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servo perchè allora pare loro solamente essere donne quando male adoperando non vengano al fine che i fanti fanno. Perchè voglio io andare particularmente dimostrando quello che gli più sanno? io giudico che fia meglio il tacersi che dispiacere, parlando, alle vaghe donne. Chi non sa, che tutte le altre cose si pruovano in prima che colui da cui debbono esser comperate, le prenda, se non la moglie, acciocchè prima non dispiaccia che sia menata? A ciascuno, che la prende, la conviene avere non tale quale egli la vorrebbe, ma tale quale la fortuna gliele concede. E se le cose che di sopra sono dette sono vere (che 'l sa bene chi provato l' ha), possiamo pensare quanti dolori nascondano le camere, le quali di fuori, da chi non ha occhi la cui perspicacia trapassi le mura, sono riputate diletti? Certo io non affermo queste cose a Dante essere addivenute,che non lo so; comechè vero sia che cose simili a queste, o altre che ne fussino cagione, egli una volta da lei partitosi, che per consolazione de' suoi affanni gli era stata data, mai nè dove ella fusse volle venire, nè sofferse che dove egli fusse ella venisse giammai, contuttochè di più figliuoli egli insieme con lei fusse parente. Nè creda alcuno che io per le sopraddette parole voglia conchiudere, gli uomini non dover torre moglie; anzi il lodo molto ma non a ciascuno. Lascino i filosofanti lo sposarsi a' ricchi stolti, a' signori e a' lavoratori; ed essi colla filosofia si dilettino la quale è molto migliore sposa cle alcuna altra.

Cure familiari, onori ed esilio di Dante.

Natura generale è delle cose temporali l'una l'altra tirarsi dirieto. La famigliare cura trasse Dante alla repubblica; nella quale tanto lo avvilupparono i vani onori che a' pubblici uffizi congiunti sono, che senza guardare d' onde s'era partito e dove andava con abbandonate redini quasi al tutto al governo di quella si diede; e fugli in ciò tanto la fortuna seconda, che niuna legazione si ascoltava, a niuna si rispondeva, niuna legge si riformava, da niuna si derogava, niuna pace si faceva, niuna guerra pubblica s' imprendeva, e brievemente, niuna diliberazione la quale alcuno pondo portasse si pigliava, se egli in ciò non desse in prima la sua sentenza. In lui tutta la pubblica fede, in lui ogni speranza, in lui sommariamente le cose divine e le umane pareano essere fermate. Ma la fortuna nimica de' nostri consigli e volgitrice d'ogni umano stato, comechè per alquanti anni nel colmo della sua rota gloriosamente reggendo il tenesse, assai diverso fine al principio arrecò a lui, in lei fidantesi di soperchio.

Era al tempo di costui la fiorentina cittadinanza in due parti perversissimamente divisa, e colle operazioni de' sagacissimi ed avveduti principi di quelle era ciascuna possente assai; intantochè alcuna volta l'una, alcuna volta l'altra reggeva oltre al piacere della sottoposta. A voler riducere ad unità il partito corpo della sua repubblica pose Dante ogni suo ingegno, ogni arte, ogni studio, mostrando a'citta

dini più savi come le gran cose per la discordia in brieve tempo tornano al niente, e le picciole per la concordia crescono in infinito. Ma poichè vide vana essere la sua fatica, e conobbe gli animi degli uditori essere ostinati ( temendolo giudicio di Dio) prima propose di lasciare del tutto ogni pubblico uffizio e vivere seco privatamente; poi dalla dolcezza della gloria tirato, e dal vano favore popolesco ed anche dalle persuasioni dei maggiori, credendosi, oltre a questo, se tempo gli occorresse, molto più di bene poter operare per la sua città se nelle cose pubbliche fusse grande, che esser privato e da quelle del tutto rimosso (oh stolta vaghezza degli umani splendori, quanto sono le tue forze maggiori, che credere non può chi provato non l'ha!), il maturo uomo nel santo seno della filosofia allevato, nutricato e ammaestrato, al quale erano davanti agli occhi li cadimenti dei re antichi e dei moderni, le desolazioni dei reami, delle provincie e delle cittadi, e li furiosi impeti della fortuna, niuno altro cercante che le alte cose, non si seppe e non si potè dalla sua dolcezza guardare.

