Sayfadaki görseller
PDF
ePub

Nascimento e studi di Dante Alighieri.

Firenze

irenze tra le altre città italiane più nobile, secondochè le antiche storie e la comune opinione de' presenti pare che vogliano, ebbe inizio da'Romani; la quale in processo di tempo augumentata, e di popolo e di chiari uomini piena, non solamente città ma potente cominciò a ciascuno circostante apparere. Ma quale si fusse o contraria fe. una o avverso cielo o li loro meriti ad altri inizii di mutamento cagione, ci è incerto; ma certissimo abbiamo, essa non dopo molti secoli da Attila, crudelissimo re de' Vandali e generale guastatore di tutta Italia, uccisi prima e dispersi o tutti o la maggior parte di que' cittadini che in quella erano, o per nobiltà di sangue o per qualunque altro stato di alcuna fama, in cenere la ridusse e in ruina. E in cotal maniera oltre al trecentesimo anno si crede che dimorasse, dopo il qual termine, essendo non senza cagione di Grecia il romano imperio in Gallia traslatato, e alla imperiale altezza elevato Car

lo Magno, allora clementissimo re de' Franceschi, dopo più fatiche passate, credo da divino spirito mosso, alla redificazione della disolata città lo 'mperiale animo dirizzò; e da quelli medesimi che prima conditori n'erano stati, comechè in picciolo cerchio di mura la riducesse, in quanto potè simile a Roma la fe' redificare ed abitare; raccogliendovi nondimeno dentro quelle poche reliquie che vi si trovarono de' discendenti degl' antichi scacciati.

Ma infra gli altri novelli abitatori, forse ordinatore della redificazione, partitore delle abitazioni e delle strade, e datore al nuovo popolo delle leggi opportune, secondochè testimonia la fama, vi venne da Roma uno nobilissimo giovane della schiatta de' Frangipani, e nominato da tutti Eliseo, il quale per avventura, poichè ebbe la principal cosa, per la quale venuto v'era, fornita, o dallo amore della città nuovamente da lui ordinata, o dal piacere dal sito, al quale forse vide nel futuro overe il cielo essere favorevole, o da altra cagione che si fosse tratto, in quella divenne perpetuo cittadino, e dietro a sè di figliuoli e di discendenti lasciò non picciola nè poco laudevole schiatta; li quali l'antico soprannome de lo

ro

maggiori abbandonato, per soprannome presono il nome di colui che quivi loro avea dato cominciamento, e tutti insieme si chiamarono gli Elisei. De' quali di tempo in tempo, e d'uno in altro discendendo, tra gli altri nacque e visse uno cavaliere per armi e per senno ragguardevole e valoroso, il cui nome fu Cacciaguida; al quale nella sua giovinezza fu data da' suoi maggiori per

ne

isposa una donzella, nata degli Aldighieri di Ferrara, così per bellezza e per costumi come per nobilità di sangue pregiata, colla quale più anni visse, e di lei generò più figliuoli. E comechè gli altri nominati si fussero in uno, siccome le donne sogliono esser vaghe di fare, le piacque di rinnovare il nome de' suoi passati, e nominollo Aldighieri; comechè il vocabulo poi per detrazione di questa lettera D corrotto, rimanelse Alighieri. Il valore di costui fu cagione a quelli che discesero di lui, di lasciare il titolo degli Elisei, e di cognominarsi degli Alighieri, il che ancora dura infino a questo giorno. Del quale, comechè alquanti figliuoli e nipoti e de' nipoti figliuoli discendessero, regnante Federigo, secondo imperadore, uno nacque, il cui nome fu Alighieri; il quale più per la futura prole che per sè doveva essere chiaro, e la cui donna gravida, nè guari lontana al tempo del partorire, per sogno vide quale dovea essere il frutto del ventre suo; comechè ciò non fusse allora da lei conosciuto, nè da altrui, ed oggi, per lo effetto seguito, manifestissimo sia a tutti. Pareva alla gentile donna nel suo sogno essesotto ad uno altissimo alloro, posto sopra un verde prato, allato ad una grandissima fonte, e quivi si sentia partorire uno figliuolo, il quale in brevissimo tempo nutricandosi solo delle orbacche le quali dello alloro cadevano, e delle onde della chiara fonte, le parea che divenisse un pastore, e s'ingegnasse a suo potere di avere delle frondi dell' albero, il cui frutto l'aveva nudrito, ed a ciò sforzandosi, le parea vederlo cadere, e nel rilevarsi non uomo più ma pavone il vedea dive

