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PROEMIO

Solone, il cui petto uno umano tempio di divina sapienza fu reputato, e le cui sacratissime leggi sono ancora a' presenti uomini chiara testimonianza dell' antica giustizia e della sua gravità, era,. secondochè dicono alcuni, spesse volte usato di dire: Ogni repubblica, siccome noi, andare e stare sopra due piedi; de' quali con matura gravità affermava, essere il destro il non lasciare alcun difetto commesso impunito, e 'l sinistro, ogni ben fatto remunerare: aggiugnendo, che qualunque delle due cose già dette per vizio o per negligenza si sottraeva, o meno che bene si osservava, senza niuno dubbio quella repubblica che 'l faceva, conveniva andare sciancata e da quel piede zoppicare. E se per isciagura si peccasse in amendue, quasi per certissimo avere, quella non potere stare in piedi in alcun modo. Mossi adunque più così egregi come antichi popoli da questa laudevole

sentenza,e apertissimamente vera, alcuna volta di deità, altra volta di marmorea statua, sovente di celebre sepoltura, e tal fiata di trionfale arco, e quando di laurea corona, o d'altra spettabile cosa, secondo i meriti precedenti, onoravano i valorosi: le pene, per l' opposito, a' colpevoli date non curo di raccontare. Per li quali onori e purgagioni l'assiria, la macedonica, la greca e ultimamente la romana repubblica augumentate, colle opere le fini della terra e colla fama toccarono le stelle: le vestigie de' quali in così alti esempli, non solamente da' successori presenti e massime da' miei Fiorentini, sono male seguite, ma intanto s'è disviato da esse, che ogni premio di virtù possiede l'ambizione; il perchè, siccome io e ciascun altro che a ciò con occhio ragionevole vuol ragguardare, non senza grandissima afflizione di animo possiamo vedere, li malvagi e perversi uomini a'luoghi eccelsi e a' sommi uffici e guiderdoni elevare, e li buoni scacciare, deprimere ed abbassare. Alle quali cose quale fine serbi il giudicio di Dio, coloro il veggiano che'l timone governano di questa navé; perciocchè noi, più bassa turba, siamo trasportati dal fiotto della fortuna, ma non della colpa partefici. E comechè con infinite ingratitudini e dissolute perdonanze apparenti si potessino le predette cose verificare, per meno scoprire i nostri difetti, e per venire al mio principale intento, una sola mi fia assai avere raccontata. Nè questa fia poco o picciola, ricordando lo esilio del chiarissimo uomo DANTE ALIGHIERI, il quale antico cittadino nè di oscuri parenti nato, quanto per virtù e per iscienza e per buone operazioni meritasse, assai 'I

mostrano e mostreranno le cose che da lui fatte appaiono; le quali se in una repubblica giusta fussero state operate, niuno dubbio ci è ch'elleno non gli avessino altissimi meriti apparecchiato. Oh scellerato pensiero, oh disonesta opera, oh miserabile esemplo e di futura ruina manifesto argomento! In luogo di quelli, ingiusta e furiosa dannazione e perpetuo sbandimento e alienazione de' paterni beni, e, se fare si fusse potuto, maculazione della gloriosissima fama con false colpe gli furon donate. Delle quali cose le recenti orme della sua fuga e le ossa nelle altrui terre sepolte e la sparta prole per le altrui case, alquanto ancora ne fanno chiari. Se a tutte le altre iniquità fiorentine fusse possibile il nascondersi agli occhi d'Iddio, che veggiono tutto, non doverebbe quest'una bastare a provocare sopra di sè la sua ira? Certo sì. Chi in contrario sia esaltato, giudico che sia onesto il tacere; sicchè bene ragguardando, non solamente è il presente mondo del sentiero uscito del primo, del quale disopra toccai, ma ha del tutto nel contrario volti i piedi; perchè assai manifesto appare, che se noi e gli altri che in simile modo vivono, contro alla sopra toccata sentenza di Solone senza cadere stiamo in piedi, niun' altra cosa essere di ciò cagione se non che o per lunga usanza la natura delle cose è mutata, come sovente veggiamo addivenire, o è speziale miracolo, nel quale per li meriti di alcuno nostro passato, Iddio, contra ad ogni umano avvedimento ne sostiene, o è la sua pazienza, la quale il nostro riconoscimento attende; il quale se a lungo andare non seguirà, niuno dubiti che la sua ira, la quale con lento

passo procede alla vendetta, non ci serbi tanto più grave tormento che appieno sopperisca alla sua tardità. Ma imperciocchè impunite ci paiono le mal fatte cose, quelle non solamente dobbiamo fuggire, ma ancora, bene operando, di ammendarle ingegnarci.

E conoscendo io, me essere di quella medesima città avvegnachè picciola parte, della quale, considerati li meriti, la nobilità e la virtù di DANTE ALIGHIERI fu grandissima; e per questo, siccome ciascun altro cittadino a' suoi onori sia in solido obbligato, comechè io a tanta cosa non sia sufficiente, nondimeno secondo la mia picciola facultà, quello ch'essa doveva verso lui magnificamente fare non avendolo fatto, m' ingegnerò di far io, non con istatua o con egregia sepoltura, delle quali è oggi appo noi spenta la usanza, nè anco basterebbono á ciò le mie forze, ma con lettere povere a tanta impresa, di questo e di queste dirò, acciocchè ugualmente, o in tutto o in parte, non si possa dire fra le nazioni strane; verso cotanto poeta la sua patria essere stata ingrata. E scriverò in istilo assai umile e leggiero, perciocchè più alto non me 'l presta lo 'ngegno, e nel nostro fiorentino idioma acciocchè da quello ch' egli usò nella maggior parte delle sue opere non discordino quelle cose, le quali esso di sè onestamente tacette; cioè la nobiltà della sua origine, la vita, gli studi ed i costumi; raccogliendo appresso in uno le opere da lui fatte, nelie quali esso s'è sì chiaro renduto a' futuri, che forse non meno tenebre che splendore gli daranno le lettere mie: comechè ciò non sia di mio intendimento, nè di mio vole

re; contento sempre e in questo e in ogni altra cosa da ciascuno più savio, laddove io difettosamente parlassi, essere corretto. Il che, acciocchè non avvenga, umilmente priego Colui che lui trasse per si alta scala a veder sè siccome supremo, che al presente aiuti e guidi lo 'ngegno mio e la mia debole mano.

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