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Nel secondo, per argomenti istoriografi procedendo, mostra Roma di ragionare ottenere il titolo dello imperio, che è la seconda quistione. Nel terzo, per argomenti teologici pruova l'autorità dello imperio immediatamente procedere da Dio, e non mediante alcuno suo vicario come gli cherici pare che vogliano; e questa è la terza quistione. Questo libro più anni dopo la morte dello autore fu dannato da monsignor Beltrando, cardinale del Poggetto e legato del papa nelle parti di Lombardia, sedente papa Giovanni XXII. E la cagione ne fu, perciocchè Lodovico duca di Baviera, dagli elettori della Magna eletto in re de' Romani, venendo per la sua coronazione a Roma, contr' al piacere del detto papa Giovanni essendo in Roma fece contro gli ordinamenti ecclesiastici uno frate minore, chiamato frate Piero della Corvara, papa, e molti cardinali e vescovi; e quivi da questo papa si fece coronare. E nata poi in molti casi della sua autorità quistione, egli e suoi seguaci, trovato questo libro, a difensione di quella e di sè molti degli argomenti in esso posti cominciarono ad usare; per la quale cosa il libro, il quale infino allora appena era saputo, divenne molto famoso. Ma poi, tornatosi il detto Lodovico nella Magna, gli suoi seguaci, e massimamente i chierici venuti al dichino e dispersi, il detto cardinale, non essendo chi a ciò si opponesse, avuto il soprascritto libro, quello in pubblico, siccome cose eretiche contenente, dannò al fuoco. E'l somigliante si sforzava di fare delle ossa dello autore a eterna infamia e confusione della sua memoria, se a ciò non si fusse opposto uno valoroso e nobile cavaliere fiorentino,

il cui nome fu Pino della Tosa, il quale allora a Bologna, dove ciò si trattava, si trovò, e con lui Ostagio da Polenta, potente ciascuno assai nel conspetto del cardinale di sopra detto.

Oltre a questo compose Dante due Egloghe assai belle, le quali furono intitolate e mandate da lui per risposta di certi versi mandatigli, a maestro Giovanni del Virgilio, del quale di sopra altra volta è fatta menzione. Compose ancora uno Commento in prosa in fiorentino vulgare sopra tre delle sue Canzoni disteso, comech'egli appaia lui avere avuto intendimento, quando il cominciò, di commentarle tutte, benchè poi o per mutamento di proposito o per mancamento di tempo che avvenisse, più commentate non se ne trovano da lui; e questo intitolò Convivio, assai bella e laudevole operetta.

Appresso, già vicino alla sua morte. compose uno libretto in prosa latina, il quale egli intitolò De vulgari eloquentia, dove intendeva di dare dottrina, a chi imprendere la volesse, del dire in rima; e comechè per lo detto libretto apparisca lui avere in animo di dovere in ciò comporre quattro libri, o che più non ne facesse dalla morte soprappreso, o che perduti sieno gli altri, più non appariscono che due solamente. Fece ancora questo valoroso poeta molte Pistole prosaiche latine, delle quali appariscono ancora assai. Compose molte Canzoni distese, Sonetti e Ballate assai e d'a more e morali, oltre a quelle che nella sua Vita Nuova appariscono; delle quali cose non curo di fare speziale menzione al presente.

In così fatte cose, quali di sopra sono mostrate, consumò il chiarissimo uomo quella parte del suo tempo, la quale egli agli amorosi sospiri, alle pie tose lagrime, alle sollecitudini private e pubbliche ed a' vari fluttuamenti della perversa ed iniqua fortuna potè imbolare: opere troppo più a Dio e agli uomini acettevoli che gl' inganni, le fraudi, le menzogne, le rapine e i tradimenti, li quali la maggior parte degli uomini usano oggi, cercando per diverse vie uno medesimo termine,cioè il divenire ricchi, quasi nelle ricchezze ogni bene, ogni onore, ogni beatitudine stia. Oh menti sciocche! una brieve particella di un' ora, separato dal caduco corpo lo spirito, tutte queste vituperevoli fatiche annullerà, e 'l tempo, nel quale ogni cosa suol consumarsi, o annullerà prestamente la memoria del ricco, o quella per alcuno spazio con grande vergogna di lui serverà; il che del nostro poeta certo non avverrà, anzi, siccome noi veggiamo degli strumenti bellici addivenire, che per usarli diventano più chiari, così avverrà del suo nome, egli per essere stropicciato dal tempo, sempre diverrà più lucente, E però fatichi chi vuole nelle sue vanità, e bastigli l'essergli lasciato fare, senza volere con riprensione da sè medesimo non intesa, l'altrui virtuoso operare andar mordendo.

