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ia (1) vince in effa: ficchè fi fa feguitatrice di viziofe dilettazioni, nelle quali riceve tanto inganno, che per quelle ogni cofa tiene a vile. Di fuori dell' uomo poffono effere fimilmente due cagioni intefe,' l' una delle quali è indutrice di neceffità, l'altra di pigrizia. La prima è la cura familiare, e civile, la quale convenevolmente à fe tiene degli uomini il maggior numero, ficchè in ozio di fpeculazione effere non poffono. L'altra è il difetto del luogo, ove la perfona è nata e nudrita; che talora farà da ogni ftudio non folamente privato,ma da gente ftudiofa lontano. Le due di quefte cagioni, cioè la prima dalla parte di fuori, non fono da vituperare, ma da fcufare, e di perdong degne le due altre, avvegnachè una più, fono degne di biafimo, e d'abbominazione. Manifeftamente adunque può vedere, chi bene confidera, che pochi rimangono quelli, che all'abito, da tutti (2) confiderato poffano pervenire, e innumerabili quafi fono gl' impediti, che di quefto cibo da tutti fempre vivono affamati. O beati que pochi, che feggono a quella menfa ove il pane degli Angeli fi mangia e miferi quelli che colle pecore hanno comune cibo! Ma perocchè ciafcuno a ciascuno uomo è naturalmente amico: e ciafcuno amico fi duole del difetto di colui, ch' egli ama; coloro, che a così altá menfa fono cibati, non fenza mifericordia fono in ver di quelli che in beftiale paftura veggiono, erba, e ghiande gire mangiando. E, acciocchè mifericordia è madre di beneficio; fempre liberalmente coloro, che fanno, porgono della loro buona ricchezza alli veri poveri; e fono quafi fontes vivo, della cui acqua fi rifrigera la natural fete che di fopra è nominata. E io adunque, che non feggo alla beata menfa, ma fuggito dalla paftura del vul go, a piedi di coloro, che feggono, ricolgo di quel lo, che da loro cade: e conofco la mifera vita di quel li, che dietro m'ho lafciati; per la dolcezza, che io fento in quello, che appoco appoco ricolgo, mifericor devolmente moffo, non me dimenticando, per li miferi

(1) Vince in effa al. viene in effa

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(2) Confiderato, i, avuto in vifta. * 1. defiderato.

al

cioè

alcuna cofa che rifervata, la quale agli occhi loro git è più tempo ho dimoftrata, e in cio gli ho fatti maggiormente vogliofi. Perchè, ora volendo loro apparec chiare, intendo fare un generale Convito, di ciò, ch' i'ho loro moftrate: e di quello pane, ch'è meftiere a così fatta vivanda, fanza lo quale da loro non potreb be effere mangiata e a quefto Convito, di quello pané degno, cotal vivanda qual' io intendo indarno effere miniftrata. E però ad eflo non voglio, s'affetti alcuno male de' fuoi organi difpofto; perocchè nè denti, ne lingua ae; nè palato, nè alcuno affettatore di viżj: perocchè lo ftomaco fuo è pieno d'omori venenofi contrarj, ficchè mia vivanda non terrebbe. Ma vegnaci qualunque è familiare, o civile, nella umana fame rimafo e ad una menfa cogli altri fimili impediti s'affetti: e al li loro piedi fi pongano tutti quelli, che per pigrizia i fono flati, che non fono degni di più alto federe: e quegli e quefti prendano la mia vivanda col pane, che la farò loro, e guftare, e patire. La vivanda di quefto Convito farà di quattordici maniere ordinata quattordici Canzoni, sì d'Amore, come di Virtu ma teriate le quali, fanza lo prefente pane, aveano d' alcuna feurità ombra, ficchè a molti lor bellezza, più che for bontà, era in grado; ma queffo pane, cioè la prefente difpofizione, farà la luce, la quale ogni colo re di loro fentenzia farà parvente. E fe nella presente opera, la quale è Convito nominata, e vo', che fia, più virilmente G trattafle, che nella Vita Nuova; non intendo però a quella in parte alcuna derogare, ma maggiormente giovare per quefta quella; veggendo, ficcome ragionevolmente quella fervida, e paffionata quefta temperata, e virile effere conviene. Che altro conviene, e dire, e operare a una etade, che ad altra; perchè certi coftumi fono idonei, e laudabili a una etade, che fono fconci, e biafimevali ad altra, ficcome di fotto nel quarto trattato di questo libro farà propia ragione moftrata. E io in quella dinanzi all entrata di mia gioventute parlai, e in quefta di poi quella già trapaffata. E concioffiecofachè la vera intenzione mia foffe altra, che quella, che di fuori moftrano le Canzoni predette, per allegorica fpofizione quelle in tendo moftrare: appreffo la litterale ftoria ragionata; fide A

