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Ed una ne venia quasi primiera,

Seco menando Amor dal destro lato.
Dagli occhi suoi gittava una lumiera,
La qual pareva un spirito infiammato;
El i' ebbi tanto ardir, che la sua cera
Gaardando, vidi un Angiol figurato.
A chi era degno poi dava salute

Con gli occhi suoi quella benigna e piana, Enpiendo il core a ciascun di virtute. Credo, che in ciel nascesse esta soprana, E venne in terra per nostra salute; Dunque beata chi l'è prossimana.

BALLATA I.

Quando il consiglio degli augei si tenne,

Di nicistà convenne,

Che ciascun comparisse a tal novella;
E la Cornacchia, maliziosa e fella,
Penso mutar gonnella,

E da molti altri augei accattò penne:
E adorrossi, e nel consiglio venne;
Ma pcco si sostenne,

Perchè pareva sopra gli altri bella.
Alcun domandò l'altro: chi è quella?
Sicchè finalment' ella

Fu conosciuta. Or odi che n'avvenne.
Che tutti gli altri augei le fur d'intorno;
Sicchè senza soggiorno

La pelar sì, ch' ella rimase ignuda:
E l'un dicea: or vedi bella druda.
Dicea l'altro: ella muda;

E così la lasciaro in grande scorno.

Similemente addivien tutto giorno
D'uomo, che si fa adorno

Di fama o di virtù, ch'altrui dischiuda:
Che spesse volte suda

Dell' altrui caldo, talchè poi agghiaccia;
Dunque beato chi per sè procaccia.

SONETTO III.

Un dì si venne a me melanconia,
E disse: voglio un poco stare teco;
E parve a me, che si menasse seco
Dolor, ed ira per sua compagnia.
Ed io le dissi: partiti, va via;

Ed ella mi rispose, come un greco;
E ragionando a grand' agio meco,
Guardai, e vidi Amore, che venia
Vestito di novo di un drappo nero;
E nel suo capo portava un cappello,
E certo lacrimava pur da vero:
Ed io gli dissi: che hai, cattivello?
Ed ei rispose: io ho guai, e pensero;
Che nostra donna muor, dolce fratello.

SONETTO IV.

Messer Brunetto, questa pulzelletta
Con esso voi si vien la pasqua a fare;
Non intendete pasqua da mangiare,
Ch'ella non mangia, anzi vuol esser letta.
La sua sentenza non richiede fretta,
Nè luogo di romor, nè da giullare;
Anzi si vuol più volte lusingare,

Prima che in intelletto altrui si metta.
Se voi non la 'ntendete in questa guisa,

In vostra gente ha molti frati Alberti,
D' intender ciò, che porto loro in mano.
Color, v' me stringete senza risa,

E se gli altri de' dubbii non son certi,
Ricorrete alla fine a Messer Giano.

CANZONE I.

Io miro i crespi e gli biondi capegli,

De'quali ha fatto per me rete Amore,
Di un fil di perle, e quando di un bel fiore,
Per me pigliare; e trovo ch' egli adesca:
E pria riguardo dentro gli occhi begli,
Che passan per gli miei dentro dal core,
Con tanto vivo e lucente splendore,
Che propiamente par, che dal Sol esca.
Vertù mostra così, che in lor più cresca,
Ond' io, che sì leggiadri star gli veggio,
Così fra me, sospirando ragiono.
Oimè, perchè non sono

A sol a sol con lei, ov' io la chieggio?
Sicch' io potessi quella treccia bionda
Disfarla ad onda ad onda;

E far de' suoi begli occhi a' miei due specchi,
Che lucon sì, che non trovan parecchi.

Poi guardo l' amorosa, e bella bocca,

La spaciosa fronte, e il vago piglio,

Li bianchi diti, e il dritto naso, e il ciglio
Pulito, e brun, talchè dipinto pare.
Il vago mio pensier allor mi tocca
Dicendo: vedi allegro dar di piglio

Dentro a quel labbro sottile, e vermiglio,
Dove ogni dolce, e saporoso pare.
Deh, odi il suo vezzoso ragionare
Quanto ben mostra morbida, e pietosa,
E come il suo parlar parte e divide:
Mira, che quando ride,

Passa ben di dolcezza ogni altra cosa:
Così di quella bocca il pensier mio

Mi sprona, perchè io

Non ho nel mondo cosa, che non desse
A tal ch' un sì, con buon voler, dicesse.
Poi guardo la sua svelta, e bianca gola
Commessa ben dalle spalle, e dal petto;
E il mento tondo, fesso e piccioletto,
Talchè più bel cogli occhi nol disegno.
E quel pensier, che sol per lei m'invola,
Mi dice: vedi allegro il bel diletto
Aver quel collo fra le braccia stretto,
E far in quella gola un picciol segno.
Poi sopraggiugne, e dice: apri lo 'ngegno;
Se le parti di fuor son così belle,

L'altre, che den parer, che asconde, e copre?
Che sol per le bell' opre,

Che fanno in ciel il Sole, e l'altre stelle,
Dentro in lui si crede il Paradiso;

Così se guardi fiso,

Pensar ben dei, ch' ogni terren piacere

Si trova dove tu non puoi vedere.
Poi guardo i bracci suoi distesi, e grossi,
La bianca mano morbida, e polita;
Guardo le lunghe, e sottilette dita,
Vaghe di quello anel, che l' un tien cinto;
E il mio pensier mi dice; or se tu fossi

Dentro a que' bracci fra quella partita;
Tanto piacer avrebbe la tua vita,

Che dir per me non si potrebbe il quinto.
Vedi, ch' ogni suo membro par depinto,
Formosi, e grandi, quanto a lei si avvene,
Con un color angelico di perla:
Graziosa a vederla,

E disdegnosa, dove si convene;
Umile, vergognosa, e temperata,
E sempre a vertù grata

Intra' suoi be' costumi un atto regna,
Che d'ogni riverenza la fa degna.
Soave a guisa va di un bel pavone,
Diritta sopra sè, come una grua.
Vedi, che propriamente ben par sua
Quanto esser puote onesta leggiadria;
E se ne vuoi veder viva ragione,
Dice il pensier: guarda alla mente tua
Ben fissamente, allorch' ella s' indua
Con donna, che leggiadra, e bella sia:
E come move, par che fugga via
Dinanzi al Sol ciascun' altra chiarezza;
Così costei ogni adornezza sface.
Or vedi, s' ella piace,

Che Amore è tanto, quanto sua beltate;
E somma, e gran beltà con lei si trova:
Quel, che le piace, e giova,

È sol d' onesta, e di gentil usanza;

Ma solo in suo ben far prende speranza. Canzon, tu puoi ben dir sta veritate:

Posciachè al mondo bella donna nacque,
Nessuna mai non piacque
Generalmente, quanto fa costei;

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