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nè alla madre, nè al fanciullo, non fece nulla novità, se non che la raguardò, et stettesi fermo nel luogo suo. Onde di questo si fece questione, qual fosse il caso, o la gentilezza della natura del leone, o la fortuna riserbasse la vita al detto fanciullo, però che poi, vivendo, faciesse la vendetta del padre, com'egli fece, et fu poi chiamato Orlanduccio del Leone ».

Ed anche legalmente la vendetta privata era ammessa. Quando si trattava di lavare un'offesa, il magistrato spesso non faceva che lavarsene le mani, dichiarando che non era affar suo. Le leggi non l'obbligavano a intervenire nel piato se non quando le convenienti vendette fossero state consumate. Ancora nello Statuto fiorentino del Podestà, del 1324, si prescrive, in rubriche speciali, la procedura da tenere nel caso che << la vendetta fosse fatta in altra persona », e si vieta al giudice di concluder la pace « finchè condecente vendetta non sia fatta », dacchè « pace si debba fare tra le parti quando si dica che sia fatta convenevole vendetta, e quando si dichiari per la Podestade essere fatta competente vendetta » 1. Il freno al proprio istinto vendicativo non si poteva trovarlo che nella propria coscienza; ma non tutti eran capaci di codesta alta e spregiudicata moralità, e non senza rigore si poteva far carico al primo venuto di non averla. Anche il buono ser Brunetto, prima di dar quei consigli che abbiam riferiti di sopra, confortava a ricorrere al magistrato (v. 1999 ss.):

Di tanto ti conforto,
Che, se t'è fatto torto,
Arditamente e bene
La tua ragion mantene.
Ben ti consiglio questo,
Che, se co lo legisto

1 DEL LUNGO, Una vendetta ecc., p. 22-3.

VENDETTE PERMESSE DALLE LEGGI

Atartene potessi,

Vorria che lo facessi;

Ch'egli è magior prodezza

Rinfrenar la mattezza

Con dolzi motti e piani,

Che venire a le mani.

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Ma, e quando lo legisto protestava di non poter atarlo? Così, la faida finiva col parere, e coll'essere, una questione d'onore; molto più che presso di noi non sia il duello. E anche il sentimento d'una così triste condizione dei tempi avrà contribuito a render Dante più pietoso verso l'omicida parente: d'una pietà, beninteso, a parole, chè nè egli volle risparmiargli il profondo ergastolo infernale, nè la sua tardiva ed efimera benevolenza potea valere ad attenuargli i tormenti.

BRUNETTO LATINI

I.

1

Brunetto o Burnetto di Buonaccorso Latini nacque in Firenze nei primi anni del secolo XIII, probabilmente dopo il 1210, ma molto prima del 12302. Fu notaio, quindi il sere; ed il suo nome si trova sotto documenti di qualche importanza per la storia fiorentina, da lui compilati nella qualità di notaio. Nell'archivio senese si conserva, scritta tutta di suo pugno, la procura, in data del 20 aprile 1254, con cui il Podestà, il Capitano del popolo e rispettivi Consigli di Firenze, insieme con gli Anziani, Gonfalonieri delle Compagnie e Ca

1 Si è lungamente disputato se sia da scrivere « Brunetto Latino › 0 < Latini. Il SUNDBY preferì la prima forma; ma nella traduzione della sua monografia il RENIER le sostituì la seconda, che cercò giustificare con ogni maniera di argomenti. Il PARIS (nella Romania, XIV, p. 313-14) però sostenne ancora la prima; e il VERNON adottò la seconda (Readings on the Inferno; London 1894, vol. I). Il vero è che Brunetto medesimo e i suoi contemporanei scrivevano indifferentemente nell' una maniera e nell'altra (cfr. PAGET TOYNBEE, Brunetto Latino or Brunetto Latini?, nell'Academy del 9 febbraio 1895, p. 127); alla stessa guisa che, in pieno Cinquecento, si continuava a scrivere il Machiavelli e il Machiavello. Del resto, dovendo tradurre il suo casato in francese, o come avea da dire se non Brunez Latins? Per conto mio, ho data la preferenza alla grafia Latini, poichè, secondo già osservò il FLECHIA (Di alcuni criteri per l'originazione dei cognomi italiani, p. 3), « il finimento in i, che alcuni tengono per forma di genitivo latino e altri per plurale di valore collettivo, è, si può dire, normale nei cognomi toscani ».

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2 U. MARCHESINI, Due studi biografici su Brunetto Latini, negli Atti del r. Istituto Veneto; Venezia 1887. Cfr. THOR SUNDBY, Della vita e delle opere di B. L., trad. di R. RENIER, con appendici di I. DEL LUNGO e A. MUSSAFIA; Firenze 1884.

LA SUA FACULTÀ NOTARIA

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pitudini delle Arti, convocati in Santa Reparata, affidano pieno mandato ai provvidi uomini Jacopo Rusticucci ed Ugo di Spina di trattare pel Comune con altre città di Toscana e d'altrove 1. E nell'archivio fiorentino si conserva l'istrumento rogato dal Latini il 25 agosto 1254, contenente i patti e le convenzioni fra la parte guelfa di Arezzo e il comune di Firenze, fermati nella chiesa di San Lorenzo 2.