che

che l'una ragione, e l'altra darà fapore a coloro, che a quefta cena fono convitati; li quali priego tutti, che fe il Convito non foffe tanto fplendido (1), quanto conviene alla fua grida; che, non al mio volere, ma alla mia facultate imputinio ogni difetto; perocchè la mia voglia di compiuta, e cara liberalità è quì feguace.

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Nel cominciamento di ciafcuno bene ordinato Convito fogliono li fergenti prendere lo pane appofito, e quello purgare da ogni macula; perch' io, che nella prefente fcrittura tengo luogo di quelli, da due macole mondare intendo primieramente quefta fpofizione, che per pane fi conta nel mio corredo. L'una è, che parlare alcano di fe medefimo pare non licito l'altra fi è, che parlare, fponendo troppo a fondo, pare non ra gionevole. E lo illicito, e 'l non ragionevole il coltello del mio giudizio purga in quefta forma. Non fi concede per li rettorici, alcuno di fe medefimo, za neceffaria cagione, parlare. E da ciò è l'uomo rimoffo perchè parlare non fi può d'alcuno, che 'l parla tore non lodi, o non biafimi quelli, di cui egli parla; le quali due cagioni rufticamente ftanno a fare di fe nella bocca di ciafcuno. E per levare un dubbio, che quivi furge, dico, che peggio fta biafimare, che lodare, avvegnache l'uno, e l'altro non fia da fare. La ragione è, che qualunque cofa è per fe da biafimarey è più laida, che quella, ch'è per accidente. Difpregiare fe medefimo è per fe biafimevole; perocchè allo amico dee l'uomo fuo difetto contare segretamentes e nullo è più amico, che l'uomo a fe; onde nella camera de fuoi penfieri fe medefimo riprendere dee, e piangere li fuoi difetti, e non palefe. Ancora del non potere e del non fapere bene fe menare, le più volte non è l'uomo vituperato, ma del non volere è fempre perchè nel volere, e nel non volere noftro fi giudica la malizia, e la bontade. E perciò chi biafima fe medefi

mo, i

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e tene

(1) Quanto conviene allá fua grida * alla sua grida, cioè, bang do; onde imbandigione dal bandire) i conviti folenni putum publicum.

te coste bandita, quafi

mo, appruova, fe conofcere lo fuo difetto: appruova fe non effere buono; perchè per fe e da lafciare di parlare, fe biafimando. Lodare fe, è da fuggire, ficcome male per accidente; in quanto lodare non fi può, che quella loda non fia maggiormente vituperio e laido, nella punta dele parole: e vituperio, chi cerca loro nel ventre. Che parole fono fatte, per moftrare quello, che non fi fa. Onde, chi loda fe, moftra, che non crede effere buono tenuto, che non gl' incontra fanza maliziata cofcienza; la quale, fe ladando difcuo pre, e difçoprendo fi biafima. E ancora la propria lo da, e 'l proprio biafimo è da fuggire per una cagione igualmente, ficcome falfa teftimonianza fare, peroc chè (1) non è uomo, che fia di fe vero, e giusto mifuratore: tanto la propria carità ne inganna. Onde

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(1) Non è uomo, che fia di fe wero e giusto misuratore : tanto la propria carità ne 'nganna. La propria carità cioè l'amor pro pria. In un Leffico Greco-latino, ftampato in Ferrara nel 1510, per Giovanni Maciochio Bondeno, alla vaceti fi legge la fe, guente erudita annotazione, hauria, as n. amor fui ipfius. Hic folet maxime oculos praftringere, & quafi nubeculam offundere, ne veritatem rerum, qua ad nos attinent, difpiciamus. Hinc jure Ho Tatius cœcum amorem fui dixit:& Ariftoftotelem quafi probrofam haurs appellationem averfatur in nono Moralium: fieri enim non poteft, ut qui omnia propriis commodis metitur, humana focietatis leges abferuet. Non iba tamen inficias, cuique animantum infitum a natura, ut fe magis, quam ceteros omncs, amet, ac tueatur. Hing Terentianum illud in Andria: (Act. 11. fc. v.)

