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LIBRO TERZO

CANZONE I.

Così nel mio parlar voglio esser aspro,
Come è negli atti questa bella pietra;
La quale ogn' ora impetra

Maggior durezza, e più natura cruda;
E veste sua persona d' un diaspro;
Talchè per lui, o perch' ella si arretra,
Non esce di faretra

Saetta, che giammai la colga ignuda:

Ed ella ancide, e non val, ch' uom si chiuda, Nè si dilunghi da' colpi mortali;

Che come avessero ali,

Giungono altrui, e spezzan ciascuna arme: Perch' io non so da lei, nè posso aitarme. Non trovo scudo, ch'ella non mi spezzi; Nè luogo, che dal suo viso m' asconda: Ma come fior di fronda,

Così della mia mente tien la cima:

Cotanto del mio mal par, che si prezzi, Quanto legno di mar, che non lieva onda: Lo peso, che m' affonda,

E tal, che nol potrebbe adeguar rima:

Ahi angosciosa, e dispietata lima,
Che sordamente la mia vita scemi.
Perchè non ti ritemi

Rodermi così il core a scorza a scorza,
Com'io di dire altrui, chi ti dà forza?
Che più mi trema il cor, qualora io penso
Di lei in parte, ove altri gli occhi induca,
Per tema, non traluca

Lo mio pensier di fuor, sicchè si scopra;
Ch'io non fo della morte, che ogni senso
Colli denti d' Amor già si manduca
Ciò, che nel pensier bruca

La mia virtù, sicchè n' allenta l'opra.
El m' ha percosso in terra, e stammi sopra
Con quella spada, ond' egli uccise Dido,
Amore; a cui io grido,

Mercè chiamando, ed umilmente il priego:
E quei d'ogni mercè par messo al niego.
Egli alza ad or ad or la mano, e sfida
La debole mia vita esto perverso,
Che disteso, e riverso

Mi tiene in terra d'ogni guizzo stanco:
Allor mi surgon nella mente strida;
E'l sangue, ch'è per le vene disperso,
Fuggendo, corre verso

Lo cor, che 'l chiama; ond' io rimango bianco.

Egli mi fiere sotto il braccio manco

Si forte, che 'l dolor nel cor rimbalza:
Allor dic' io: s' egli alza

Un'altra volta, morte m'avrà chiuso
Prima che 'l colpo sia disceso giuso.
Così vedess' io lui fender per mezzo
Lo core alla crudele, ch' il mio squatra:

Poi non mi sarebbe atra

La morte, ov'io per sua bellezza corro:
Che tanto dà nel Sol, quanto nel rezzo
Questa scherana micidiale e latra:
Oimè, perchè non latra

Per me, com' io per lei nel caldo borro?
Che tosto griderei: io vi soccorro;

E farei volentier, siccome quelli,
Che ne' biondi capelli,

Ch' Amor per consumarmi increspa e dora,
Metterei mano, e sazieremi allora.

S' io avessi le bionde trecce prese,

Che fatte son per me scudiscio e ferza;
Pigliandole anzi terza,

Con esso passerei vespro e le squille:
E non sarei pietoso, nè cortese;

Anzi farei come orso, quando scherza:
Es' Amor me ne sferza,

Io mi vendicherei di più di mille:

E' suoi begli occhi, onde escon le faville,
Che m'infiammano il cor, ch'io porto anciso,
Guarderei presso e fiso,

Per vendicar lo fuggir, che mi face;
E poi le renderei con amor pace;
Canzon, vattene dritto a quella donna,
Che m' ha ferito il core, e che m'invola
Quello, ond' io ho più gola;

E dalle per lo cor d'una saetta;

Che bello onor s'acquista in far vendetta.

CANZONE II.

Amor, che muovi tua vertù dal cielo,

Come 'l Sol lo splendore,

Che là si apprende più lo suo valore,
Dove più nobiltà suo raggio trova;
E come el fuga oscuritate e gelo,
Così, alto Signore,

Tu scacci la viltate altrui del core,
Nè ira contra te fa lunga prova;

Da te convien, che ciascun ben si mova,
Per lo qual si travaglia il mondo tutto:
Senza te è distrutto

Quanto avem in potenza di ben fare;
Come pintura in tenebrosa parte,
Che non si può mostrare,

Nè dar diletto di color, nè d'arte.
Feremi il core sempre la tua luce,
Come raggio la stella,

Poichè l'anima mia fu fatta ancella

Della tua podestà primieramente:

Onde ha vita un pensier, che mi conduce, Con sua dolce favella,

A rimirar ciascuna cosa bella

Con più diletto, quanto è più piacente:
Per questo mio guardar m' è nella mente
Una giovene entrata, che m'ha preso;
Ed hammi in foco acceso,

Come acqua per chiarezza foco accende:
Perchè nel suo venir li raggi tuoi,

Con li quai mi risplende,

Saliron tutti su negli occhi suoi.

Quanto è nell' esser suo bella e gentile

Negli atti, ed amorosa;

Tanto lo immaginar, che non si posa,
L'adorna nella mente, ov' io la porto:
Non che da se medesmo sia sottile
A così alta cosa;

Ma dalla tua vertute ha quel, ch' egli osa
Oltra il poder, che natura ci ha porto:
È sua beltà del tuo valor conforto,
In quanto giudicar si puote effetto
Sovra degno suggetto,

In guisa che il Sol segno di foco;
Lo qual non dà a lui, nè to' vertute;
Ma fallo in altro loco

Nell' effetto parer di più salute.
Dunque, Signor di sì gentil natura,
Che questa nobilitate,

Che vien quaggiuso, e tutta altra bontate,
Lieva principio della tua altezza;
Guarda la vita mia, quanto ella è dura,
E prendine pietate:

Che lo tuo ardor per la costei beltate
Mi fa sentire al cor troppa gravezza:
Falle sentire, Amor, per tua dolcezza
Il gran disio, ch' io ho di veder lei:
Non soffrir, che costei

Per giovinezza mi conduca a morte;
Che non s'accorge ancor, com' ella piace,
Ne come io l'amo forte,

Nè che negli occhi porta la mia pace.
Onor ti sarà grande, se m' aiuti,

Ed a me ricco dono;

Tanto quanto conosco ben, ch' io sono
Là ov' io non posso difender mia vita;

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