E poi s'accorse, ch'ella era mia donna, Per lo tuo raggio, ch' al volto mi luce, D'ogni crudelità si fece donna;
Sicchè non par, ch'ella abbia cuor di donna, Ma di qual fiera l'ha d'amor più freddo; Che per lo caldo tempo, e per lo freddo Mi fa sembianti pur come una donna, Che fosse fatta d'una bella pietra
Per man di quel, che m' intagliasse in pietra. Ed io, che son costante più, che pietra In ubbidirti per beltà di donna, Porto nascoso il colpo della pietra, Con la qual mi feristi, come pietra, Che t'avesse noiato lungo tempo; Talchè mi giunse al core, ov' io son pietra, E mai non si scoperse alcuna pietra, O da vertù di Sole, o da sua luce, Che tanta avesse nè vertù, nè luce, Che mi potesse atar da questa pietra; Sicch' ella non mi meni col suo freddo Colà, dov' io sarò di morte freddo. Signor, tu sai, che per algente freddo L'acqua diventa cristallina pietra Là sotto tramontana, ov' è il gran freddo: E l'aer sempre in elemento freddo Vi si converte sì, che l'acqua è donna In quella parte per cagion del freddo: Così dinanzi dal sembiante freddo
Mi ghiaccia il sangue sempre d'ogni tempo; E quel pensier, che più m' accorcia il tempo, Mi si converte tutto in corpo freddo; Che m'esce poi per mezzo della luce, Là onde entrò la dispietata luce.
In lei s'accoglie d' ogni beltà luce; Così di tutta crudeltate il freddo Le corre al core, ove non è tua luce; Perchè negli occhi sì bella mi luce, Quando la miro, ch' io la veggio in pietra, O in altra parte, ch' io volga mia luce. Dagli occhi suoi mi vien la dolce luce, Che mi fa non caler d'ogni altra donna: Così foss' ella più pietosa donna
Ver me, che chiamo di notte, e di luce, Solo per lei servire, e luogo, e tempo; Nè per altro desio viver gran tempo. Però vertù, che sei prima, che tempo, Prima che moto, o che sensibil luce; Increscati di me, c'ho sì mal tempo: Entrale in core omai, che n'è ben tempo; Sicchè per te se n'esca fuora il freddo, Che non mi lascia aver, com' altri, tempo; Che se mi giunge lo tuo forte tempo In tale stato; questa gentil pietra Mi vedrà coricare in poca pietra Per non levarmi, se non dopo il tempo, Quando vedrò, se mai fu bella donna Nel mondo, come questa acerba donna. Canzone, io porto nella mente donna
Tal, che con tutto ch'ella mi sia pietra, Mi dà baldanza, ov'ogni uom mi par freddo; Sicch'io ardisco a far per questo freddo La novità, che per tua forma luce, Che mai non fu pensata in alcun tempo.
Voi, che, intendendo, il terzo ciel movete,
Udite il ragionar, che è nel mio core; Che nol so dire altrui, sì mi par novo: Il ciel, che segue lo vostro valore, Gentili criature, che voi sete,
Mi tragge nello stato, ov' io mi trovo: Onde il parlar della vita, ch'io provo, Par, che si drizzi drittamente a vui; Però vi prego, che lo m'intendiate: Io vi dirò del cor la novitate, Come l'anima trista piange in lui; E come un spirto contro lei favella, Che vien pe' raggi della vostra stella. Suol esser vita dello cor dolente Un soave pensier, che se ne gia Spesse fiate a' piè del vostro sire: Ove una donna gloriar vedia, Di cui parlava a me sì dolcemente, Che l'anima dicea: io men vo' gire. Ora apparisce chi lo fa fuggire; E signoreggia me di tal vertute,
Che 'l cor ne trema sì, che fuori appare: Questi mi face una donna guardare; E dice: chi veder vuol la salute, Faccia, che gli occhi d'esta donna miri; Sed ei non teme angoscia di sospiri. Trova contraro tal, che lo distrugge L'umil pensiero, che parlar mi suole D'un' Angiola, che 'n cielo è coronata; L'anima piange sì, che ancor le duole; E dice: o lassa me, come si fugge Questo pietoso, che m' ha consolata. Degli occhi miei dice questa affannata: Qualora fu, che tal donna gli vide; E perchè non credeano a me di lei? Io dicea ben: negli occhi di costei De' star colui, che li miei pari occide; E non mi valse, ch' io ne fossi accorta, Che nol mirasser tal, ch'io ne son morta. Tu non se' morta, ma se' sbigottita, Anima nostra, che sì ti lamenti, Dice uno spiritel d'amor gentile: Che questa bella donna, che tu senti, Ha trasmutata in tanto la tua vita, Che n'ha paura; si è fatta vile: Mira quanto ella è pietosa, ed umile, Cortese e saggia nella sua grandezza; E pensa di chiamarla donna omai: Che se tu non t' inganni, ancor vedrai Di si alti miracoli adornezza,
Che tu dirai: Amor, signor verace, Ecco l'ancella tua, fa che ti piace. Canzone, io credo, che saranno radi Color, che tua ragione intendan bene; DANTE. Rime.
Tanto lor parli faticoso e forte: Ma se per avventura egli addiviene, Che tu dinanzi da persone vadi, Che non ti paian d'essa bene accorte; Allor ti prego, che tu ti conforte, E dichi lor, diletta mia novella: Ponete mente almen, com' io son bella.
Amor, che nella mente mi ragiona
Della mia donna disiosamente, Muove cose di lei meco sovente, Che lo 'ntelletto sovr' esse disvia: Lo suo parlar si dolcemente suona, Che l'anima, ch' ascolta, e che lo sente, Dice: oimè lassa, ch' io non son possente Di dir quel, ch' odo della donna mia. E certo e' mi convien lassare in pria, S" io vo' cantar di quel, ch' odo di lei, Ciò, che lo mio intelletto non comprende; E di quel, che s'intende
Gran parte, perchè dirlo non saprei: Però se le mie rime avran difetto, Ch'entraron nella loda di costei, Di ciò si biasmi il debile intelletto, E' parlar nostro, che non ha valore Di ritrar tutto ciò, che parla Amore. Non vede il Sol, che tutto il mondo gira, Cosa tanta gentil, quanto in quell' ora, Che luce nella parte, ove dimora La donna, di cui dire Amor mi face; Ogni 'ntelletto di lassù la mira,
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