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Fu la mia disianza:
Vostra cera gioiosa,
Poichè passa e avanza
Natura e costumanza,
Bene è mirabil cosa:
Fra lor le donne Dea
Vi chiaman, come sete;
Tanto adorna parete,

Ch'io non saccio contare;

E chi porria pensare oltr' a natura? Oltra natura umana

Vostra fina piacenza
Fece Dio, per essenza
• Che voi foste sovrana;
Perchè vostra parvenza
Ver me non sia lontana;
Or non mi sia villana
La dolce provedenza:
E se vi pare oltraggio,
Ch' ad amarvi sia dato,
Non sia da voi biasmato;
Che solo Amor mi sforza,

Contra cui non val forza, nè misura.

SONETTO I.

Parole mie, che per lo mondo siete;
Voi, che nasceste poich' io cominciai
A dir per quella donna, in cui errai;
Vuci che intendendo il terzo ciel movete:
Andatevene a lei, che la sapete,
Piangendo sì, ch' ella oda i nostri guai:
Ditele: noi sem vostre; dunque omai
Più, che noi semo, non ci vederete.
Con lei non state, che non v'è Amore;
Ma gite attorno in abito dolente,
A guisa delle vostre antiche suore:
Quando trovate donne di valore,
Gittatevile a' piedi umilemente,
Dicendo: a voi dovem noi fare onore.

SONETTO II.

O dolci rime, che parlando andate
Della donna gentil, che l' altre onora;
A voi verrà, se non è giunto ancora,
Un, che direte: questi è nostro frate:
Io vi scongiuro, che non lo ascoltiate,
Per quel Signor, che le donne innamora;
Che nella sua sentenza non dimora
Cosa, che amica sia di veritate.

E se voi foste per le sue parole

Mosse a venir in ver la donna vostra,

Non vi arrestate; ma venite a lei:

Dite: Madonna, la venuta nostra

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per raccomandare un che si duole, Dicendo: ove è 'l desio degli occhi miei?

Questa

SONETTO III.

uesta donna, ch' andar mi fa pensoso,
Porta nel viso la virtù d' Amore;
La qual risveglia dentro nello core
Lo spirito gentil, che v'era ascoso:
Ella m'ha fatto tanto pauroso,

Posciach'io vidi il mio dolce Signore
Negli occhi suoi con tutto il suo valore,
Ch'io le vo presso, e riguardar non l'oso;
E quando avviene, che questi occhi miri,
Io veggio in quella parte la salute;
Che l'intelletto mio non vi può gire:
Allor si strugge sì la mia vertute,
Che l'anima, che muove gli sospiri,
S'acconcia per voler da lei partire.

SONETTO IV.

Chi guarderà giammai senza paura
Negli occhi d' esta bella pargoletta,
Che m' hanno concio sì, che non s' aspetta
Per me se non la morte, che m'è dura?
Vedete quanto è forte mia ventura,

Che fa tra l'altre la mia vita eletta,

Per dare esempio altrui, ch'uom non si metta A rischio di mirar la sua figura:

Destinata mi fu questa finita,

Dacch' un uom convenia esser disfatto,
Perch' altri fosse di pericol tratto:

E però lasso fu' io così ratto

In trarre a me 'l contrario della vita;
Come vertù di stella margherita.

SONETTO V.

Dagli occhi della mia donna si muove
Un lume si gentil, che dove appare,

Si veggion cose ch' uom non può ritrare
Per loro altezza, e per loro esser nove:
E da' suoi raggi sopra 'l mio cor piove
Tanta paura, che mi fa tremare;
E dico: qui non voglio mai tornare;
Ma poscia perdo tutte le mie prove:
E tornomi colà dov' io son vinto,
Riconfortando gli occhi paurosi,
Che sentir prima questo gran valore:
Quando son giunto, lasso, ed ei son chiusi,
E' desio, che gli mena, qui è stinto:
Però proveggia del mio stato Amore.

SONETTO VI.

Lo fin piacer di quello adorno viso
Compose il dardo, che gli occhi lanciaro
Dentro dallo mio cor, quando giraro
Ver me, che sua beltà guardava fiso:
Allor sentii lo spirito diviso

Da quelle membra, che se ne turbaro;
E quei sospiri, che di fore andaro,
Dicean piangendo, che 'l core era anciso;
Là, u' dipoi mi pianse ogni pensiero
Nella mente dogliosa, che mi mostra
Sempre davanti lo suo gran valore:
Ivi un di loro in questo modo al core
Dice: pietà non è la vertù nostra,
Che tu la truovi; e però mi dispero.

BALLATA II.

Poichè saziar non posso gli occhi miei Di guardare a madonna il suo bel viso, Mirerol tanto fiso,

Ch'io diverrò beato, lei guardando.
A guisa d'Angel, che di sua natura,
Stando su in altura,

Diven beato, sol vedendo Iddio;
Così essendo umana criatura,
Guardando la figura

Di questa donna, che tene il cor mio,
Poria beato divenir qui io;

Tant'è la sua vertù, che spande e porge,

Avvegna non la scorge,

Se non chi lei onora desiando.

BALLATA III.

mi son pargoletta bella, e nova; E son venuta per mostrarmi a vui Delle bellezze e loco, dond' io fui. Io fui del cielo e tornerovvi ancora, Per dar della mia luce altrui diletto: E chi mi vede, e non se ne innamora, D' Amor non averà mai intelletto; Che non gli fu in piacere alcun disdetto, Quando natura mi chiese a colui, Che volle donne, accompagnarmi a vui. Ciascuna stella negli occhi mi piove Della sua luce, e della sua vertute: Le mie bellezze sono al mondo nove; Perocchè di lassù mi son venute;

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