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Canzon, odir si può la tua ragione;
Ma non intender sì, che sia approvata,
Se non da innamorata,

E gentil alma, dove Amor si pone:
E però tu sai ben, con quai persone
Dei gir a star, per esser onorata:
E quando sei guardata,

No sbigottir nella tua openione;
Che ragion ti assicura, e cortesia:
Dunque ti metti in via chiara e palese
D'ogni cortese, ed umile' servente;
Liberamente, come vuoi, ti appella,
E di', che sei novella d' un, che vide
Quello Signor, che, chi lo sguarda, occide.

CANZONE VII.

Io non pensava, che lo cor giammai

Avesse di sospir tormento tanto,
Che dall' anima mia nascesse pianto;
Mostrando per lo viso gli occhi morte.
Non sentì pace mai, nè riso alquanto,
Posciachè Amor, e madonna trovai;
Lo qual mi disse: tu non camperai,
Che troppo è lo valor di costei forte:
La mia vertù si partì sconsolata,
Poichè lasciò lo core

Alla battaglia, ove madonna è stata,
La qual dagli occhi suoi venne a ferire
In tal guisa, che Amore

Ruppe tutti i miei spiriti a fuggire.
Di questa donna non si può contare,
Che di tante bellezze adorna viene,

Che mente di quaggiù non la sostiene;
Sicchè la veggia lo intelletto nostro:
Tanto è gentil, che quando penso bene,
L'anima sento per lo cor tremare;
Siccome quella, che non può durare
Davante al gran dolor, che a lei dimostro.
Per gli occhi fiere la sua claritate,
Sicchè qual uom mi vede,

Dice: non guardi me questa pietate,
Che posta è 'n vece di persona morta,
Per dimandar mercede:

E non se n'è madonna ancora accorta.
Quando mi ven pensier, ch' io voglia dire
A gentil core della sua vertute,
Io trovo me di sì poca salute,

Ch'io non ardisco di star nel pensiero:
Che Amor alle bellezze sue vedute,
Mi sbigottisce sì, che sofferire
Non puote il cor sentendola venire;
Che sospirando dice: io ti despero;
Perocch' io trassi del suo dolce riso
Una saetta acuta,

Che ha passato il tuo, e il mio diviso:
Amor, tu sai allora, ch' io ti dissi,
Poichè l' avei veduta,

Per forza converrà, che tu morissi.
Canzon, tu sai, che dei labbri d'Amore
Io ti sembrai, quando madonna vidi:
Però ti piaccia, che di te mi fidi;
Che vadi in guisa a lei, ch' ella t'ascolti
E prego umilemente, a lei tu guidi
Gli spiriti fuggiti del mio core,
Che per soverchio dello suo valore

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Eran destrutti, se non fosser volti;

E vanno soli senza compagnia,

Per via troppo aspra e dura:
Però gli mena per fidata via;
Poi le di', quando le sarai presente:
Questi sono in figura

D'un, che si more sbigottitamente.

CANZONE VIII.

L'alta speranza, che mi reca Amore,

D' una donna gentile, ch' ho veduta,
L'anima mia dolcemente saluta:

E falla rallegrar dentro lo core;
Onde si face, a quel, ch'ell' era, strana;
E conta novitate,

Come venisse di parte lontana;

Che quella donna piena d' umiltate,
Giugne cortese, e umana,

E posa nelle braccia di pietate.

Escon tali sospir d' esta novella,

Ch' io mi sto solo, perchè altri non gli oda,

E intenda Amor, come madonna loda,

Che mi fa viver sotto la sua stella.

Dice il dolce Signor: questa salute
Voglio chiamar laudando

Per ogni nome di gentil virtute,
Che propiamente tutte ella adornando,
Sono in essa cresciute,

Ch'a buona invidia si vanno adastando.
Non può dir, nè saper quel che somiglia,

Se non chi sta nel Ciel, chi è di lassuso;
Perch' esser non ne può già cor astiuso;

Che non ha invidia quel, c' ha meraviglia,
Lo quale vizio regna ov'è paraggio:

Ma questa è senza pare;

E non so esemplo dar, quanto ella è maggio. La grazia sua, a chi la può mirare,

Discende nel coraggio,

E non vi lascia alcun difetto stare.
Tant'è la sua vertute e la valenza,
Ched ella fa meravigliar lo Sole:
E per gradire a Dio in ciò, ch' ei vuole,
A lei s' inchina e falle riverenza.
Adunque, se la cosa conoscente

La 'ngrandisce ed onora,

Quanto la de' più onorar la gente?
Tutto ciò, ch'è gentil, sen' innamora;
L'aer ne sta gaudente,

E'l Ciel piove dolcezza u' la dimora.
lo mi sto sol come uom, che pur desia
Di veder lei, sospirando sovente;
Perocch' io mi riguardo nella mente,
E trovo, ched ella è la donna mia;
Onde m' allegra Amor, e fammi umile
Dell' onor, che mi face:

Ch'io son di quella, ch'è tanto gentile;
E le parole sue son vita, e pace;
Ch'è sì saggia, e sottile,

Che d'ogni cosa ella tragge il verace.
Sta nella mente mia, come la vidi,

Di dolce vista, e d'umile sembianza:
Onde ne tragge Amor una speranza,
Di che il cor pasce, e vuol, che in ciò si fidi.
In questa speme è tutto il mio diletto,
Ch'è così nobil cosa,

Che solo per veder tutto il suo affetto
Questa speranza palese esser osa;
Ch'altro già non affetto,

Che veder lei, ch'è di mia vita posa.
Tu mi pari, Canzon, sì bella, e nova,
Che di chiamarti mia non aggio ardire:
Dì, che ti fece Amor, se vuoi ben dire,
Dentro al mio cor, che sua valenza prova;
E vuol, che solo allo suo nome vadi
A color, che son sui

Perfettamente, ancor ched ei sian radi:
Dirai: io vegno a dimorar con vui;
E prego, che vi aggradi,

Per quel Signor, da cui mandata fui.

CANZONE IX.

Oimè, lasso, quelle trecce bionde,

Dalle quai rilucieno

D' aureo color gli poggi d'ogn' intorno;
Oimè la bella cera, e le dolci onde,

Che nel cor mi sedieno,

Di quei begli occhi al ben segnato giorno; Oimè, il fresco, ed adorno,

E rilucente viso;

Oimè, il dolce riso,

Per lo qual si vedea la bianca neve
Fra le rose vermiglie d'ogni tempo;

Oimè, senza meve,

Morte, perchè togliesti sì per tempo? Oimè, caro diporto, e bel contegno; Oimè, dolce accoglienza,

Ed accorto intelletto, e cor pensato.

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