diciamo Prezzemolo, Petrofemolo, e Pretefemolo, è detto da lui Apium hortenfe. CALAMANDREA. Questa è la Quercinola, la quale da Diacinto Ambrofino, nella fua Fitologia alla voce Chamadrys, è detta Querciuola Calamandrina. E tanto basti aver detto di quefto antichiffimo letterato Fiorentino.

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"(1) gli adornamenti dell'azžímare, Edigio Menaggio nell' Origi ni della lingua Italiana, alla voce Azzimare, riportando questo luo. go di Dante, foggiugne: Nelle quali i.parole) azzimare, pare che poffa voler dire qualche forta di vefte, e forse quella, che oggi ancora zimarra, e in qualche luogo di Toscana azzimarra, fi chia e particolarmente nel Piftolefe: dove nol fentimento di adormarfi fento dire, che pur fi confervi anche il verbo azzimare. Che perciò non è maraviglia, che quel Pistolefe preffo al Boccaccio Nov. 25. 3. dall' azzimerfi foffe per soprannome chiamato il Zima. Il verbo azzimare può alle volte ufurparfi per nome, ficcome fi pra tica negli altri verbi e così gli adornamenti dello azzimaré farebbero gli adornamenti dell' abbellimento, pulimento, affettamento, eattillamento della perfona, e non già la zimarra, o altra fpezie di vefte, come vuole il Menagio; vedendofi questo verbo ufato fempre nel medefimo fignificato, anche da Dante medefimo nell' ifteffo Convito, dove metaforicamente così parla. E perciò veggia. mo li cattivi málnati, che pongono lo studio loro in azimare la loro operazione, ec. 11 Boccaccio ancora nel fuo Comento fopra Dante al Canto 5. dell' Inferno, acremente mordendo icoftumi de' fuoi tempi, così incontra loro inveifce : Ed acciocchè io non mi stenda' troppo, mi piace di lafciare stare la follecitudine, la qual pon gono, gran parte del tempo perdendo, appo il barbiere in farfi petrinare la barba, in farla forfecchina, in levar quefto peluzzo di quindi, e rivolger quell' altro altrove, in fare che alcuni del tutto non occupino la bocca, in ispecchiarfi, azzimarfi, `allichifarfi, ferinar i capelli, ora in forma barbarica lasciandogli orefcere, as trecciandogli, avvolgendosegli alla résta, e talora foluti fu per gli

eme

dicare d'una donna, guardi quella, quando folo fu natural bellezza fi fta con lei, da tutto accidentale adornamento difcompagnata. Siccome farà quefto Comento, nel quale fi vedrà l'agevolezza delle fue fillabe, la propietà delle fue condizioni, e le foavi orazioni, che di lui fi fanno le quali, chi bene agguarderà, vedrà effere piene di dolciffima, ed amabiliffima bellezza. Ma perocchè virtuofiffimo è nella 'ntenzione, moftrare lo difetto, e la malizia dell' accufatore; dirò a confufione di coloro, che accufano l' Italica loquela perchè a ciò fare fi muovono: e di ciò farò al prefente fpeziale capitolo, perchè più notevole fia la loro

infamia.

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A perpetuale infamia, e depreffione delli malvagj uomini d'Italia, che commendano la volgare altrui, e lo proprio difpregiano: dico, che la loro moffa viene da cinque abbominevoli cagioni. La prima è, ciechità di difcrezione: la feconda, maliziata scusazione: la terza cupidità di vanagloria: la quarta, argomento d'invidia: la quinta, e l'ultima, viltà d'animo, cioè pufillanimi tà. E ciascuna di queste retadi ha sì gran fetta, che"

po.

e

smeri fvolazzare, ed ora in atto chericile raccorciandoli. Tutto quefto periodo ho io voluto riportare, sì per la fua vaghezza, ed energia, e sì acciocchè si venga maggiormente in chiaro della fu. ftanza, e forza della predetta voce. Pertanto, con aver fempre la dovata venerazione a chi della fua origine ha parlato, mi voglio afficurare a pale fare una mia congettura intorno alla medefima origine, e lasciar poi ciafcheduno in libertà, o d' approvarmela, o nò. Azzimare, direi, che foffe l'ifteffo, che cimare, accimare. Omai ognun fa, che cimare vuol dire levar la cima, e fcemare il. pelo al panno lanno e che ciò fi fa, per pulirlo, agguagliarlo, renderlo più bello, e lucente. L'accrefcimento d'una fillaba al principio della dizione è già molto ufitato appreffo di noi; dicen-. dofi portare, e appartare, faticare, e affaticare, e fimili. La per mutazione della lettera C nella Z, colla quale ella ha ftrettiffima parentela, è stata fpeffe volte praticata: e in quefte Profe di Danre fi legge dolzore, ed altrove merzè, per dolciore, e mercè. Ora a me pare, che quando nel dedurre fimili origini fi trova una cosi propinqua corrispondenza tra le voci della noftra patria, egli fia meglio, che con queste s'imparentino, che l' andarne a ricercare la difcendenza dalle straniere. * Azzimare dal verbo zimmen Tedeico, pulire, affettare ; onde il foprannome dello Zima nel Deca

merone.

