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E non fa sola sè parer piacente;
Ma ciascuna per lei riceve onore:
Ed è negli atti suoi tanto gentile;
Che nessun la si può recare a mente,
Che non sospiri in dolcezza d'amore.

Si

SONETTO XV.

lungamente m' ha tenuto Amore, E costumato alla sua signoria;

Che, così come 'l m' era forte impria,
Così mi sta soave ora nel core:
Però quando mi tolle sì 'l valore,
Che gli spiriti par, che fuggan via;
Allor sente la frale anima mia

Tanta dolcezza, che il viso ne smuore: Poi prende amore in me tanta vertute, Che fa gli spiriti miei andar parlando; Ed escon fuor chiamando *

La donna mia per darmi più salute: Questo m'avvene ovunque ella mi vede; E sì è cosa umil, che nol si crede.

CANZONE III.

Gli occhi dolenti per pietà del core
Hanno di lagrimar sofferta pena;
Sicchè per vinti son rimasi omai:
Ora, s' io voglio sfogare il dolore,
Ch'appoco appoco alla morte mi mena,
Conviemmi di parlar traendo guai:
E perchè 'l mi ricorda, ch' io parlai
Della mia donna, mentre che vivia,

Donne gentili volentier con vui;
Non vo' parlare altrui,

Se non a cor gentil, che 'n donna sia:
E dicerò di lei piangendo pui,

Che se n'è ita in ciel subita mente;
Ed ha lasciato Amor meco dolente.
Ita n'è Beatrice in alto cielo,

Nel reame, ove gli Angeli hanno pace;
E sta con loro; e voi donne ha lasciate:
Non la ci tolse qualità di gelo,
Nè di calor, siccome l'altre face:
Ma sola fu sua gran benignitate,
Che luce della sua umilitate.
Passò li cieli con tanta vertute,
Che fe' meravigliar lo eterno Sire;
Sicchè dolce desire

Lo giunse di chiamar tanta salute;
E fella di quaggiù a sè venire;
Perchè vedea, ch' esta vita noiosa
Non era degna di sì gentil cosa.
Partissi della sua bella persona
Piena di grazia l'anima gentile;
Ed essi gloriosa in loco degno.
Chi non la piange, quando ne ragiona,
Core ha di pietra, sì malvagio e vile,
Ch'entrare non vi può spirto benegno.
Non è di cor villan sì alto ingegno,
Che possa immaginar di lei alquanto;
E però non gli vien di pianger voglia:
Ma vien tristizia, e doglia

Di sospirar, e di morir di pianto,
E d'ogni consolar l'anima spoglia,
Chi vede nel pensero alcuna volta

Quale ella fu; e come ella n'è tolta.
Donanmi angoscia li sospiri forte,
Quando il pensero nella mente grave
Mi reca quella, che m' ha il cor diviso:
E spesse fiate pensando alla morte
Me ne viene un desio tanto soave,
Che mi tramuta lo color nel viso:
Quando l'immaginar mi vien ben fiso,
Giungemi tanta pena d' ogni parte,
Ch' io mi riscuoto per dolor, ch' io sento;
E sì fatto divento,

Che dalle genti vergogna mi parte:

Poscia piangendo, sol nel mio lamento Chiamo Beatrice; e dico: or sei tu morta; E mentre, ch' io la chiamo, mi conforta. Pianger di doglia, e sospirar di angoscia Mi strugge il core, ovunque sol mi truovo; Sicchè ne increscerebbe a chi 'l vedesse: E quale è stata la mia vita poscia, Che la mia donna andò nel secol nuovo, Lingua non è, che dicer lo sapesse: E però, donne mie, perch' io volesse, Non vi saprei ben dicer quel, ch' io sono; Sì mi fa travagliar l' acerba vita; La quale è sì invilita,

Che ogn' uom par mi dica: io t'abbandono Vedendo la mia labbia tramortita.

Ma qual, ch' io sia, la mia donna se'l vede; Ed io ne spero ancor da lei mercede. Pietosa mia canzone, or va piangendo; E ritrova le donne, e le donzelle, A cui le tue sorelle

Erano usate di portar letizia;

E tu, che sei figliuola di tristizia,
Vattene sconsolata a star con elle.

SONETTO XVI.

Venite a intender li sospiri miei,
O cor gentili, che pietà il desia;
Li quali sconsolati vanno via;
E se non fusser, di dolor morrei:
Perocchè gli occhi mi sarebber rei
Molte fiate più, ch' io non vorria,
Lasso, di pianger sì la donna mia;
Ch' affogherieno il cor, piangendo lei:
Voi udirete lor chiamar sovente

La mia donna gentil, che se n'è gita
Al secol degno della sua vertute;
E dispregiare talor questa vita,
In persona dell'anima dolente
Abbandonata dalla sua salute.

BALLATA IV.

Quantunque volte, lasso, mi rimembra,

Ch'io non debbo giammai

Veder la donna, ond' io vo sì dolente; Tanto dolore intorno al cor m' assembra La dolorosa mente,

Ch'io dico: anima mia, che non ten vai?
Che li tormenti, che tu porterai

Nel secol, che t'è già tanto noioso,
Mi fan pensoso di paura forte:
Ond' io chiamo la morte
Come soave, dolce mio riposo:

E dico: vien' a me; con tanto amore,
Ch' io sono astioso di chiunque muore.
E' si raccoglie negli miei sospiri
Un suono di pietate,

Che va chiamando morte tuttavia:
A lei si volser tutti i miei desiri,
Quando la donna mia

Fu giunta dalla sua crudelitate:
Perchè 'l piacere della sua beltate,
Partendo sè dalla nostra veduta,
Divenne spirital bellezza grande,
Che per lo cielo spande

Luce d'amor, che gli Angeli saluta;
E lo 'ntelletto loro alto, e sottile
Face meravigliar, tanto è gentile.

SONETTO XVII.

Era venuta nella mente mia

La gentil donna, che per suo valore Fu posta dall' altissimo Signore Nel ciel dell' umiltate, ov'è Maria. Amor, che nella mente la sentia, S'era svegliato nel distrutto core; E diceva a' sospiri: andate fore; Perchè ciascun dolente sen partia: Piangendo uscivan fuori del mio petto, Con una voce, che sovente mena Le lagrime dogliose agli occhi tristi. Ma quelli, che n' uscian con maggior pena, Venien dicendo: o nobile intelletto, Oggi fa l'anno, che nel ciel salisti.

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