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cittadini ravegnani, al suo creatore rendè il faticato spirito, il quale niuno dubbio è che ricevuto non fusse nelle braccia della sua nobilissima Beatrice, colla quale nel cospetto di colui ch'è sommo bene, lasciate le miserie della presente vita, ora lietissimamente vive in quella alla cui felicità fine giammai non si aspelta.

Fece il magnifico cavaliere il morto corpo di Dante di ornamenti poetici sopra a uno cataletto adornare, e quello fatto portare sopra gli omeri de' suoi cittadini più solenni, insino al luogo de' Frati Minori in Ravenna, con quello onore che a sì fatto corpo degno estimava, infino quivi, quasi con pubblico pianto il seguitò, e in un'arca lapidea, nella quale ancora giace, il fece riporre. E tornato nella casa dove Dante era prima abitato, secondo il ravegnano costume, esso medesimo sì a commendazione dell'alta scienza e della virtù del defunto, e sì a consolazione de' suoi amici, li quali egli aveva in amarissima vita lasciati, fece uno ornato e lungo sermone; disposto, se lo stato e la vita gli fossino durati, di sì egregia sepoltura onorarlo, che se mai alcuno altro suo merito non lo avesse memorevole renduto a' futuri, quella lo arebbe fatto.

Questo laudevole proponimento infra brieve spazio fu manifesto ad alquanti, li quali in quel tempo erano in poesia solennissimi in Romagna; sicchè ciascuno sì per mostrare la sua sufficienza, sì per rendere testimonianza della portata benevoglienza da loro al morto poeta, sì per accattare la grazia, la benevoglienza e l'amore del signore, il quale sapevano ciò desiderare; ciascuno per sè fece verBOCCACCIO. Vita di Dante.

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si, li quali posti per epitaffio alla futura sepoltucon debite lodi facessino la posterità certa chi dentro ad essa giacesse; ed al magnifico signore gli mandarono, il quale per gran peccato della fortuna non dopo molto tempo, toltogli lo stato, si mori a Bologna; per la qual cosa e'l fare il sepolcro e 'l porvi li mandati versi si rimase. Li quali versi stati a me mostrati poi più tempo appresso, e veggendo loro non avere avuto luogo per lo caso già dimostrato, pensando le presenti cose per me scritte, comechè in sepoltura non sieno con parole, sieno (siccome quella sarebbe stata) perpetue conservatrici della colui memoria, immaginai non essere sconvenevole quelli aggiugnere a queste cose. Ma perciocchè più che quelli che l'uno di loro avesse fatti (che furono più) non si sarebbono nei marmi intagliati, così solamente quelli d'uno quivi estimai che fussino da scrivere; perchè tutti meco esaminatigli, e per arte e per intendimento più degni estimai che fussero quattordici fattine dal maestro Giovanni del Virgilio da Bologna, allora famosissimo e gran poeta, e di Dante stato singularissimo amico, li quali sono questi appresso scritti:

Theologus Dantes, nullius dogmatis expers, Quod fovent claro philosophia sinu: Gloria Musarum, vulgo gratissimus auctor Hic jacet, et fama pulsat utrumque polum: Qui loca defunctis gladiis regnumque gemellis Distribuit, loicis, rhetoricisque modis. Pascua Pieriis demum resonabat avenis;

Atrops heu laetum livida rupit opus.

Huic ingrata tulit tristem Florentia fructum,
Exilium vati patria cruda suo.

Quem pia Guidonis gremio Ravenna Novelli
Gaudet honorati continuisse Ducis.
Mille trecentenis ter septem numinis annis

Ad sua septembris idibus astra redit (*).

(*) Questi versi sono tolti dall' edizione della Vita di Dante, Firênze, 1723 in 4-to, ma è da notare che nelle Memorie per servire alla Vita di Dante raccolte da Giuseppe Peil. ze, 1823, in 8-vo pag. 145, 146, si trovano riferiti con qualche varia lezione. Nell' edizione di Milano 1823 sta goffamente riferito il primo verso, e vi susseguitano altri dodici, i quali formar debbono due diversi epitaffii.