Tomo I.

C

pochi fon quelli, che fieno da effe liberi. Della primá fi può così ragionare. Siccome la parte fenfitiva dell' anima ha fuoi occhi, colli quali apprende la differenza delle cofe, in quanto elle fono di fuori colorate; così la parte razionale ha fuo occhio, col quale apprende la differenzia delle cofe, in quanto fono ad alcuno fine ordinate e queft' è la difcrezione. E ficcome colui, ch' è cieco degli occhi fenfibili, va fempre, fecondo che gli altri, giudicando il male e 'l bene; così quel li, ch'è cieco del lume della difcrezione, fempre va nel fuo giudicio fecondo il grido, o dritto, o falfo. Onde qualunque ora lo guidatore è cieco, conviene, che effo, e quello anche cieco, ch'allui s'appoggia vengano a mal fine. Però è fcritto, che 'l cieco al cieco farà guida e così cadranno amendue nella foffa. Quefta grida è ftata lungamente contro a noftro volgare, per le ragioni, che di fotto fi ragioneranno. Appreffo di quefta, li ciechi foprannotati, che fono quafi infiniti, colla mano in fulla fpalla a quefti mentitori, fono caduti nella foffa della falfa opinione, della quale ufcire non fanno. Dell'abito di quefta luce difcretiva, maffimamente le popolati perfone fono orbate; perocchè occupate dal principio della loro vita ad alcuno meftiere dirizzano sì l'animo loro a quella perfona della neceffità, che ad altro non intendono. E perocchè l'abito di virtude, sì morale, come intellettuale, fubitamente avere non fi può, ma conviene, che per ufanza s'acquifti ed ellino la loro usanza pongono in alcuna arte e a difcernere l'altre cofe non curano; impoffibile è a loro, difcrezione avere. Perchè incontra, che molte volte gridano: viva la lor morte, e muoja la lor vita; purchè alcuno cominci. E quefto è pericolofiffimo difetto nella loro ciechità. Onde Boezio giudica la popolare gloria vana, perchè la vede fanza difcrezione. Quefti fono da chiamare pecore, e non uomini, che se una pecora fi gittaffe da una ripa di mille paffi, tutte l'altre l'andrebbono dietro: e fe una pecora per alcuna cagione, al paffare d'una ftrada, falta, tutte l'altre faltano, eziandio nulla veggendo da faltare. Ei'ne vidi già molte in uno pozzo faltare, per una, che dentro vi faltò, forfe credendo faltare uno muro; non oftante che'l pastore, piangendo e gridando, colle brac

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CONVITO DI DANTE. tia e col petto dinanzi fi parava. La feconda fetta con tro a noftro volgare, fi fa per una maliziata fcufa Molti fono, che amano più d'effere tenuti maeftri, che d'effere e per fuggire lo contrario, cioè di non effere tenuti, fempre danno colpa alla materia dell' arte apparecchiata, ovvero allo ftrumento; ficcome il mal fabro biafima il ferro, apprefentato a lui: e'l mal cetarifta biafima la cetera; credendo dare la colpa del mal coltello e del mal fonare, al ferro e alla cetera, e levarla a fe. Così fono alquanti, e non pochi, che vogliono, che l'uomo gli tenga dicitori e per ifcufarfi dal non dire, o dal dire male, accufano e incolpano la materia, cioè lo volgare propio; e commendano l' altro, il quale non è loro richiesto di fabbricare. E chi, vuole vedere, come quefto ferro è da biafimare, guardi, che opere ne fanno i buoni artefici e conoscerà la malizia di costoro, che biafimando lui, fi credono fcufare. Contro a quefti cotali grida Tullio nel principio d'un fuo libro, che fi chiama Libro di fine di beni perocchè al fuo tempo biafimavano lo Latino Romano, e commendavano la gramatica Greca; per fomiglianti cagioni, che questi fanno vile lo parlare Italico, e preziofo quello di Provenza. La terza fetta contro a noftro volgare, fi fa per cupidità di vanagloria. Sono mol ti, che per ritrarre cofe, pofte in altrui lingua, é commendare quella, credono più effere ammirati, che ritraendo quelle della fua. E fanza dubbio non è fanza loda d'ingegno apprendere bene la lingua ftrana; ma biafime vole è, commendare quella oltre la verità, per arfi gloriofo di tale acquifto. La quarta fi fa da uno rgomento d'invidi Siccom'è detto di fopra, la inviia è fempre, dove è alcuna paritade intra gli uomini ana lingua e la paritade del volgare è, perchè l'úna ella non fa ufare, come l'altro, e qui nafce invidia o'nvidiofo poi argomenta, non biafimando colui, che ce, di non fapere dire; ma biafima quello, che è maria della fua opera, difpregiando l'opera di quella par, a lui, che dice, onore, e fama. Siccome colui e biafimaffe il ferro d'una fpada, e non per biafimo re al fero, ma a tutta l'opera del maeftro. La quin, e l'ultima fetta fi move da viltà d'animo. Sempre magnanimo fi magnifica in fuo cuore; e così lo pufil

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