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I。

Che gli spiriti miei son combattuti
Da tal ch'io non ragiono

(Se per tua volontà non han perdono)
Che possan guari star senza finita:
Ed ancor tua potenza fia sentita
In questa bella donna, che n'è degna;
Che par, che si convegna

Di darle d'ogni ben gran compagnia;
Come a colei: che fu nel mondo nata
Per aver signoria

Sovra la mente d' ogni uom, che la guata.

CANZONE III.

sento sì d' Amor la gran possanza,

Ch' io non posso durare

Lungamente a soffrire; ond' io mi doglio;
Perocche 'l suo valor sì pure avanza,

E'l mio sento mancare;

Sicch' io son meno ognora, ch'io non soglio.
Non dico, ch' Amor faccia più, ch'io voglio;
Che se facesse quanto il voler chiede,
Quella vertù, che natura mi diede,
Nol sofferria, perocch'ella è finita:

E questo e quello; ond' io prendo cordoglio,
Ch' alla voglia il poder non terrà fede:
Ma (se di buon voler nasce mercede)
Io la dimando per aver più vita

A quei begli occhi, il cui dolce splendore
Porta conforto, ovunque io senta amore.
Entrano i raggi di questi occhi belli
Ne' miei innamorati;

E portan dolce, ovunque io sento amaro:

E fanno lor cammin, siccome quelli,
Che già vi son passati;

E sanno il loco, dove Amor lasciaro,
Quando per gli occhi miei dentro il menaro:
Perchè mercè, volgendosi a me fanno;
E di colei, cui son, procaccian danno,
Celandosi da me; poi tanto l'amo,
Che sol per lei servir mi tengo caro;
E' miei pensier, che pur d'amor si fanno,
Come a lor segno al suo servigio vanno:
Perchè l' adoperar sì forte bramo.
Che (s' io l' credessi far, fugendo lei)
Lieve saria; ma so ch' io ne morrei.
Bene è verace amor quel che m' ha preso,
E ben mi stringe forte;

Quand' io farei quel, ch' io dico, per lui:
Che nullo amore è di cotanto peso,
Quanto è quel che la morte

Face piacer, per ben servire altrui;
Ed in cotal voler fermato fui

Si tosto, come il gran desio, ch' io sento,
Fu nato per vertù del piacimento,
Che nel bel viso d'ogni bel s' accoglie.
Io son servente; e quando penso a cui,
Quel che ella sia, di tutto son contento;
Che l'uom può ben servir contra talento:
E se mercè giovinezza mi toglie,

Aspetto tempo, che più ragion prenda;
Purchè la vita tanto si difenda.

Quando io penso un gentil desio, ch'è nato
Del gran desio ch'io porto,

Ch' a ben far tira tutto 'l mio potere;
Parmi esser di mercede oltre pagato;

Ed anchè più, che a torto

Mi par di servidor nome tenere:

Così dinanzi agli occhi del piacere

Si fa servir mercè d' altrui bontate:
Ma poich' io mi ristringo a veritate,
Convien, che tal desio servigio conti;
Perocchè, s' io procaccio di valere,
Non penso tanto a mia propietate,
Quanto a colei, che m' ha in sua podestate;
Che 'l fo, perchè sua cosa in pregio monti;
Ed io son tutto suo, così mi tegno;
Ch' Amor di tanto onor m'ha fatto degno.
Altri ch' Amor non mi potea far tale,
Ch'io fossi degnamente

Cosa di quella, che non s'innamora;
Ma stassi come donna, a cui non cale
Della amorosa mente,

Che senza lei non può passare un' ora:
Io non la vidi tante volte ancora,
Ch' io non trovassi in lei nova bellezza;
Onde Amor cresce in me la sua grandezza
Tanto, quanto 'l piacer novo s' aggiugne:
Perch'egli avvien, che tanto fo dimora
In uno stato, e tanto Amor m'avvezza
Con un martiro, e con una dolcezza,
Quanto è quel tempo, che spesso mi pugne;
Che dura dacch' io perdo la sua vista
Infino al tempo, ch' ella si racquista.
Canzon mia bella, se tu mi somigli,
Tu non sarai sdegnosa

Tanto, quanto alla tua bontà si avviene;
Ond' io ti prego, che tu ti assottigli,
Dolce mia amorosa,

DANTE. Rime.

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In prender modo e via, che ti stea bene. Se Cavalier t'invita, o ti ritiene, Innanzi che nel suo piacer ti metta, Spia, se far lo puoi della tua setta, E se non puote, tosto l'abbandona, Che il buon col buon sempre camera tiene: Ma egli avvien, che spesso altri si getta In compagnia, che non ha, che disdetta Di mala fama, ch' altri di lui suona; Con rei non star, nè ad ingegno, nè ad arte, Che non fu mai saver tener lor parte. Canzone, a' tre men rei di nostra terra Ten andrai anzi, che tu vadi altrove: Li due saluta; e l'altro fa, che prove Di trarlo fuor di mala setta impria: Digli, che 'l buon col buon non prende guerra, Prima, che co' malvagi vincer prove: Digli, ch'è folle chi non si rimove Per tema di vergogna da follia; Che quegli teme, c' ha del mal paura; Perchè, fuggendo l' un, l'altro si cura.

CANZONE IV.

E'm' incresce di me sì malamente,

Ch' altrettanto di doglia

Mi reca la pietà, quanto 'l martiro:
Lasso, però che dolorosamente
Sento contra mia voglia

Raccoglier l'aer del sezza' sospiro

Entro quel cor, ch' e' begli occhi feriro,
Quando gli aperse Amor con le sue mani
Per conducermi al tempo, che mi sface:

Oiare, quanto piani,

Soavi e dolci ver me si levaro,
Quando egli incominciaro

La morte mia, ch'or tanto mi dispiace,
Dicendo: il nostro lume porta pace.
Noi darem pace al core, a voi diletto,
Dicieno agli occhi miei

Quei della bella donna alcuna volta:
Ma poichè sepper di loro intelletto,
Che per forza di lei

M' era la mente già ben tutta tolta;

Con le insegne d' Amor dieder la volta,
Sicchè la lor vittoriosa vista

Non si rivide poi una fiata:
Onde è rimasa trista

L'anima mia, che n' attendea conforto;
Ed ora quasi morto

Vede lo core, a cui era sposata;
E partir le conviene innamorata.
Innamorata se ne va, piangendo,
Fuora di questa vita,

La sconsolata, che la caccia Amore:
Ella si muove quinci, sì dolendo,
Ch' anzi la sua partita

L'ascolta con pietate il suo Fattore.
Ristretta s'è entro il mezzo del core
Con quella vita, che rimane spenta
Solo in quel punto, ch' ella sen va via:
E quivi si lamenta

D' Amor, che fuor d'esto mondo la caccia;
E spesse volte abbraccia

Gli spiriti, che piangon tuttavia;
Perocchè perdon la lor compagnia.

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