Il primo è come segue:

Inclyta fama cujus universum penetrat orbem Dantes Aligherii, florenti genitus urbe, Conditor eloquii lumen, decusque Musarum, Vulnere saevae necis stratus, ad sydera tendens Dominicis annis ter septem mille trecentis Septembris idibus praesenti clauditur aula.

Il seguente si vuole scritto da Dante medesimo:

Jura Monarchiae, Superos, Flegetonta lacusque
Lustrando cecini, voluerunt fata quousque:
Sed quia pars cessit melioribus hospita castris,
Auctoremque suum petiit felicior astris,
Hic claudor Dantes, patriis extorris ab oris,
Quem genuit parvi Florentia mater amoris.

Rimprovero ai Fiorentini.

Oh ingrata patria, quale demenza, quale trascu

raggine ti tenea quando tu il tuo carissimo cittadino, il tuo benefattore precipuo, il tuo unico poeta con crudeltà disusa ta mettesti in fuga? O poscia, se tenuta forse per la comune furia di quel tempo, mal consigliata ti scusi, perchè tornata, cessate le ire, la tranquillità dell' animo e pentutati del fatto, nol revocasti? Deh non t'incresca lo stare con meco, chè tuo figliuolo sono, alquanto a ragionare; e quello che giusta indignazione mi fa dire, come da uomo che tu t'ammendi desidera e non che tu sia punita, piglierai. Parti egli essere gloriosa di tanti titoli e di tali, che tu quello uno del quale non è niuna vicina città che di simile si possa esaltare, tu abbi voluto da te cacciare? Deh, dimmi, di qua'vittorie, di qua'trionfi, di quali eccellenze, di quali valorosi cittadini se' tu splendente? Le tue ricchezze, cosa mobile e incerta; le tue bellezze, cosa fragile e caduca : le tue dilicatezze, cosa vituperevole e femminile, ti fanno nota ne' falsi giudicii del popolo, il quale più ad apparenza che ad esistenza sempre ragguarda. Deh glorierati tu dei tuoi mercatanti e dei tuoi artefici, d' onde tu se' piena? Scioccamente farai. L'uomo fa, continovamente l'avarizia operando, mestiere servile; l'arte, la quale un tempo nobilitata fu degl' ingegni intantochè una seconda natura la feciono, dall' avarizia medesima oggi corrotta, a niente vale, Glorierati tu della vil

tà ed ignavia di coloro, li quali perciocchè di molti loro avoli si ricordano, vogliono dentro di te della nobiltà ottenere il principato sempre con ruberie e tradimenti, e con falsità contra quella operanti? Vanagloria sarà la tua, e da coloro le cui sentenze hanno fondamento debito e stabile fermezza, schernita. Ahi, misera madre, apri gli occhi e guarda con alcuno rimordimento quello che tu facesti; e vergognati almeno, essendo reputata savia come tu se', di avere avuto ne' falli tuoi falsa elezione! Deh, se tu da te non avevi tanto consiglio, perchè non imitavi tu gli atti di quelle città, le quali ancora per le loro laudevoli opere sono famose? Atene, la quale fu l'uno degli occhi di Grecia allora che in quella era la monarchia del mondo, per iscienza e per eloquenza splendida parimente e per milizia; Argo ancora, pomposa per li titoli de' suoi re; Smirne, a noi in perpetuo reverenda per Nicolaio suo pastore; Pilos, notissima per lo suo vecchio Nestore;Chios e Co-. lofon, città splendidissime per addietro, tutte insieme, qualora più gloriose furono, non si vergognarono, nè dubitarono di avere agra quistione della origine del divino poeta Omero, affermando ciascuna, lui di sè averlo tratto; e sì ciascuna fece con argomenti forte la sua intenzione, che ancora la quistione vive, nè è certo d'onde egli si fusse, perchè parimente di cotal cittadino così l'una come l'altra si gloria. E Mantova, nostra vicina, di quale altra cosa le è più alcun'altra fama rimasa, che lo essere stato Virgilio mantovano, il cui nome hanno ancora in tanta riverenza, ed è si appo tutti accettevole, che non solamente ne'

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