Il Boccaccio raccontò di lui una storiella, la quale fece il giro dei commentatori; che cioè Brunetto facesse si alta stima della sua facultà notaria « che, avendo un contratto, fatto per lui, errato, e per quello essendo stato accusato di falsità, volle avanti esser condannato per falsario che egli volesse confessare d'avere errato; e poi per isdegno partitosi di Firenze, e quivi lasciato in memoria di sè un libro da lui composto, chiamato il Tesoretto, se n'andò a Parigi, e quivi dimorò lungamente ». Qui il novelliere ha lavorato molto di fantasia 3, e si direbbe che di Brunetto abbia voluto fare il contrapposto di ser Ciappelletto, toscano anch'esso e stabilitosi a Parigi. Il quale, come si sa (Decam. I, 1), « essendo notaio, avea grandissima vergogna quando uno de' suoi strumenti (come che pochi ne facesse) fosse altro che falso trovato; dei quali tanti avrebbe fatti, di quanti fosse stato richiesto, e quelli più volentieri in dono, che alcun altro grandemente salariato ». E

1 Curioso l'equivoco del FAURIEL (nel cap. Brunetto Latini, inserito nel vol. XX dell'Histoire littéraire de la France, p. 279), che asserì: « La paix fut conclue entre les deux peuples, en 1253, et cette paix fut l'œuvre de Brunetto Latini ». Egli citava la Istoria di Siena (I, V, 65) del MaLAVOLTI, il quale invece aveva detto: I Fiorentini.... feciono procuratore Ugo Spini cittadino fiorentino a trattare e conchiudere la pace co' Sanesi ; rogato ser Brunetto di Buonaccorso Latini». È merito del DEL LUNGO (in SUNDBY ecc., p. 203 ss.) l'aver tutto chiarito e messo a posto. V. DEL LUNGO, in SUNDBY ecc., p. 205.

3 Non mi sembra ammissibile il sospetto del BARLOW, che quella voce fosse a wicked invention of some Ghibelin». Cfr. Critical, historical and philosophical contributions to the study of the D. C.; London and Edinburgh, 1864, p. 429.

in verità ei non merita nessuna fede per quel che racconta di Brunetto; arreca anzi maraviglia vedere come già ai suoi tempi la tradizione fiorentina avesse così pienamente dimenticata l'opera politica del valente notaio. Il Boccaccio giunge perfino a dire: « ed ultimamente, credo, si morisse a Parigi ». Brunetto invece ebbe una parte non secondaria negli avvenimenti, che resero diversamente famosi Farinata degli Uberti, Provenzan Salvani', Guido Guerra, Tegghiaio Aldobrandi3 e Bocca degli Abbati, e che tanta eco ha lasciata nella Commedia. Quando i Guelfi che governavano Firenze vollero scacciar di Siena i fuorusciti ghibellini che vi s'eran rifugiati, questi mandaron per aiuto a re Manfredi; il quale, a malincuore, spedi loro cento cavalieri tedeschi. In una sortita, dinanzi a Santa Petronella, questi rimasero morti, e l'insegna sveva i Guelfi « strascinarono per tutto il campo, et poi la recarono in Firenze, facendone grandi dilegioni per la città » 5. La cattiva novella, e ventimila fiorini d'oro, indussero il re di Sicilia a mandar contro la città guelfa ottocento cavalieri

1 Era a capo del governo di Siena. Cfr. Purg. XI, 121. G. VILLANI (VI, 79): i quali [Farinata e Gerardo Ciccia de' Lamberti] fecion vedere a' detti frati come dispiacea loro la signoria di messer Provenzano Salvani, ch'era il maggiore popolano di Siena ».

2 Inf. XVI, 34. G. VILLANI, VI, 79: « I nobili delle gran case guelfe di Firenze, e 'l conte Guido Guerra ch'era con loro, non sappiendo il falso trattato, et sapeano più di guerra ch'e popolani, ....non parea loro di fare la 'mpresa senza grande pericolo, et.... renderono savio consiglio che per lo migliore l'hoste non procedesse al presente ».

3 Inf. XVI, 40. G. VILLANI, VI, 79: « El dicitore per tutti fu messer Tegghiaio Aldobrandi, huomo di gran senno, savio et pro in arme et di grande auttoritade, et veramente consigliava il migliore....; onde lo Spedito, ch'era all'hora Antiano, huomo presuontuoso, compiuto il consiglio del savio cavaliere, villanamente riprese suo parlare, dicendo che si cercasse le brache se havea paura, et messere Tegghiaio li rispuose che al bisogno non ardirebbe di seguirlo nella battaglia ove elli si metterebbe ». E curioso confrontar quest' aneddoto colla contesa tra il Pergola e Fortebraccio nella sc. III dell'atto II del Carmagnola manzoniano.

Cfr. D'OVIDIO, Guido da Montefeltro, nella N.a Antologia del 16 maggio 1892, p. 228-9.

5 G. VILLANI, VI, 77.

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