Spiegazione di un sogno fatto dalla madre di Dante e conclusion? (1).

Mostrato

rato è sommariamente quale fusse l'origine e gli studi e la vita e i costumi, e quali sieno le opere state dello splendido uomo Dante Alighieri,

poeta chiarissimo, e con esse alcun' altra cosa, facendo trasgressione, secondo che conceduto mi ha colui che di ogni grazia è donatore. Bene so che per molti altri molto meglio e più discretamente si saria potuto mostrare; ma chi fa quello che sa, più non gli è richiesto. Il mio avere scritto come io ho saputo non toglie il poter dire ad un altro che meglio ciò creda di scrivere che io non ho fatto; anzi forse se io in parte alcuna ho errato, darò materia altrui di scrivere per dire il vero del nostro Dante, ove infino a qui niuno truovo arerlo fatto. Ma la mia fatica ancora non è alla sua fine. Una particella, nel processo promessa di questa operetta, mi resta a chiarire, cioè il sogno della madre del nostro poeta, quando di lui - era gravida, veduto da lei; del quale io, quanto più brievemente saprò e potrò, intendo di deliverarmi e porre fine al ragionare.

Vide la gentile donna nella sua gravidezza sè ai piedi di uno altissimo alloro, a lato ad una chiara fontana partorire un figliuolo, il quale (come di sopra altra volta narrai ) in brieve tempo pascendosi delle orbache di quello alloro cadenti e delle onde della fontana, divenire un grande pastore e vago molto delle frondi di quello alloro sotto il quale era; le quali mentrechè si sforzava avere le pareva ch' egli cadesse; e subitamente non lui, ma di lui in vece uno bellissimo pavone le parea vedere. Dalla quale maraviglia la gentile donna commossa, ruppe, senza vedere di lui più avanti, il dolce sonno.

La divina bontà, la quale ab aeterno, siccome presente ogni cosa futura prevede, suole da sua

propria benignità mossa, qualora la natura sua generale ministra è per producere alcuno inusato effetto intra' mortali, di quello con alcuna dimostrazione o in segno o in sogno o in alcun' altra maniera farci avveduti, acciocchè dalla predimostrazione argomento prendiamo, ogni conoscenza consistere nel Signore della natura producente ogni cosa: la quale predimostrazione, se bene si riguarda, ne fece nella venuta del poeta, del quale tanto è di sopra parlato, nel mondo. E a quale persona la poteva egli fare che con tanta affezione e veduta e servata l'avesse, quanto a colei che della cosa mostrata dovesse essere madre, anzi già era? Certo a niuna mostrollo; dunque a lei. E quello ch'egli a lei mostrasse si è già manifestato per la scrittura di sopra, ma quello ch' egli intendesse con più acuto occhio è da mostrare e da vedere. Parve adunque alla donna partorire uno figliuolo, e certo così fece ella infra picciolo termine della veduta visione. Ma che vuole significare l'alto alloro sotto il quale lo partorisce, è da vedere.

Opinione è degli astrolaghi e di molti naturali filosofi, per la virtù e influenza dei corpi superiori gl' inferiori e producersi e nutricarsi, e, se potentissima ragione da divina grazia illuminata non resiste, guidarsi. Per la qual cosa veduto quale corpo superiore sia più possente nel grado che sopra l'orizzonte sale in quell' ora che alcuno nasce, secondo quello cotale corpo più possente anzi secondo le sue qualitadi, dicono del tutto il nato disporsi. Perchè per lo alloro, sotto al quale alla donna pareva il nostro Daute dare al mondo, mi pare che sia da intendere la disposizione del cielo,

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