re

nuto. Della qual cosa tanta ammirazione le giunse, che ruppe il sonno; nè guari di tempo passò che il termine debito al suo parto venne e partorì uno figliuolo, il quale di comune consentimento col padre di lui per nome chiamarono DANTE; e meritamente, perciocchè ottimamente, siccome si vedrà procedendo, seguì al nome lo effetto. Questi fu quel Dante del quale è il presente sermone; questi fu quel Dante che a' nostri secoli fu conceduto di speziale grazia da Iddio; questi fu quel Dante, il quale primo doveva al ritorno delle muse sbandite d' Italia aprire la via. Per costui la chiarezza del fiorentino idioma è dimostrata; per costui ogni bellezza di vulgar parlare sotto debiti numeri è regolata; per costui la morta poesia meritamente si può dire resuscitata: le quali cose debitamente guardate, lui niuno altro nome che Dante poter degnamente avere, e debitamente aver avuto dimostreremo.

Nacque questo singulare splendore italico nella nostra città, vacante il romano imperio per la morte di Federigo già detto, negli anni della salutifera incarnazione del re dell'universo MCCLXV, sedente papa Urbano IV nella cattedra di s. Piero, ricevuto nella paterna casa da assai lieta fortuna: lieta, dico, secondo la qualità del mondo che allora correva, ma quale ch'ella si fusse, lasciando stare il ragionare della sua infanzia, nella quale assai segni apparirono della futura gloria del suo ingegno, dico che dal principio della sua puerizia avendo già li primi elementi delle lettere impresi, non secondo i costumi de' nobili odierni si diede alle fanciullesche lascivie e agli ozii nel grembo

della madre impigrendo, ma nella propria patria la sua puerizia con istudio continovo diede alle liberali arti, e in quelle mirabilmente divenne esperto. E crescendo insieme cogli anni l'animo e lo 'ngegno, non a' lucrativi studi, a' quali generalmente corre oggi ciascuno, si dispose, ma ad una laudevole vaghezza di perpetua fama, sprezzando le transitorie ricchezze, liberamente si diede a voler avere piena notizia delle fizioni poetiche e dello artifizioso dimostramento di quelle. Nel quale esercizio familiarissimo divenne di Virgilio, di Orazio, di Ovidio, di Stazio e di ciascuno altro poeta famoso; e non solamente avendo caro il conoscerli, ma ancora altamente cantando s' ingegnò d'imitarli, come le sue opere dimostrano, delle quali a suo tempo favelleremo. E avvedendosi le poetiche opere non essere vane o semplici favole o maraviglie (come molti stolti estimano) ma sotto sè dolcissimi frutti di verità istoriografe e filosofiche avere nascosi; per la qual cosa pienamente senza le storie, o la morale o la naturale filosofia o le poetiche invenzioni avere non si poteano intere, partendo i tempi debitamente, le istorie da sè, e la filosofia sotto diversi dottori si argomentò, non senza lungo affanno e studio, di imprendere. E preso dalla dolcezza del conoscere il vero delle cose racchiuse dal cielo, nè niun'altra più cara di questa trovandone in questa vita, lasciando del tutto ogni altra temporale sollecitudine, tutto a questa sola si diede. Ed acciocchè niuna parte di filosofia non vista da lui rimanesse, nelle profondità altissime della teologia con acuto ingegno si messe; nè fu dalla intenzione lo

« ÖncekiDevam »