Sayfadaki görseller
PDF
ePub

SONETTO XIII.

Se vedi gli occhi miei di pianger vaghi
Per novella pietà, ch' il cor mi strugge
Per lei ti priego, che da te non fugge,
Signor, che tu di tal piacer isvaghi
Con la tua dritta man; cioè, che paghi
Chi la giustizia uccide, e poi rifugge
Al gran tiranno, del cui tosco sugge,
Ch'egli ha già sparto, e vuol che'l mondo allaghi;
E messo ha di paura tanto gelo

Nel cuor de' tuoi fedei, che ciascun tace:
Ma tu, fuoco d' Amor, lume del cielo,
Questa vertù, che nuda e fredda giace,
Levala su vestita del tuo velo;
Che senza lei non è in terra pace.

SONETTO XIV.

Molti volendo dir, che fosse Amore,
Disser parole assai; ma non potero
Dir di lui in parte, ch' assembrasse il vero,
Nè diffinir, qual fosse il suo valore:
Ed alcun fu, che disse, ch' era ardore
Di mente immaginato per pensiero:
Ed altri disser, ch' era desidero
Di voler, nato per piacer del core:
Ma io dico, ch' Amor non ha sustanza,
Nè è cosa corporal, ch' abbia figura;
Anzi è una passione in disianza,
Piacer di forma, dato per natura:
Sicchè 'l voler del core ogni altro avanza;
E questo basta fin che 'l piacer dura.

SONETTO XV.

Per quella via, che la bellezza corre

Quando a destare Amor va nella mente, Passa una donna baldanzosamente,

Come colei, che mi si crede torre.
Quando ella è giunta appiè di quella torre,
Che tace, quando l'animo acconsente,
Ode una voce dir subitamente:

Levati bella donna, e non ti porrez
Che quella donna, che di sopra siede,
Quando di signoria chiese la verga,
Come ella volse, Amor tosto le diede:
E quando quella accomiatar si vede
Di quella parte, dove Amore alberga,
Tutta dipinta di vergogna riede.

SONETTO XVI.

Dagli occhi belli di questa mia dama

Esce una vertù d'Amor sì pina,
Ch'ogni persona, che la ve', s' inchina
A veder lei, e mai altro non brama.
Beltate e cortesia sua Dea la chiama;
E fanno ben, ch' ella è cosa sì fina,
Ch'ella non pare umana, anzi divina;

E

sempre sempre monta la sua fama. Chi l'ama, come può esser contento

Guardando le vertù, che 'n lei son tante; E s' tu mi dici: come 'l sai? che 'l sento: Ma se tu mi domandi, e dici quante? Non til so dire; che non son pur cento, Anzi più d'infinite, e d'altrettante. DANTE. Kime.

9

SONETTO XVII.

Da quella luce, che 'l suo corso gira

Sempre al voler dell' empiree sarte,
E stando regge tra Saturno e Marte,
Secondo che lo Astrologo ne spira,
Quella, che in me col suo piacer ne aspira,
D'essa ritragge signorevol arte;

E quei, che dal ciel quarto non si parte,
Le dà l'effetto della mia desira;

Ancor quel bel pianeta di Mercuro
Di sua vertute sua loquela tinge;
E'l primo ciel di sè già non l'è duro.
Colei, che 'l terzo ciel di se costringe,
Il cor le fa d'ogni eloquenza puro:
Così di tutti i sette si dipinge.

SONETTO XVIII.

Abi lasso, ch' io credea trovar pietate,
Quando si fosse la mia donna accorta
Della gran pena, che lo mio cor porta;
Ed io trovo disdegno e crudeltate,
Ed ira forte in luogo d' umiltate;

Sicch' io m' accuso già persona morta;
Ch'io veggio, che mi sfida e mi sconforta
Ciò, che dar mi dovrebbe sicurtate:
Però parla un pensier, che mi rampogna,
Com' io più vivo, no sperando mai,
Che tra lei, e pietà pace si pogna:
Onde morir pur mi convene omai;
E posso dir, che mal vidi Bologna,
E quella bella donna, ch' io guardai.

BALLATA VI.

Donne, io non so, di che mi preghi Amore,

Ched ei m' ancide, e la morte m'è dura; E di sentirlo meno ho più paura.

Nel mezzo della mia mente risplende

Un lume da' begli occhi, ond' io son vago,
Che l'anima contenta;

Vero è, che ad or ad or d'ivi discende
Una saetta, che m'asciuga un lago
Dal cor pria che sia spenta:

Ciò face Amor, qual volta mi rammenta
La dolce mano e quella fede pura,
Che dovrìa la mia vita far sicura.

BALLATA VII.

Voi, che sapete ragionar d' Amore,

Udite la ballata mia pietosa,

Che parla d' una donna disdegnosa, La qual m' ha tolto il cor per suo valore. Tanto disdegna qualunque la mira,

Che fa chinare gli occhi per paura; Che d'intorno da' suoi sempre si gira D'ogni crudelitate una pintura; Ma dentro portan la dolce figura, Ch' all'anima gentil fa dir: mercede; Si vertuosa, che, quando si vede, Trae li sospiri altrui fora del core. Par ch' ella dica: io non sarò umile Verso d'alcun, che negli occhi mi guardi; Ch' io ci porto entro quel Signor gentile, Che m'ha fatto sentir degli suoi dardi:

E certo io credo, che così gli guardi
Per vedergli per sè, quando le piace:
A quella guisa donna retta face,
Quando si mira per volere onore.
Io no spero, che mai per la pietate
Degnasse di guardare un poco altrui;
Così è fera donna in sua beltate

Questa, che sente Amor negli occhi sui;
Ma quanto vuol nasconda, e guardi lui,
Ch'io non veggia talor tanta salute;
Perocchè i miei desiri avran vertute
Contra il disdegno, che mi dà Amore.

SONETTO XIX.

Madonne, deh vedeste voi l'altr' ieri
Quella gentil figura, che m' ancide?
Io dico, che quand' ella un po' sorride
Ella distrugge tutti i miei pensieri;
Sicchè giugne nel cuor colpi sì fieri,
Che della morte par, che mi disfide:
Però, Madonne, qualunque la vide,
Se l'encontrate per via, ne' sentieri,
Restatevi con lei per pietate;
E umilmente la facete accorta,
Che la mia vita per lei morte porta:
E s'ella vuol, che sua mercè conforta
L'anima mia, piena di gravitate;
A dirlo a me lontano lo mandate.

« ÖncekiDevam »