Fermossi adunque Dante a seguire gli onori caduchi e la vana pompa de' pubblici uffici, e veggendo che per sè medesimo non poteva una terza parte tenere, la quale giustissima la ingiustizia delle altre due abbattesse, tornandole ad unità, con quella si accostò nella quale, secondo il suo giudicio, era più di ragione e di giustizia; operando continuamente ciò che salutevole alla sua patria e a' suoi cittadini conosceva. Ma gli umani consigli il più delle volte rimangono vin ti

dalle forze del cielo; gli odii e le nimistadi prese, ancorchè senza giusta cagione fussino nate, di giorno in giorno divenivano maggiori, intantochè non senza grandissima confusione de' cittadini più volte si venne all'arme con intendimento di por fine alle loro liti col fuoco e col ferro: sì accecati dall' ira che non vedevano sè con quella miseramente perire. Ma poichè ciascuna delle due parti ebbe più volte fatto pruova delle sue forze con vicendevoli danni dell' una e dell' altra parte, venuto il tempo che gli occulti consigli della minacciante fortuna si dovevano scoprire, la fama parimente del vero e del falso rapportatrice, nunziando agli avversari della parte presa da Dante, di maravigliosi e di astuti consigli esser forte e di grandissima moltitudine di armati, sì li principi de' collegati di Dante spaventò, che ogni consiglio, ogni avvedimento e ogni argomento cacciò da loro, se non il cercare con fuga la loro salute; co'quali insieme, Dante in un momento prostrato dalla sommità del reggimento della sua città, non solamente gittato in terra si vide, ma cacciato di quella. Dopo questa cacciata non molti dì, essendo già stato dal popolazzo corso alle case de' cacciati, e furiosamente vôte e rubate, poichè i vittoriosi ebbono la città riformata secondo il loro giudicio, furono tutti i principi de' loro avversari (e con loro non come de' minori, ma quasi come de' principali Dante) siccome capitali nemici della repubblica dannati a perpetuo esilio, e li loro stabili beni o in pubblico furono venduti, o alienati a' vincitori.

Questo merito riportò Dante del tenero amore avuto alla sua patria! questo merito riportò Dante dello affanno avuto in voler torre via le discor die cittadine! questo merito riportò Dante dello avere con ogni sollecitudine cercato il bene, la pace e la tranquillità de' suoi cittadini! il perchè assai manifestamente appare quanto sieno vôti di verità i favori de' popoli, e quanta fidanza si possa in essi avere. Colui nel quale poco avanti pareva ogni pubblica speranza essere posta, ogni affezione cittadinesca, ogni rifugio popolare subitamente, senza cagione legittima, senza offesa, senza peccato di quel romore il quale per lo addietro s' era molte volte udito le sue lode portare sino alle stelle, è furiosamente mandato in irrevocabile esilio. Questa fu la marmorea statua fattagli ad eterna memoria della sua virtù! Con queste lettere fu il suo nome tra quelli de' padri della patria inscritto in tavole d' oro! Con così favorevol romore gli farono rendute grazie de' suoi benefici! Chi sarà dunque colui, che a queste cose guardando, non dica: la nostra repubblica di questo piede non andare sciancata?

Oh vana fidanza de' mortali! da quanti esempli altissimi se' tu continuamente ripresa, ammonita e gastigata! Deh se Camillo, Rutilio, Coriolano l'uno e l'altro Scipione, e gli altri antichi valenti uomini per la lunghezza del tempo interposto ti sono della memoria caduti, questo recente caso ti faccia con più temperate redini correre ne'tuoi piaceri. Niuna cosa ha meno stabilità che la popolesca grazia; niuna più pazza speranza, niuno più folle consiglio che quello che a crederle con

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