Verum illud verbum eft vulgo quod dici folet:

OMNES SIBI MALE MELIUS ESSE, QUAM ALTERI.

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Et illud apud Græcos vulgatum ; cineî d's'œuvre πretov '&'deisn'ude'va • Et Plato in quinto de Legibus: τοῦτο δὲ ἔστιν ο λέγουσιν, ως φίλος αυτῶ πασᾶνθρωπος φύσει τε ἐπὶ καὶ ὀρθῶς ἔχει : paffim, fcilicet, ore omnium effe, decere fibi quemque natura maxime amicum ef. se. Cujus fententia Ariftoteles in Septimo de Moribus ad Eudemum fic meminit : Δοκεῖ δὰρ ἐνίοις μάλισα έκασος αυτός αυτῷ φίλος ο Ex qua bominum opinione videtur illud Euripidis acceptum: Ως πᾶς τις αυτῶν τὸ πέλας μᾶλλον φιλεῖ.

Quod quifque ceteris fe amat vehementius.

*Gr. Pauria. Inglefe, felf-love. Horat. cæcus amor fui; del quale dice Platone : & φιλῶν τυφοῦται περὶ τὸ φιλούμενον : l' amans se › acciecâ intorno all'amato ; cioè l'uomo intorno a fe fteffo.

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avviene che ciafcuno ha nel fuo giudizio le misure del falfo mercatante che vende coll' una, e compera coll' altra; e ciafcuno con ampia mifura cerca lo fuo mal fare e con piccola cerca lo bene; ficchè il numero, e la quantità, e'l pefo del bene li pare più, che fe con giufta mifura folle faggiato: e quello del male meno. Perchè parlando di fe con loda, o col contrario, o dice falfo, per rispetto alla cofa, di che parla o dice falfo, per rifpetto alla fua fentenzia che l'una, l'altra è falfità. E però, concioffiecofachè il confentire è un confeffare; villania fa, chi loda, o chi biafima dinanzi al vifo alcuno; perchè nè confentire, nè negare puote lo così eftimato, fanza cadere in colpa di lodarfi, o di biafimarfi. Salva quì la via della debita correzione; ch'effere non può, fanza improperio del falfo, chi correggere s'intende: e falva la via del debito önorare e magnificare, la quale paffare non fi può, fanza fare menzione dell' opere virtuofe, o delle digni tadi, virtuofamente acquiftate; veramente al principale intendimento tornando, dico, com'è toccato di fopra, lo parlare di fe è conceduto; e intra l'altre neceffarie cagioni due fono più manifefte l'una è, quando fanza ragionare di fe, grande infamia, e pericolo non fi può ceffare; e allora fi concede per la ragione, che delli due fentieri prendere lo meno reo, è quafi prendere un buono. E quefta neceffità moffe Boezio, di fe medefimo parlare; acciocchè, fotto pretefto di confolazione, fcufaffe la perpetuale infamia del fuo efilio, moftrando, quello effere ingiufto, poichè altro fcufatore non fi levava. L'altra, è quando, rer ragionare di fe, grandiffima utilità ne fegue altrui per via di dottrina; e quella ragione moffe Agoftino nelle fue Confeffioni, a parlare di fe, che per lo proceffo della fua vita, lo quale fu di buono in buono, e di buono in migliore, e di migliore in ottimo, ne diede afemplo, e dottrina, la quale per si vero teftimonio ricevere non fi poteva. Perchè, fe l'una, e l'altra di quefte ragioni mi fcufa fufficientemente il pane del mio formento è purgato dalla prima fua macola. Movemi timore d'in famia, e movemi defiderio, di dottrina dare, la qua. le altri veramente dare non può. Temo la infamia, di santa paffione avere feguita, quanto concepe, chi leg

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